Intervista al direttore per il Ticino di Swiss Medical Network: dal crollo degli interventi durante l'emergenza alle misure di sicurezza per la Fase 2
La Carità di Locarno e la Clinica Luganese Moncucco. L'emergenza Covid-19 in Ticino fa rima principalmente con queste due strutture ospedaliere, sebbene l'intero sistema sanitario sia stato coinvolto in un modo o nell'altro. Anche la Sant'Anna di Sorengo e l'Ars Medica di Gravesano: le due cliniche cantonali di Swiss Medical Network (Smn), uno dei principali gruppi privati nel Paese. Come hanno gestito la crisi? Sono pronte per l'allentamento delle restrizioni che entra in vigore oggi? A rispondere alle nostre domande è il direttore per la Regione Ticino di Smn, Fabio Rezzonico.
Partiamo da una considerazione generale: come crede abbia gestito la crisi il sistema sanitario ticinese?
Premetto che solo pochi mesi fa era impensabile che succedesse una cosa del genere su scala mondiale. Penso che comunque la Svizzera abbia tutto sommato gestito bene la crisi e il Ticino soprattutto. Ci siamo mossi come una squadra di calcio: abbiamo tolto le nostre maglie di squadra e indossato tutti quella della nazionale, in questo caso del Ticino e ognuno di noi nel proprio ruolo ha giocato il suo gioco. Penso che questo primo tempo l'abbiamo vinto, perché chi doveva segnare ha segnato, chi doveva gestire il centro campo l'ha gestito, chi doveva difendere ha difeso.
Concretamente, Sant'Anna e Ars Medica che contributo hanno dato nel fronteggiare la crisi?
Siamo tutti al fronte, anche se ovviamente gli ospedali dell'Eoc e la Moncucco hanno fatto da prima linea. Noi eravamo in seconda linea, quindi di supporto a loro: abbiamo messo a disposizione medici e anestesisti, materiale e su richiesta del Cantone anche le nostre sale operatorie, tant'è vero che abbiamo avuto un certo numero di interventi, sia in Sant'Anna che in Ars Medica, di medici di altre strutture che sono venuti da noi a operare i loro pazienti. Chiaramente, ci riferiamo alle urgenze (le uniche consentite dalle disposizioni federali, ndr). Inoltre, dovevamo essere pronti a intervenire nel caso la situazione peggiorasse ulteriormente e i posti messi a disposizione non bastassero più.
Diverse strutture ospedaliere in Svizzera, Covid a parte, hanno registrato negli ultimi due mesi un calo dell'attività. Questo vale anche per voi?
Sì, c'è stata una forte riduzione per tutti. Innanzitutto perché abbiamo dovuto concentrare le attività negli ospedali Covid. Per quanto concerne Ars Medica c'è stato un netto calo degli interventi, in Sant'Anna più contenuto. La medicina generale e l'oncologia sono calate un po' ma hanno tenuto. L'unica vera eccezione, proprio perché siamo la 'culla del cantone', è rappresentato dal reparto maternità: rispetto all'anno scorso abbiamo esattamente lo stesso numero di nascite. Un bel segnale di continuità in un periodo particolarmente difficile come questo. Per dare qualche cifra: riguardo ad Ars Medica, in seguito all’introduzione delle misure per l'emergenza Covid, i casi di ospedalizzazione sono diminuiti del 70%, mentre in Sant’Anna del 40%, mantenendo esclusivamente l’attività operatoria d’urgenza.
Dati dovuti naturalmente alle disposizioni delle autorità. Ma c'è anche una componente psicologica?
Purtroppo sì. Dico purtroppo, perché ci sono stati pazienti che – non essendosi recati in ospedale o dal medico – hanno peggiorato la loro situazione. Soprattutto quelli che dovevano prendere regolarmente medicamenti e fare regolarmente controlli. Da una parte quindi sì, è stata la paura. Ma d'altra parte, la popolazione è stata estremamente rispettosa delle regole governative. I cittadini hanno accolto le disposizioni con grande impegno e serietà.
Il calo dell'attività si è tradotto anche per voi in un regime di lavoro ridotto?
Sì. Si tratta di una possibilità estremamente importante in questa fase per far fronte a una grave crisi, sanitaria ma anche economica. L'economia non è solo in ginocchio, ma è purtroppo proprio sdraiata. Anche noi ne abbiamo fatto uso, formulando la richiesta sia per mantenere tutti i posti di lavoro sia per intervenire sul peso dei costi, cercando di ridurli. Le prospettive purtroppo non saranno rosee. Dovremo riprendere coi ritmi giusti in funzione di cosa succederà.
Ecco, volgiamo lo sguardo al futuro partendo dal presente: da oggi è di nuovo possibile effettuare interventi non urgenti. Siete pronti?
Sì. La lista d'attesa di quei pazienti che erano urgenti ma ancora gestibili adesso entra in una fase più acuta e di conseguenza determinati interventi non possono più essere procrastinati. Le misure di sicurezza fin qui vigenti restano e anzi vengono rafforzate, ad esempio con l'obbligo della mascherina anche per pazienti e accompagnatori. Inoltre, tutti i pazienti che entreranno da noi per un intervento chirurgico, anche se asintomatici, dovranno fare il test per il Covid-19, in quanto questo ci dà per il momento maggior sicurezza. Nel limite del possibile, per garantire la sicurezza metteremo tutti i nostri pazienti in camera singola. Tutti i nostri ristoranti e caffetterie rimangono naturalmente chiusi.
La sicurezza quindi è garantita?
Sì, in generale e da noi. Fin da subito le nostre cliniche hanno adottato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei pazienti e dei collaboratori, perché ci è stato chiesto di rimanere cliniche pronte ad accogliere pazienti non Covid. E quindi non potevamo permetterci di avere una situazione di possibile contagio. Noi per esempio abbiamo introdotto l'uso della mascherina obbligatorio per tutti i collaboratori fin da subito, da prima delle disposizioni. Abbiamo avuto quattro contagi nel personale su quasi quattrocento collaboratori, che sono però stati individuati per tempo e gestiti con quarantene da casa, non c'è stato alcun contatto reale nelle nostre cliniche. Nessun contagio né fra i medici né fra i pazienti. Questo perché abbiamo preso le dovute misure igieniche e di screening, portate avanti con la concentrazione delle entrate alle cliniche a una sola porta, il triage del personale e altri controlli. Questo lo hanno fatto e lo stanno facendo anche altri ospedali e quindi i pazienti possono muoversi, continuando però a prendere le precauzioni.
Se fosse un paziente, lei quindi in ospedale ci andrebbe...
Oltre al fatto che ci lavoro, le dico: oggi come oggi ci andrei tranquillamente, prendendo naturalmente le giuste misure. È importante adesso far capire, a chi fino a oggi è stato a casa con problemi di salute, che non deve avere paura di tornare in ospedale.
Che lezione crede possa imparare il settore sanitario dalla crisi Covid?
Credo innanzitutto che cambierà il modo dei cittadini relazionarsi con la sanità. Il fatto che molti in queste settimane abbiano desistito dal recarsi in ospedale o in pronto soccorso per le bagatelle, può significare che i cittadini possono aver capito che le strutture sanitarie vanno utilizzate quando si ha realmente bisogno. Molto può essere fatto per esempio dai medici curanti. Credo che si possa andare verso un uso di ospedali e cliniche più responsabile. Questo potrà avere dei benefici anche sui costi. Inoltre, probabilmente bisognerà fare una riflessione sulla valorizzazione degli infermieri. In generale infine, mi auguro una serie di riflessioni sugli aspetti migliorabili che prima non eravamo riusciti a fare perché i ritmi erano troppo veloci. Ora, che ci piaccia o no, abbiamo dovuto frenare tutti e ci siamo accorti che determinate cose si possono fare diversamente.