“La sua integrazione non c'è stata” ha detto la giudice. Espulso anche il compagno. Condannati al carcere per sei anni lui, per quattro e mezzo lei.
«È nata e cresciuta in Svizzera, la sua integrazione però non c’è stata. Gli innumerevoli aiuti sociali non hanno sortito l'effetto sperato, con il risultato che a 28 anni non ha ancora trovato un’occupazione stabile». Queste le parole della giudice Francesca Verda Chiocchetti, risuonate nel silenzio dell'aula penale delle Assise criminali di Lugano. La decisione di espellere la giovane kosovara residente a Lugano – che ha trafficato quasi 3,9 chili di cocaina e ha falsificato dei documenti ottenendo indebitamente quasi 117'000 franchi di assistenza sociale durante quattro anni e mezzo – è stata accolta dalle lacrime della diretta interessata e della famiglia, presente in aula. La Corte ha ritenuto colpevoli lei e il compagno, un 35enne dominicano, di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, riciclaggio di denaro, ottenimento illecito di prestazioni di un'assicurazione sociale o dell'aiuto sociale, falsità in documenti. Sei anni di carcere per lui, quattro e mezzo per lei. E dieci anni di espulsione dalla Svizzera per l'uomo, sette per la donna.
Quest'ultimo aspetto è parso, forse, quello più delicato durante il dibattimento tenutosi ieri. Oltre ad essere nata e cresciuta a Lugano, la giovane ha dichiarato di avere scarsi legami col Paese d'origine, di non conoscerne bene la lingua, i parenti più stretti abitano tutti in Ticino e dall'anno scorso è diventata madre. Una situazione delicata quindi. Ma d'altro canto, come ha sottolineato ieri la procuratrice pubblica Chiara Borelli e ribadito oggi Verda Chiocchetti, l'espulsione è obbligatoria per gli stranieri che commettono infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti e come anche quelli condannati per ottenimento illecito di prestazioni di un'assicurazione sociale o dell'aiuto sociale. «E loro si sono dimostrati colpevoli di entrambi» ha evidenziato la giudice. E se per l'imputato – reo confesso e senza particolari legami con la Svizzera, escluse naturalmente la compagna e la bambina – l'espulsione è stata accettata pacificamente, tanto che la legale Sandra Xavier e la pp avevano trovato un accordo prima del dibattimento, il nodo si è presentato per la donna.
L'avvocato Stefano Pizzola ha cercato di dimostrare ieri che la 28enne sia stata soltanto una complice dell'uomo, che anzi ne sia stata succube a causa di presunte minacce e violenze fisiche, oltre a ricordare i legami con la Svizzera, invocando pertanto il caso di rigore e quindi la non espulsione. Lei stessa si è detta pentita e cambiata, anche in seguito alla maternità. «Vero, adesso ha una bambina, ma la gravidanza e la nascita della piccola nulla hanno cambiato – ha ricordato la giudice –. Il suo non è stato un ruolo succube. Il traffico, per quanto emerge dall’incarto, è iniziato su suo input. Sapeva dove era la cocaina e ne aveva accesso, sotto le sue unghie è stata trovata la droga e non sotto quelle del compagno. Nel perpetrare i reati ha dimostrato energia criminale e mancanza di freni inibitori abusando di uno Stato che le è venuto in soccorso sin da quando era piccola e ancora dinanzi alla Corte ha dato delle versioni poco credibili, cercando di sminuire il suo ruolo. Non vi è alcun elemento concreto che deponga su una sua presa di coscienza o un ravvedimento sincero. Infine, vista la giovane età della bambina (un anno circa, ndr), non vi è ancora stato un inserimento sociale».
Allo stesso modo, la Corte non ha nemmeno accolto la richiesta della difesa di ritenere la donna soltanto una complice per taluni capi d'accusa. «Secondo la giurisprudenza è correo colui che collabora intensamente al fine di commettere un reato – ha spiegato la giudice –. Non è necessario che abbia effettivamente partecipato al reato, presuppone una decisione comune e il dolo eventuale quanto al risultato è sufficiente. Non è necessario che partecipi all’ideazione del progetto. Ciò che è determinante è che si sia associato alla decisione». «La versione a fini protettivi del compagno è sconfessata dalle risultanze di inchieste – ha poi aggiunto –. Lei invece ha raccontato bugie, scuse, e ancora bugie, cercando di dipingere il compagno come un violento. Ma non sono mai state denunciate violenze o minacce». Infine, per entrambi gli imputati ha pesato la poca collaborazione, «hanno agito senza scrupoli, non esitando di mettere in pericolo la vita di altre persone». A favore del 35enne ha invece giocato il fatto che alla fine abbia fornito elementi importanti nelle indagini, mentre a favore della donna il fatto che vi sia una bambina che ha passato con lei un anno in carcere, sebbene oggi si trovino nel canton Berna in una struttura femminile dotata di asilo nido, a differenza della Farera dov'era rinchiusa inizialmente.
Da noi sentito, al termine del procedimento, l'avvocato Pizzola ha dichiarato che la difesa ora attende la sentenza scritta per capire meglio, ma che certamente la sentenza verrà impugnata e si andrà in Appello.