Paolo Bernasconi, legale di Radouan Jelassi, esprime soddisfazione per la sentenza del Tribunale amministrativo federale
«È una sentenza che equivale a una riabilitazione per Radouan Jelassi», sottolinea l’avvocato Paolo Bernasconi: «Il signor Jelassi aveva chiesto la naturalizzazione svizzera ed erano date tutte le condizioni di legge. La Segreteria di Stato della migrazione aveva però citato un rapporto negativo dei Servizi segreti bocciando la sua richiesta. Ora, il Tribunale amministrativo federale (Taf) ha stabilito che gli argomenti evocati dalla Sem non sono sufficienti, sono in contraddizione e sono solo parziamente sorrette da riscontri oggettivi». La Sem aveva ritenuto che Radouan Jelassi fosse coinvolto in una “compromissione duratura della sicurezza della Svizzera” e gli aveva pertanto negato la naturalizzazione. Ora, la stessa Sem dovrà riformulare un nuovo giudizio.
“L’amministrazione delle prove svolta risulta carente e gli oneri di istruzione derivanti dal principio inquisitorio sono stati in parte disattesi". Non lascia dubbi questa citazione della sentenza pubblicata oggi dal Taf. La Sem aveva revocato la naturalizzazione all’Imam di Lugano basandosi anche su un preavviso negativo formulato dal Servizio delle attività informative della Confederazione (Sic, l’acronimo dei servizi segreti elvetici). In estrema sintesi, la Sic aveva sostenuto che Jelassi avesse intrattenuto “legami con islamisti radicali, con persone sospettate di partecipare ad attività legate al terrorismo, mantenendo contatti con giovani radicalizzati o in fase di radicalizzazione, che sarebbero in seguito divenuti combattenti della Jihad islamica” e che quindi rappresenterebbe una "compromissione duratura della sicurezza interna ed esterna della Svizzera”.
Jelassi, patrocinato dall’avvocato Paolo Bernasconi, invece aveva pubblicamente respinto tali presunte collusioni, affermando che la Sem nel suo giudizio si «fondava acriticamente sul rapporto del SIC senza analizzarlo e senza suffragarlo con elementi concreti a sostegno». Era l’inizio di novembre del 2019, quando i sospetti a carico dell’Imam fecero scorrere fiumi d’inchiostro, senza peraltro sfociare in procedimenti di natura penale. Nella sentenza odierna, i giudici del Taf hanno fatto chiarezza e ridimensionato le accuse mosse nei confronti dell’Imam di Lugano. Una sentenza che di fatto, invita la Sem ad approfondire le indagini per circostanziare i sospetti avanzati dai servizi segreti, alla luce del fatto che la presunta pericolosità dell’imam non trova riscontro fattuale. Le connessioni contestate, quantomeno indirette, con ambienti radicali e legati al terrorismo sono basati sul fatto che una persona che apparentemente orbitava attorno alla moschea è stata condannata per infrazione alla Legge federale che vieta il gruppo «Stato Islamico» e che almeno due persone che frequentavano la moschea si sono uniti a dei gruppi armati radicali.
Tali Incontri non sono mai stati negati dall’imam, che ha sempre affermato di essersi prodigato per veicolare in loro una visione più moderata della religione, quindi cercando di contrastare la loro radicalizzazione. «Sono una persona civile, ho sempre condannato il terrorismo. Non sono responsabile per chi frequenta o ha frequentato la moschea», aveva sostenuto l’Imam nel novembre 2019, rivelando di aver segnalato alle autorità due casi di radicalizzazione, uno con tanto di denuncia al Ministero pubblico. Tuttavia, la Sem ha intravvisto “una compromissione della sicurezza svizzera. Una conclusione parziale che si scosta dal tenore reale dei fatti», secondo il Tribunale: «In effetti non è stato chiarito quali fossero le finalità e il contesto oggettivo di questi incontri». I giudici non concludono che "l’idoneità del richiedente sia da considerarsi data. Rimangono non chiari alcuni elementi che non sono certo privi di rilevanza per la valutazione circa l’esistenza di una possibile compromissione della sicurezza interna o esterna della Svizzera”. Elementi che ora la Sem è chiamata a circonstanziare e provare.
Eloquenti alcuni passaggi della sentenza: “Nel limite della confidenzialità richiesta, essa ne indicherà le generalità o quantomeno elementi che permettano di ricondurre gli addebiti a delle evenienze concrete. Deluciderà poi in modo dettagliato la questione del finanziamento della Moschea dopo aver fatto ragionevole uso di tutte le possibilità a sua disposizione per raccogliere le prove, rispettivamente contesterà al ricorrente una violazione dell’obbligo di collaborare dopo averne comminato puntualmente le conseguenze dell’inosservanza”. Successivamente i giudici del Taf scrivono che “laddove le considerazioni al soggetto del ricorrente permarranno inconcludenti, la Sem potrà mantenere la sua posizione quanto all’attitudine dell’interessato nel corso degli accertamenti preventivi svolti, ma salvo nuove evidenze, non dedurre da tale singolo aspetto l’assenza di idoneità alla naturalizzazione. In esito alle ulteriori misure istruttorie e previa nuova consultazione dell’incarto del Sic, la Sem prenderà infine posizione sull’entità della compromissione della sicurezza interna o esterna della Svizzera in concreto”.
In altre parole, “qualora la Sem intenda confermare i motivi che hanno condotto al diniego dell’autorizzazione federale, essa è richiesta ad avvalorare le proprie argomentazioni sulla base di riscontri oggettivi e di considerazioni giuridiche e fattuali chiare, non speculative e non arbitrarie". Dovrà precisare e di "accertare il tenore, il contesto e le finalità dei contatti intrattenuti dal ricorrente con le persone sospettate di essersi votate ad attività reprensibili. Particolare attenzione andrà, se del caso, posta su coloro che hanno interessato la giustizia, l’eventuale frequentazione della Moschea da parte di questi o il cui sostegno alla causa jihadista è da ritenersi assodato”.