coronavirus

Infermiere del Cardiocentro invitato dal Papa

Raffaele Mautone con i tre fratelli, tutti infermieri, consegneranno ‘la scatola delle lacrime’ al Santo Padre venerdì in udienza privata

Raffaele Mautone al fronte
31 agosto 2020
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«Siamo emozionati. Mia sorella voleva che indossassimo i camici di lavoro ma io le ho detto ’no, dai, una volta che andiamo dal Papa portiamoglieli in dono'». È raggiante Raffaele Mautone, infermiere al Cardiocentro di Lugano. Venerdì sarà a Roma, in Vaticano. Francesco ha chiamato lui e i suoi tre fratelli, tutti impiegati in ospedali, fra Como e Napoli, e con loro l’intera famiglia, per ringraziarli dell’impegnativo compito che hanno svolto, con coraggio e dedizione, nei difficili e dolorosi mesi di emergenza sanitaria. La lettera li convoca per mezzogiorno nel Palazzo Apostolico («sarebbe un ulteriore sogno fermarci a pranzare con lui»), con ingresso da Piazza San Pietro, colonnato di destra, portone di bronzo.

«Mio fratello è già partito a piedi, si trova a 20 chilometri da Viterbo. Io ho intenzione di raggiungerlo per percorrere con lui gli ultimi quaranta, cinquanta chilometri, purtroppo non sono riuscito a conciliare il tutto con le ferie e sono stato costretto a ritardare questo cammino che ho tanto desiderato –, ci racconta i preparativi Raffaele –. Fra fratelli e familiari saremo in totale tredici. Portiamo mogli, mariti, figli. Il prefetto della Santa Sede, Leonardo Sapienza, mi ha detto che il pontefice ci vuole abbracciare tutti. Il particolare che ci rallegra ancora di più è il fatto che non saremo nella grande Sala Nervi ma all’interno degli spazi privati papali».

La toccante testimonianza del paziente di Locarno: 146 giorni ammalato

Sprizza gioia Raffaele, un’emozione che non manca di trasmetterci, noi che lo abbiamo già intervistato nei cupi giorni delle morti e delle corsie quasi al collasso: «La realizzazione di questo mio sogno, l’incontro con il Papa, mi porta a dire a tutte le persone che ne hanno uno di tirarlo fuori dal cassetto, di metterci speranza e impegno, perché poi si realizzano davvero. Ed è un successo per tutti!». Con loro, Raffaele e i suoi fratelli, porteranno quella scatola che è stata ’culla’ di preoccupazioni e lutti. Al suo interno, negli ultimi mesi, sono stati raccolti scritti, pensieri, lettere di quanti sono stati confrontati direttamente con il coronavirus: chi si è ammalato, chi ha operato al fronte delle cure, chi ha vissuto la morte di un congiunto: «Ho letto parole bellissime, sono quasi da far pubblicare, c’è per esempio una lettera di un paziente di Locarno che si considera il veterano del Covid, in quanto è stato ricoverato per 146 giorni, fra strutture del Locarnese e del Luganese, e ha voluto lasciare uno scritto per dirmi che, nel breve tempo che ci siamo incontrati, ha trovato sollievo solo nel guardarmi negli occhi». Con la scatola consegneranno a Francesco («al caro amico papa Francesco, c’è scritto sopra») anche la divisa del Cardiocentro con ricamato a mano 2020 Anno internazionale dell’infermiere: «Se le lettere rappresentano le lacrime e la divisa è simbolo del sudore di tutti i sanitari, portiamo con noi anche la voglia di vivere, l’amore per il prossimo».

Timori per la seconda ondata

Oggi il coronavirus sembra fare meno paura? Come viene avvertita quella che viene definita come la seconda ondata? «Personalmente – risponde ai nostri interrogativi Raffaele – la vivo con un po’ di timore e sospetto. Sono sollevato nel vedere e sentire gli appelli che continuano ad esserci e che richiamano tutti i cittadini alla distanza sociale e alle principali regole d’igiene. Quindi ho molto fiducia nelle istituzioni che non mancano di lanciare questi messaggi. Non dobbiamo insomma abbassare la guardia, il virus è ancora in mezzo a noi. Soprattutto lo dico ai giovani, fra i più colpiti in questo particolare momento. Se a loro può non fare paura, dobbiamo pensare ai loro genitori e ai nonni. E allora vi dico, soprattutto alle nuove generazioni, restiamo in allerta».

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