Due cittadini albanesi hanno respinto le principali imputazioni, ma la Corte delle assise criminali ha ritenuto credibili i consumatori di droga
Un’inchiesta antidroga partita "dal basso", dove a sostanziare le accuse di spaccio di cocaina sono stati questa volta i consumatori, che hanno additato i loro pusher, anche con confronti diretti in Magistratura. Ma "in alto" i diretti interessati questa mattina hanno in buona sostanza negato gli addebiti. Così al processo svoltosi oggi davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano, che ha visto imputati due cittadini albanesi di 27 e 30 anni, accusati di più traffici della sostanza stupefacente. I giudici hanno creduto ai consumatori di cocaina e hanno dunque emesso due sentenze di condanna: il 27enne, ha stabilito la Corte, ha spacciato il maggior quantitativo di droga: oltre 1,2 chili di cocaina ed è stato condannato a 4 anni di carcere. Il 30enne, invece, ha trafficato complessivamente 700 grammi e per lui la pena è stata di 3 anni, di cui 18 mesi posti al beneficio della sospensione condizionale. Entrambi sono stati espulsi dalla Svizzera per 8 anni.
Tra i quantitativi più importanti emersi dalle indagini, i 5-6 chili di cocaina che i due avrebbero custodito nell’appartamento di un forte consumatore a Rivera, cosicché lui in cambio poteva ottenere la droga a credito. Ma, benché i giudici abbiano ritenuto credibile il consumatore, l’elevato quantitativo è stato ritenuto arbitrario e dunque la Corte ha ritenuto in sentenza un "indeterminato quantitativo".
«Mai sentito il suo nome, mai conosciuto» - si erano difesi i due imputati in mattinata, ribadendo la loro estraneità alla custodia della droga. In particolare, il più anziano dei due, a fronte di un circostanziato atto d’accusa ha ammesso unicamente la vendita di 45 grammi di cocaina.
Il procuratore pubblico, Nicola Respini, che aveva proposto 4 anni e 10 mesi di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per 10 anni per entrambi gli accusati, aveva evidenziato come i due fossero arrivati in Svizzera dando di loro l’immagine di commercianti di auto, ma di fatto hanno condiviso, alloggiando in un appartamento di Paradiso, lo smercio di cocaina. Tesi, questa, confermata dalla Corte.
Gli avvocati di difesa, Letizia Ghilardi e Chiara Buzzi, avevano richiesto dal canto loro condanne poste al beneficio della sospensione condizionale, contestando in particolare l’attendibilità dei consumatori che hanno chiamato in causa i due cittadini albanesi. Le due legali avevano posto l’accento sul tenore indiziario dell’ inchiesta, per cui in caso di soli indizi "i giudici sono chiamati ad applicare il principio in dubio pro reo". Ma per la Corte i due impuati hanno in buona parte mentito e non si sono assunti le loro responsabilità e hanno soggiornato in Svizzera solo per vendere droga e conseguire facili guadagni.