A due cittadini italiani attivi nel Luganese inflitti 20 e 19 mesi sospesi. ‘Sfruttavano lo stato di bisogno dei lavoratori’. Espulsi anche per 5 anni
«Ero chiaro con i dipendenti. Dicevo loro fin dall’inizio che non potevo pagare quello che prevedeva la legge», si è difeso così un 45enne cittadino italiano comparso quest’oggi davanti alla corte delle Assise correzionali di Lugano, presieduta dal giudice Marco Villa, con l’accusa di usura per mestiere. Insieme alla compagna, pure lei in aula con la stessa accusa, ha sottopagato 10 dipendenti (tutti frontalieri) della ditta di cui era amministratore unico, attiva nel mondo dell’edilizia e ora fallita. Di che cifre stiamo parlando? «Tra i 9 e i 10 euro l’ora per chi si occupava delle pulizie in cantiere, mentre per i muratori fino ai 15 euro. La paga variava in base alle competenze e tutti gli operai erano d’accordo, per loro erano salari fino a due o tre volte superiori a quelli che avrebbero percepito in Italia», ha spiegato l’uomo. In Svizzera la retribuzione oraria prevista dal Contratto mantello per l’edilizia varia fra i 32,81 e i 38,36 franchi, ha precisato il procuratore pubblico Moreno Capella nel suo decreto d’accusa, dove i casi segnalati di dipendenti sottopagati erano 18 («ma in alcuni non si sono potute raccogliere le prove sufficienti», ha detto il giudice). Un agire che ha permesso alla coppia di sottrarre un totale di oltre 147mila franchi. A loro carico il giudice ha inflitto rispettivamente 20 mesi sospesi all’uomo e 19 sospesi alla donna (entrambi con la condizionale) e l’espulsione dalla Svizzera per i prossimi 5 anni. «È stato coscientemente sfruttato il bisogno evidente di operai che accettavano un contratto che altrimenti avrebbero rifiutato», ha affermato in conclusione Villa.
«Sfruttavano il fatto che gli impiegati non conoscevano il regolamento elvetico dell’edilizia e l’esistenza di salari minimi dovuti. Sapevano bene di violare le regole. In questo caso possiamo parlare di lesione della dignità del lavoratore. Un atteggiamento che mette in pericolo lo stesso mercato delle commesse e delle aziende che vi partecipano rispettando le regole. Il loro scopo era abbassare i costi così da poter presentare offerte inferiori a quelle della concorrenza», ha spiegato il pp. Il procedimento adottato dalla coppia era il seguente: lui reclutava i lavoratori, contattandoli direttamente tramite il passaparola e accordandosi oralmente sulla remunerazione. «Per me il requisito fondamentale era che potessero essere disponibili da subito, per questo mi rivolgevo al mercato italiano», si è giustificato l’uomo. La compagna, pure lei cittadina italiana, si occupava invece della parte amministrativa dell’azienda. A lei toccava il compito di stilare i contratti di lavoro, che presentavano cifre maggiori (e in linea con la legge) rispetto a quanto poi si trovavano in busta paga gli impiegati. «Io non avevo alcun potere decisionale, mi limitavo a fare quanto mi veniva indicato», ha cercato di giustificarsi lei. L’accusa chiedeva una pena di 24 mesi sospesi per lui (che aveva anche piccoli precedenti in Italia) e 21 per lei.
La difesa si è invece battuta per il proscioglimento di entrambi, chiedendo anche un risarcimento (di oltre 6mila franchi ciascuno) per il mese di carcerazione preventiva già scontato. «Il suo unico requisito era la disponibilità del dipendente. La stessa cifra la corrispondeva anche al fratello, impiegato presso la ditta. Dobbiamo parlare anche nei suoi confronti di usura?», ha argomentato l’avvocato Rocco Taminelli, difensore dell’uomo. Motivi ribaditi anche dal collega Davide Pedrotti, difensore della donna: «Stiamo comunque parlando di salari buoni per la realtà italiana». I due imputati hanno poi voluto ribadire il loro pentimento: «Pensavamo di rimediare solo una multa. Ci siamo sempre preoccupati che i nostri dipendenti avessero il necessario per vivere e non facevamo mancare degli anticipi, se richiesti». Un’argomentazione a cui il giudice non ha dato troppo peso. La difesa ha fatto sapere che ricorrerà in appello.