Luganese

Appropriazioni indebite nel 'suo' negozio di lusso di Lugano

L'imputata ha ammesso: 'Era un atto compulsivo. Me ne vergogno'. Condannata a 2 anni di detenzione sospesi con la condizionale

Profitti indebiti in aula
(TI-PRESS)
31 marzo 2021
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Un maltolto di 700 mila franchi, modificando le registrazioni di cassa nel negozio del quale era la responsabile, sottraendo così soldi e i vestiti di marca dall'emporio di lusso di Lugano. Un attività illecita durata sei anni, tra il 2013 e il 4 aprile 2019, giorno in cui è scattato il suo arresto. Il caso è approdato oggi davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano. Imputata, una cittadina italiana di 49 anni. Rea confessa, ha confermato integralmente i fatti contenuti nell'atto d'accusa e l'importo sottratto. «Un importo imbarazzante, non mi rendevo conto dell'entità del danno. Me ne vergogno». L'alleggerimento del negozio e le manipolazione di cassa hanno consentito allora alla 49enne di condurre un alto tenore di vita: vestiti, vacanze, vino e merce costosa. «È stato dolorosissimo accettare quel che ho fatto. Era un atto compulsivo, un automatismo per il quale non riuscivo a fermarmi» - ha dichiarato l'imputata.

L'imputata si è ravveduta e ha iniziato a risarcire 

La donna, che nel frattempo ha scelto una riqualifica professionale, è stata riconosciuta colpevole del reato di abuso di un impianto per l'elaborazione di dati per mestiere. La condanna inflitta: 2 anni di detenzione posti al beneficio della sospensione condizionale. «In via eccezionale la Corte ha rinunciato a pronunciare l'espulsione dalla Svizzera» - ha spiegato la giudice, Francesca Verda Chiocchetti. Questo in virtù dell'incensuratezza dell'imputata, del suo ravvedimento e del deciso cambiamento di vita. La 49enne ha inoltre già iniziato a risarcire la parte lesa e ha avviato un percorso psicoterapeutico per capire a fondo i motivi che l'hanno spinta a delinquere. 

La giudice Francesca Verda Chiocchetti ha osservato che la donna ha agito per mestiere, garantendosi un guadagno regolare. «Il movente è stato meramente egoistico, ha sì aiutato la madre con quei soldi ma ne ha pure sperperati in lussi. E ha tradito la fiducia che la datrice di lavoro le aveva riposto. Ma poi ha ammesso le sue responsabilità e si è ravveduta». 

La procuratrice pubblica, Margherita Lanzillo, al termine della sua requisitoria aveva richiesto una pena di 30 mesi, dei quali 6 da espiare e la rimanenza posta al beneficio della sospensione condizionale, rinunciando a richiedere l'espulsione dal territorio svizzero. Il magistrato ha così ripercorso i fatti: «L'imputata ha ricevuto la fiducia per condurre l'esclusiva boutique di Lugano, forse il lusso l'ha portata a sognare in grande... Quando s'è accorta con quale facilità riusciva a ingannare la datrice di lavoro ci ha preso la mano, manipolando le registrazioni della cassa registratrice, con cancellazioni e modifiche, per sottrarre denaro e vestiti». La procuratrice pubblica ha stimato in circa 10 mila franchi al mese il guadagno supplementare, oltre allo stipendio mensile, che la donna riusciva a ricavare dagli inganni patrimoniali. «Ma alla fine sapeva che stava sbagliando». 

L'avvocato di difesa, Felice Dafond, dal canto suo aveva chiesto una pena contenuta e si era opposto all'espulsione in virtù del ravvedimento della sua cliente e del deciso cambio di passo. «Nella vita si cade e poi ci si rialza. È il caso della mia assistita, che da una situazione come quella in esame ha reagito e si è rivolta a una psicologa per capire i motivi del suo agire. Ha inoltre pienamente collaborato, rendendo celere l'inchiesta». Il legale aveva chiesto il proscioglimento dal reato di abuso di un impianto per l'elaborazione di dati, poiché la 59enne «non ha manipolato il sistema informatico». Ma la Corte ha deciso diversamente.