I liberali con un seggio in meno e il raddoppio dei rosso-verdi: questo lo scenario più realistico sulla base delle elezioni cantonali e federali del 2019
Il Ppd o il Plr perderanno un seggio? La Lega saprà difendere la propria maggioranza relativa? L’area rosso-verde sarà in grado di fare il raddoppio? E poi ancora: le nuove formazioni – Movimento Ticino e Lavoro, Mps/Pop e Più Donne – riusciranno a far breccia perlomeno in Consiglio comunale (Cc)? A Lugano è arrivata l’ora di fare i calcoli. Dopo le turbolente fasi di ricerca e approvazione dei candidati per le elezioni comunali di aprile, la campagna elettorale entra nel vivo.
A differenza del 2016 – quando dalle urne scaturì un Municipio fotocopia, a eccezione dell’ingresso di Roberto Badaracco al posto dell’uscente Giovanna Masoni Brenni –, regna l’incertezza. Non solo per i già numerosi colpi di scena che questa prima fase ha regalato, ma anche perché gli equilibri di rappresentanza potrebbero subire delle mutazioni.
Basandoci sui quozienti elettorali per la ripartizione dei seggi – consultabili sul sito www.ti.ch/diritti-politici –, abbiamo quindi provato a fare un esercizio per capire quali sono le soglie che determineranno l’avanzata, la difesa o la perdita delle posizioni di partito. Una sorta di simulazione quindi, in considerevole parte di fanta-politica però. È importante precisare che, in particolare per il Cc, l’assegnazione dei seggi dipenderà da parametri flessibili che saranno noti unicamente a spoglio concluso, come ad esempio il numero totale di voti. Riguardo al Municipio, tuttavia, qualche certezza c’è. Per le nostre proiezioni ci siamo basati sui voti a Lugano durante le elezioni cantonali di aprile 2019 e quelle nazionali di ottobre.
È sicuro infatti che per eleggere almeno un rappresentante in esecutivo, i partiti devono superare il 12,5% dei consensi. La formazione più vicina a questa soglia, alle comunali, era stato il Ppd dell’uscente Angelo Jelmini. Allora i voti – compresi quelli dei già ‘congiunti’ Verdi liberali – furono il 13,5%. Difficile dire se il partito abbia perso o meno l’1% nel quadriennio. Il municipale che non si ripresenta e tensioni interne, con tanto di consiglieri comunali ben votati come Sara Beretta Piccoli e Giovanni Albertini che corrono col Movimento Ticino e Lavoro: sulla carta il Ppd è molto a rischio.
Prima di decretarne il requiem, è necessaria però un’importante dose di prudenza. Agli ultimi appuntamenti elettorali, il Ppd (sempre congiunto coi Verdi liberali, nei nostri calcoli) non ha sfigurato: il 14,2 e il 15,6% rispettivamente per Gran Consiglio e Consiglio di Stato alle elezioni cantonali, il 15% al Consiglio nazionale lo scorso ottobre. Elezione che vai, dinamica che trovi, certo. Ma stando agli ultimi test alle urne il Ppd rischia, ma potrebbe riuscire nel suo obiettivo principale: confermare il seggio.
Discorso diverso nell’altro partito centrista, il Plr. In flessione già nel 2016 rispetto al 2013 – dal 33,2 al 31,4% –, per confermare i due municipali i liberali dovrebbero fare almeno il 25%. Un compito all’apparenza semplice, se non che la locomotiva elettorale, il vicesindaco Michele Bertini, non sarà della partita, e alle elezioni cantonali e federali il partito figura tra gli sconfitti: 23,9% (Consiglio di Stato), 24,3% (Gran Consiglio) e 20,3% (Consiglio nazionale), le preferenze raccolte. Pare forse un po’ azzardato da dire, visto che dovrebbe lasciare sul campo oltre il 6% dei voti, ma ad oggi a perdere il seggio potrebbe essere proprio il Plr.
Con altrettanta prudenza, si potrebbe ipotizzare che a rubargli il seggio potrebbe essere il fronte rosso-verde. Ps, Verdi e Comunisti nel 2016 si fermarono al 16,7%, ben lontani dal 25% del raddoppio. Se ad aprile le tre formazioni assieme erano ancora sotto alla soglia – 22,3% per il governo e 22,7% per il parlamento –, il vero exploit è arrivato a ottobre, col 27%. Un risultato tuttavia parzialmente falsato dal fatto che delle varie anime unite sotto Verdi e Sinistra alternativa hanno fatto parte anche Movimento per il socialismo (Mps) e Partito operaio popolare (Pop), che hanno scelto a Lugano invece di correre autonomamente. Mps e Pop alle elezioni cantonali hanno ottenuto il 2,2%: tecnicamente sufficiente per riscendere sotto il 25%.
Sonni più tranquilli in casa Lega e Udc, che nel 2016 – col 37,3 – sfiorarono il 37,5% necessario per assegnare i tre municipali, che effettivamente l’area conta, già in prima battuta. Risultati inferiori sono stati ottenuti sia alle elezioni cantonali – 31,4 e 31,9% rispettivamente per Consiglio di Stato e Gran Consiglio – sia a quelle federali, col 34,7% per il Consiglio nazionale. Riassumendo: Plr e Ppd/Verdi liberali ne farebbero uno a testa, Lega/Udc e Ps/Verdi/Pc due. Il totale sarebbe di sei, ne resterebbe quindi da attribuire uno, e si dovrebbero procedere pertanto con la seconda ripartizione. Sia nel 2016 che nel 2013 i voti complessivi durante le tornate elettorali per le comunali erano stati poco più di 239’000. Ipotizzando uno stesso ordine di grandezza e utilizzando il modello caricato sul sito del Cantone, sulla base dei dati elettorali del 2019, a ottenere il settimo seggio sarebbero... Lega e Udc, che confermerebbero così la propria maggioranza relativa nell’esecutivo di Palazzo civico.
Questo lo scenario più realistico, a oggi, di quanto potrebbe accadere a Lugano il 5 aprile. Una prospettiva che modificherebbe significativamente gli equilibri. La conferma, o smentita, l’avremo comunque solo alle urne, senza dimenticare altre ipotesi sul tavolo: la perdita del seggio Ppd, lo status quo, il quarto rappresentante di Lega e Udc.