Il centro sociale il Molino accusa "un dispiego di polizia in antisommossa prevedibilmente provocatorio" che ha generato nervosismo e incertezza
"Le ultime 40 persone vengono accerchiate da 50 sbirri in tenuta antisommossa. La polizia manganello alla mano – dopo essersi visto rifiutato l’ordine “di uscire uno alla volta documento in mano e mani sulla testa” (sic!) – in un vortice di violenza gratuita e vendicativa, si rende operativa con vari blitz di sequestro per prenderci uno alla volta, manganellando pesantemente, pestando, buttando a terra e ammanettando. Con tutto il corollario di insulti denigratori, mani nel naso e calci ben piazzati mentre si è schiacciati a terra, faccia premuta sull’asfalto, da più agenti". Racconta così le ultime fasi della protesta di lunedì sera in stazione a Lugano l'assemblea del centro sociale occupato e autogestito (Csoa) il Molino. Quella che avrebbe dovuto essere "un corteo autodeterminato e ribelle contro patriarcato, razzismo e islamofobia" si è trasformato "nel trattamento dell’apparato repressivo dello stato, che di fatto ben sappiamo si fonda su controllo e violenza e nell’ennesimo teatrino messo in piedi contro il Molino alla vigilia di ogni campagna elettorale".
Nella sua lunga presa di posizione, il Csoa spiega le ragioni della manifestazione chiamata l’8 marzo, organizzata "per riportare contenuti altri rispetto a chi l’ha trasformata in un vuoto giorno di festa e di celebrazioni funzionali al sistema capitalista". La protesta ha voluto criticare pure l'esito della votazione federale di domenica 7 marzo che ha doganato la legge anti-burka e ricordare che sono "il fascismo e il nazismo a essere nate nei democratici parlamenti e nel vuoto e strumentale concetto di legalità. Ma una legge se ingiusta la si contesta. E siamo convinte che le leggi razziste, patriarcali e discriminatorie debbano essere contestate come si vuole, dove si vuole e in qualsiasi modo!". L'idea iniziale, prosegue il Csoa che, pur continuando a denigrare i mezzi di comunicazione ritenendoli asserviti al potere, ci segnala la sua presa di posizione, era di "un corteo mascherato, comunicativo e determinato per attraversare una delle città più controllate e sorvegliate della svizzera, la sua realizzazione – visto l’ingente dispositivo repressivo messo in piedi dalle autorità (per quanto sbirri e media di regime millantino la manifestazione non autorizzata sia avvenuta) – è stata resa impossibile. Un dispiego di polizia in antisommossa prevedibilmente provocatorio, ha accolto e circondato fin da subito, in una situazione di nervosismo e di incertezza, le attiviste e i solidali partecipanti".
La manifestazione si è adattata, continua la nota, in "nn momento di strada iniziato con interventi, slogan, e contenuti ben chiari. Si è parlato di femminicidi, delle doppie pene delle donne migranti, degli effetti dell’eteropatriarcato alle nostre latitudini, di leggi razziste, dei traumi dell’isolamento carcerario, delle esperienze di autodifesa delle donne curde in Rojava e dei femminismi comunitari sparsi per il mondo. Si è parlato di controllo e di sicurezza, di autodifesa e di ribellioni. Un centinaio di persone hanno percorso la non-manifestazione, bloccata in stazione". Infine, "dopo più di un’ora di blocco, il tentativo di avviarsi verso l’unico buco lasciato libero dal dispositivo (circa 70 agenti in assetto antisommossa!), non era nient’altro che la voglia di tornare a respirare e di provare a portare per le strade cittadine le rivendicazioni dell’8 marzo. Quella che invece è stata definita – da sbirri e media – come una carica delle manifestanti, sono stati i 5 e più passi necessari verso il cordone di polizia, proprio per uscire dall’accerchiamento. E il cui risultato sono state manganellate, spray al pepe e calcioni vari".