Presa di posizione del centro sociale che ribadisce la propria critica verso i media e l'autorità cittadina. E la via del dialogo si 'allunga'
Dodici cartelle, per una presa di posizione senza novità di rilievo. Almeno, per quanto riguarda l'interpretazione alquanto critica del mondo, del 'sistema' e dei media. Non si smentisce il Csoa (centro sociale autogestito Il Molino) nel suo comunicato intitolato "Le sere di una volta (tornare alla piazza, senza scegliere tra smart city e paura del contagio)". Non una riga di scuse per la testata contro la nostra collega che era in piazza Molino Nuovo venerdì 30 ottobre per lavorare e riferire della manifestazione pubblica convocata dagli stessi autonomi. Nemmeno una nota per dissociarsi dall'atto violento. Al contrario, di nuovo fango e accuse di parzialità (che noi rispediamo gentilmente al mittente) che non sorprendono perché rientrano nella narrazione portata avanti da decenni. Una narrazione volutamente ambigua anche e soprattutto in merito all'eventualità di uno sgombero forzato dagli spazi che sono occupati all'ex macello e alla tenue possibilità di riattivare un minimo di dialogo con la Città. Il Municipio di Lugano ne discuterà nella seduta di domani, se i due rapporti commissionati alla Polizia cantonale e a quella cittadina arrivassero in tempo, oppure, più verosimilmente, la settimana prossima.
Difficile che la presa di posizione del Molino faccia cambiare idea all'esecutivo che vuole approfondire. Mi sbaglio? «Sembra di vivere in due mondi completamente diversi, nel senso che non mi sorprende ciò che hanno scritto: sono coerenti e non fanno che ribadire una linea dura che mal si concilia con il fatto che sono presenti in uno stabile che appartiene alla Città di Lugano anche se c'è una convenzione - risponde il sindaco di Lugano Marco Borradori a titolo personale -. Se loro vogliono portare avanti idee che sono così in disarmonia con quello che è il mondo 'normale', non ci sarà un grande spazio per il dialogo. Mi par di capire che sia un'impresa quasi disperata riuscire a incontrarsi in un punto neutro cercando una collaborazione su alcuni denominatori comuni seppur piccoli. Con queste premesse sarà complicato e difficile anche per chi crede ancora nell'autogestione». Nel frattempo, il Municipio prenderà atto dei contenuti nel comunicato «ma non credo cambierà di molto l'impostazione che non prevede la decisione di sgombero, però verrà fatta una valutazione sulla base dei rapporti di polizia», continua il sindaco. Nella presa di posizione c'è però anche una frase in cui il Molino in un certo senso, nonostante tutto, esprime la volontà di riallacciare il dialogo con l'autorità: (..."Nel frattempo noi aspettiamo sempre la lista degli spazi disponibili che dicevate aver individuato durante quest’ultimo incontro e mai pervenutaci"). Il riferimento è alla riunione tenutasi nel 2015 al Canvetto luganese. «In quel senso intendevo quando dico che sembra di vivere in due mondi che non possono comunicare fra loro, ma se davvero sono in attesa di un invito, basta che ci dicano dove lo possiamo fare. Questa è la prova di una difficilissima comunicazione. Si può ovviare a tutto, basterebbe capire con quali persone possiamo avviare e intrattenere un minimo di relazione. Anche se devo ammettere tutte le premesse contenute nella lettera non è che contribuiscano a migliorare la situazione di incomunicabilità. Se ci dicono come fare a recapitare l'invito lo potremmo anche fare. Nessuno di noi in Municipio vuole 'andare in guerra'». Borradori sembra dunque disposto a riallacciare il dialogo. Dalla presa di posizione, questa apertura da parte del centro sociale non pare ci sia.
Eppure, per fare in modo che una comunicazione possa funzionare le due parti dovrebbero fare un passo indietro. Un passo indietro necessario, altrimenti siamo al 'bue che dà del cornuto all'asino' e l'impasse resta tale. Nei rapporti con l'autorità cittadina, il Csoa persegue la stessa linea, in sostanza, accusando l'esecutivo di essere in malafede avendo tentennato sul dialogo e sulle alternative alla sede attuale che avrebbe dovuto essere transitoria. All'assemblea del centro sociale, unico organo decisionale, continua ad andare di traverso la richiesta (che suona come un'imposizione) di trattare sempre con gli stessi interlocutori. Perciò, ribadisce la propria posizione critica nei confronti dell'autorità cittadina, del partito del sindaco (la Lega) a sostegno delle azioni siccome "il monopolio della violenza e dell'illegalità non è certo la pratica dell'autogestione che lo detiene, testata o non testata, scritte sui muri o graffiti sui palazzi". Quando però rappresentanti dei media e fotografi si recano alla manifestazione indetta dal centro sociale in un luogo pubblico, vengono insultati e invitati ad andarsene. Meglio sarebbe stato allora riunirsi a porte chiuse. Come a porte chiuse si tengono le assemblee del centro sociale. Del resto, questa ambiguità è sempre stata presente ed è emersa ancora di più negli ultimi anni. Da una parte si può comprendere e potrebbe avere una ragione di essere alla luce delle esperienze dagli ex Molini Bernasconi a Viganello e al Maglio di Canobbio sul piano della Stampa quando vennero sgomberati nell'autunno del 2002. Di più: la possibilità di divulgare le proprie idee senza entrare nella logica di rottura 'tout court' con il sistema che ci può anche stare e su queste colonne la questione è stata approfondita da più punti di vista (cfr. 'laRegione' del 23 ottobre 2018). Ci pare assurdo che questa visione della società resti confinata fra le mura dell'ex macello. Da noi interpellato il presidente dell'Aida (Associazione idea autogestione) Bruno Brughera preferisce non rilasciare dichiarazioni per non gettare benzina sul fuoco.