Manuele Bertoli, Norman Gobbi, Giorgio Giudici, Luigi Pedrazzini e Antonella Bignasca ricordano lo scomparso sindaco di Lugano
«In Consiglio di Stato ci siamo incrociati solo per pochi anni, ma la frequentazione politica – su opposti fronti – è lunga più di due decenni, dal 1995 quando è Marco Borradori è stato eletto in governo e io ero segretario del mio partito e poi dal 1998 quando sono entrato in Gran Consiglio. Anche dopo che è stato eletto sindaco di Lugano, ci siamo confrontati su più temi». Afferma Manuele Bertoli, presidente del Consiglio di Stato che riconosce a Borradori, come altri osservatori, di essere stato una politico dialogante, un leghista atipico. «Questo era certamente vero. Era diretto e gentile, ma non si sottraeva al confronto anche aspro e difendeva con convinzione alcune sue scelte che io e il mio partito non condividevamo. Penso alla questione dell’inceneritore di Giubiasco, al caso Thermoselect, alla sua opposizione alla tassa sul sacco e all’allacciamento A2-A13 attraverso il Piano di Magadino. Infine, ci siamo trovati su fronti opposti anche sulla decisione di chiudere o no le scuole comunali all’inizio della pandemia dello scorso anno», continua il presidente del Governo. Come tantissime persone in Ticino anche Bertoli è rimasto colpito dalle circostanze inaspettate della morte del sindaco di Lugano. «Beh questo è l'elemento più sorprendente e scioccante. Ci ricorda quanto noi umani siamo fragili. Tutte le innovazioni tecnologiche, anche nel campo della salute, non possono cancellare mai l’imponderabile. Il discorso è diverso per le istituzioni che invece devono rimanere solide e presenti, malgrado gli uomini e le donne passino».
«Oggi è venuta a mancare una personalità che ha contraddistinto la politica ticinese negli ultimi trent’anni». Quella di Borradori, per il consigliere di Stato Norman Gobbi, «è una perdita enorme, per la Lega e per tutto il Cantone». Una perdita che, dice Gobbi, «a livello personale mi colpisce profondamente anche perché del tutto inattesa».
Il direttore del Dipartimento delle istituzioni ricorda in particolare i due anni trascorsi insieme a Borradori in governo: «Con Marco ridevamo dal fatto che lui con il suo carattere faceva il poliziotto buono, mentre io ero quello cattivo». Proprio il suo stile «diverso» rispetto allo stereotipo leghista, secondo Gobbi, è ciò che gli ha permesso nel 1995 di essere eletto in Consiglio di Stato e di restarci per ben diciotto anni.
«Abbiamo già vissuto in passato altre perdita all’interno del nostro movimento – chiosa Gobbi –, questa però è senza dubbio la più dolorosa».
Fatica a trovare le parole anche l'ex sindaco di Lugano Giorgio Giudici «Difficile parlare, sono rimasto sbalordito e sgomento dalla notizia. Dire che mi dispiace è riduttivo: in questi frangenti si comprende l’imprevedibilità della vita. Mi dispiace anche perché, al di là delle contrapposizioni, con Marco non c'è mai stato uno scontro ma sempre il dialogo indirizzato soprattutto nel gestire al meglio il futuro della Città di Lugano che stava a cuore a me e a lui. Per entrambi questo è stato l'obiettivo principale. È come quando morì Giuliano Bignasca, provo la stessa sensazione di tristezza e di un fatto inaspettato. Come il Nano, Borradori lascia un vuoto incolmabile». Giudici, commosso, annuncia che non parteciperà alle esequie: «Sono quelle situazioni che rievocano i momenti che abbiamo vissuto in Municipio quando venne eletto nel 1992 e nel 2013, quando ci fu il confronto diretto imperniato sul rispetto reciproco come è sempre stato il rapporto fra no. Sarebbe troppa la tristezza e il mio fisico non la sopporterebbe. Conservo ancora quella fotografia che mi ritraeva in mezzo a lui e a Marina Masoni, entrambi neoeletti in Consiglio di Stato, che rappresentavano il futuro della politica. Quando ero sindaco la tenevo appesa alla parete del mio ufficio a Palazzo Civico»
Luigi Pedrazzini, all’epoca direttore del Dipartimento delle istituzioni, ha condiviso con Borradori 12 anni di lavoro in governo: «La sua gentilezza era qualcosa di naturale, come la sua propensione a trovare soluzioni al di là di qualsiasi steccato partitico. Era talmente conciliante che con lui era pressoché impossibile litigare, tanto che non abbiamo mai avuto uno scontro sui numerosissimi dossier condivisi. Poi Marco aveva una dote che gli ho sempre invidiato: sapeva stare tra le persone, dando importanza a ciascuno a prescindere da chi fosse, non per artificio politico ma perché era fatto così. Per questo è tanto amato, per questo la gente lo ha sempre riconosciuto istintivamente come uno dei ’suoi’».
Antonella Bignasca, memoria storica del movimento, ricorda ancora come tutto è iniziato: «Marco era venuto col fratello a una riunione, si discuteva della corsa al Consiglio nazionale. Il confronto fu incredibilmente animato, volarono davvero gli stracci. Ricordo Marco e il fratello in disparte, attoniti nel vedere uno scontro così lontano dalla loro natura. Alla fine però il Nano calmò gli animi, si girò verso di loro e chiese: ‘Allora, chi di voi due si candida?’. Fu l’inizio di un’incredibile carriera politica». Bignasca ha anche lavorato con Borradori al Territorio: «Mi colpì subito la sua calma dopo essere stato quasi catapultato in quella posizione, che si pensava avrebbe potuto conquistare Flavio Maspoli. Si trovò sulla scrivania un dossier scottante come quello della Thermoselect e della gestione dei rifiuti, eppure rimase incredibilmente calmo. Calmo e determinato, tenace. Così era fatto lui». E così sarebbe rimasto anche quando il barometro segnava tempesta, «come nel 2007, quando tutti davano la Lega per spacciata e credo che lui meditasse di lasciare il Consiglio di Stato, ma il suo spirito di servizio e la sua riconoscenza gli fecero capire che la sua candidatura era fondamentale per difendere il seggio. Poi, come sempre, fece una votazione strepitosa».
Borradori purtroppo non è il primo in una storia politica costellata di perdite spesso premature: prima di lui se ne sono andati Flavio Maspoli, Giuliano Bignasca, Michele Barra. A marzo dell’anno scorso è morto anche il padre di Antonella, Attilio. Cosa resta di quell’eredità? «Mio papà ha sempre detto che la Lega è uno stato d’animo», risponde senza esitazioni Bignasca, «e penso che sia proprio questo che si trasmette nel movimento: la forza di difendere e interpretare quello spirito ciascuno a modo suo, come dimostrano personalità così diverse tra loro. La nostra forza è che siamo anche amici. Di certo, però, perdiamo un grande compagno di viaggio».