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Ieri bambino, oggi bambina: ‘Va rispettata la sua personalità’

Pareri specialistici a confronto sul bambino di scuola elementare che ha assunto un'identità femminile. Quadri: 'La scuola ha ponderato la decisione'

Il bambino 'diventato' bambina sembrerebbe una prima in Ticino, almeno per quanto riguarda le scuole elementari (Ti-Press/Archivio)
29 ottobre 2020
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Marco amava vestirsi di rosa e giocare con le bambine, portare i capelli più lunghi. Pur essendo nato biologicamente maschio, Marco sentiva di non appartenere a quel genere ed è riuscito a ottenere di essere chiamata Giulia, dalla famiglia e dalla sua cerchia di conoscenze. È riuscita a cambiare genere sessuale. Questa non è però la storia a lieto fine di una persona transgender come altre. È invece la storia tutta in divenire di una bambina di una prima elementare di Lugano, della sua famiglia, della scuola che frequenta e dei suoi compagni. È una storia unica in Ticino – la prima che emerge pubblicamente quantomeno – per la giovanissima età della protagonista e già solo per questo meritano rispetto e delicatezza. A renderla pubblica, due giorni fa, un'interpellanza firmata da Edo Pellegrini (Udf) e Roberta Soldati (Udc). Eloquente il titolo scelto dai due granconsiglieri: "Nelle scuole ticinesi vengono violati i diritti dei bambini nella loro sfera sessuale?".

Quadri: ‘La scuola non ha agito da sola’

L'atto parlamentare – che cita casi concreti di quanto avverrebbe in aula – punta il dito contro la direzione dell'Istituto scolastico di Lugano e contro l'ispettorato, citando la preoccupazione delle famiglie e dei compagni di classe, "alcuni talmente a disagio che c'è chi piange la sera e fatica ad addormentarsi e c'è chi si è addirittura dovuto rivolgere a uno psicologo per affrontare questa incresciosa e inaccettabile situazione". «Che fosse una situazione estremamente delicata è apparso immediatamente chiaro – ci dice il capodicastero Formazione, sostegno e socialità Lorenzo Quadri –. Quando si è presentata, abbiamo dovuto decidere come gestirla. Ma non l'abbiamo fatto da soli. Sono state interpellate tutte le istanze competenti (cantonali, giuridiche, specialistiche, ndr). Tutte, e sottolineo tutte, le risposte che sono arrivate andavano nella stessa direzione: riconoscere l'identità di genere della bambina. La scuola quindi non ha agito di testa sua o seguito un capriccio di una famiglia, come sembra leggendo l'atto parlamentare».

‘Falsità nell'interpellanza, nessun obbligo’

Nella scuola e nella comunità alle porte della città dove si è verificato il caso, negli ultimi mesi qualche tensione si è effettivamente verificata. Le famiglie interessate, da noi sentite, hanno preferito non esprimersi neanche in forma anonima: la situazione è delicata e sono coinvolti dei bambini, la comprensibile spiegazione. Ma Marco diventato Giulia (i nomi sono evidentemente di fantasia) ha creato delle preoccupazioni in alcuni genitori. In particolare quelli che hanno figlie femmine, come sottolineato dall'interpellanza. Ma sono preoccupazioni giustificate? «Intanto non è vero che Giulia si cambia con le altre bambine – smentisce il municipale –. Per quanto riguarda la settimana verde e i corsi di nuoto, si troveranno delle soluzioni ad hoc, di modo che non ci sia contatto in situazioni d'intimità. Sono già previsti una serie di accorgimenti. Evidentemente non è previsto nessun obbligo. Al di là delle mie posizioni personali e degli scetticismi, ci sono delle leggi da rispettare, stiamo parlando di una scuola dell'obbligo che ha il dovere di accogliere tutti».

‘La scuola deve rispettare la personalità dei bambini’

Sì, perché prendere una decisione non è stato facile, ma un quadro legale c'è. «Se si sarebbe potuto fare meglio non lo so, può anche darsi, ma per noi è stata una prima – premette Quadri –. La Legge sulla scuola dice che quest'ultima deve rispettare la personalità dei bambini. Ovviamente, tutti i bambini vanno scolarizzati e questa è la base. La scuola deve garantire il massimo rispetto, sia alla bambina che ha manifestato un'esigenza particolare, sia al resto della classe». Non sono quindi stati violati i loro diritti? «Capisco bene che la situazione possa suscitare delle perplessità. Ma la domanda va posta al contrario: la scuola avrebbe avuto il diritto di imporre al bambino di venire a scuola vestito da maschio e comportarsi da tale? La risposta è stata no». Il capodicastero respinge infine critiche sulla gestione: «È difficile immaginare una gestione diversa. Era anche difficile informare prima, perché quando è arrivata la richiesta è stato necessario raccogliere le risposte. Sono stati messi in campo degli accorgimenti a sostegno della classe, è stato organizzato un momento informativo alla presenza dello psicologo scolastico per i genitori e ne sono programmati altri. Ovviamente la situazione va gestita nel rispetto delle esigenze di tutti. La direzione scolastica è a disposizione delle famiglie per accogliere le preoccupazioni di tutti. Non ci sono bambini di serie A e di serie B».

Bertoli: ‘L’interpellanza sia ritirata’

Questa la risposta da parte dell'ente comunale competente. Abbiamo interpellato anche il Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport (Decs), che tuttavia ha preferito non esprimersi sul caso concreto essendoci sul tavolo un'interpellanza rivolta al Consiglio di Stato. «Sono questioni molto delicate. Credo che sia bene che queste cose vengano trattate là dove devono esserlo, non messe in piazza in maniera eccessiva. Per cui non vorrei affrontare adesso questo tema» ci ha risposto infatti il direttore del Decs, Manuele Bertoli lanciando un messaggio agli interpellanti: «Anzi, auspicherei che chi ha presentato l'interpellanza la ritiri. Sarebbe un segno di delicatezza verso queste questioni e ci aiuterebbe a trattarle in maniera corretta là dove devono esserlo».

Rossi: ‘Scelta prematura, ai bambini va data la possibilità di crescere’

L'atto parlamentare tuttavia, pur con modi e modalità discutibili, solleva una questione socialmente rilevante, inedita e di interesse pubblico: l'identità di genere, in particolar modo nel contesto dell'infanzia. Ne abbiamo parlato quindi con due esperti di opinioni parzialmente divergenti. «Sono molto colpita, trovo sia un po' difficile parlare di identità di genere a 6/7 anni – l'opinione di Barbara Rossi, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa –. Non voglio banalizzare e ho un grande rispetto per le scelte delle persone. Secondo me non dovremmo trattare i bambini come dei piccoli adulti. I bambini sono tali e hanno bisogno di fare le proprie esperienze. Il rispetto dell'identità del bambino passa anche dal dargli la possibilità di crescere, di sperimentare. La prudenza, anche nell'interpretare i segni che lanciano, penso che sia fondamentale. Non conosco le ragioni che hanno portato a questa scelta ed è difficile esprimersi, però mi sembra una scelta un po' prematura».

Bausch: ‘Mi sento vicino a una famiglia coraggiosa’

«Bisogna essere prudenti – concorda Paolo Bausch –. Nell'atto parlamentare si parla di richiesta della famiglia, che suppongo faccia il bene del bambino e che sia quindi quest'ultimo a sentirsi una bambina. Se è così, è qualcosa da prendere molto seriamente a favore del bambino. In questo senso mi sento vicino a una famiglia che coraggiosamente porta avanti questo – sottolinea però il presidente della Società ticinese di psichiatria e psicoterapia –. Se il bambino non s'identifica con il suo genere dato dalla biologia ma con qualcosa di diverso, questa cosa va assolutamente rispettata secondo me. Trovo altrettanto ragionevole quanto praticato dall'istituto scolastico. L'identità di genere risponde a delle regole che non sono sempre sovrapponibili alla biologia e questo non dipende dall'età». E per aiutare gli altri bambini a comprendere meglio la situazione? «Ci sono dei testi che possono aiutare, dei libri adatti all'età di ogni bambino che possono dare delle spiegazioni comprensibili. I bambini sono molto aperti e tolleranti, il problema spesso non è loro ma degli adulti».

Coppola: ‘I bambini vanno assecondati, per non creare sofferenze future’

Anche un'altra opinione specialistica approva l'operato di famiglia e scuola: «Sembrerebbe che la scuola si sia mossa nel modo giusto, cercando di capire la situazione assieme ai genitori e arrivando alla conclusione che fosse meglio, come di solito è in questi casi, assecondare il desiderio del bambino – osserva Marco Coppola –. Solitamente, l'identità di genere è qualcosa che si può rilevare già nei primi anni di vita, molti studi dicono già attorno al terzo anno. Quindi può capitare che un bambino o una bambina esprimano comportamenti che riferiamo al sesso col quale non sono nati biologicamente o il desiderio di essere chiamati con un nome del sesso opposto. La letteratura sull'argomento ci dice che è meglio assecondarli. Questo non significa che crescendo il bambino o la bambina confermerà quell'identità di genere. Se però diventa stabile nel tempo e non la si asseconda, si crea sofferenza. I bambini che si sentono nati nel corpo sbagliato e vedono i genitori, la scuola e tutto quel che li circonda essergli contrari, soffrono». Bene assecondare i desideri del bambino quindi, secondo il responsabile dei progetti legati all'identità sessuale di Zonaprotetta, ma «non immediatamente: solo se il desiderio dura nel tempo e non si tratta di una confusione».

I compagni? ‘Vanno sensibilizzati, esistono modo semplici per spiegare’

Ma, se il contesto scolastico o sociale non sono adeguatamente preparati al cambiamento, non si rischia di creare comunque delle sofferenze? «Sì, certo. Non si può obbligare qualcuno all'accettazione, neanche la scuola può farlo, il lavoro che va fatto quindi è di sensibilizzazione. Questo è un primo passo importante. Per le cose più pratiche si trovano delle soluzioni: riguardo agli spogliatoi ad esempio, adibire un luogo dove il ragazzo o la ragazza possano cambiarsi separatamente dagli altri oppure dove questo non crea imbarazzo può anche farlo assieme agli altri. Dipende molto dalle situazioni, non c'è una regola. Per i bambini più piccoli la soluzione può essere che lo faccia in un terzo luogo, così da non creare preoccupazioni soprattutto per i genitori». E spiegare una situazione così particolare, e rara, ai piccoli coetanei di Giulia si può? «Io credo di sì. Esiste un modo semplice per spiegarlo: nasciamo maschi o femmine e sentiamo di stare bene nel nostro corpo nella maggior parte dei casi. Può succedere che alcuni bambini, alcune persone, nascano non sentendosi nel corpo giusto. Credo che questa sia una spiegazione semplice che i docenti e i genitori possono utilizzare e i bambini facilmente capire».

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