Alle Scuole medie un unicuum ticinese: il gioco diventa un’ attività didattica tramite il progetto della 4B che resterà per le classi degli anni prossimi
“Siete un gruppo di influencer famosi per i vostri innovativi video sul paranormale”. Accattivante e in linea coi tempi. Inizia così il testo che verrà consegnato ai giocatori prima di entrare in un’escape room diversa dalle altre. Si tratta infatti del frutto dell’intenso lavoro svolto dalla 4B della Scuola media (Sme) di Camignolo, guidata dal docente di classe Igor Negrini (cfr. correlato). Un’attività didattica, educativa e anche ludica, nonché una prima per il contesto scolastico ticinese. Non ci sono infatti altre sedi, per ora, che ospitano quello che è a tutti gli effetti un gioco collettivo di logica. Lo scopo è, sulla carta, semplice: risolvendo una serie di enigmi sparsi per la stanza, si riesce a uscirne. Il tutto in un’ora di tempo.
Dall’allestimento dell’escape room all’ideazione della storia e degli indovinelli da risolvere, il lavoro è stato tanto. Oltre che con il docente e la direttrice (v. sotto), ne abbiamo parlato anche con alcuni dei ragazzi che hanno creato il progetto dalla A alla Z. «Ognuno ha ideato un indovinello – ricorda Benito –, poi li abbiamo discussi per decidere quali utilizzare. Il mio purtroppo non è stato scelto (sorride, ndr), ma una parte della mia idea è stara riusata. In generale, nessuno è rimasto senza fare nulla». Fra gli enigmi approvati invece, quello di Alex: «Io e una mia compagna ne abbiamo creato uno nel quale, partendo da tre sostanze e mischiandole con una quarta, si arriva a una scala di colori che dovrebbe portare a un codice». E l’idea da dov’è arrivata? «Ci è venuta tramite quel che abbiamo fatto l’anno scorso a scienze». «È stato bello e divertente, ma anche abbastanza faticoso – per Noè –. Non è stato semplice decidere la storia: abbiamo fatto un sondaggio fra le altre classi per scegliere la storia da utilizzare fra le cinque ideate». E sebbene ci sia un po’ di dispiacere che «non saremo noi a fare l’escape room», «è bello sapere che altri faranno qualcosa che abbiamo creato noi». «Mi sento migliorato nell’organizzazione e nella pianificazione, di solito sono abbastanza disorganizzato» ammette infine Joele, che scherza: «Io sono stato la mente, gli altri il braccio (ride, ndr)».
Brevi impressioni. Diverse, ma simili nell’entusiasmo adolescenziale e nella comune consapevolezza di essere maturati. «È stata bella la collaborazione fra di noi – dicono praticamente all’unisono –. Si lega di più anche con quelle persone alle quali magari si dava meno attenzione. Ci abbiamo messo tutto il cuore». E se non è un insegnamento questo.
«Sì, ha anche una dimensione ludica, ma sia la fase di creazione della stanza e delle attività, che quella di svolgimento effettivo (dall’anno scolastico prossimo, ndr), rientrano negli scopi della scuola media: stare insieme, collaborare. Sono aspetti importanti, in quanto si tratta di un’attività dove ognuno può dare il suo. E anche il fatto che siano gli allievi stessi ad aver creato gli indizi è molto positivo e formativo». È la direttrice della Sme di Camignolo Claudia De Gasparo a spiegarci brevemente il senso di un’escape room a scuola e come mai il plenum dei docenti abbia accolto un’idea tanto originale. Presentata l’anno scorso, l’iniziativa verrà ridiscussa quest’anno. «Al prossimo plenum proporremo di mantenere lo sgravio per Igor Negrini anche per l’anno scolastico 2019/20, affinché possa accompagnare la fase di messa in funzione – spiega –. Questo significa testare l’escape room, ma anche fare una piccola formazione per gli insegnanti che vorranno usarla e poi, perché no, metterla a disposizione di altre sedi se desidereranno utilizzarla».
Nonostante il nome in inglese col quale sono diventate note in tutto il mondo, le escape room hanno origini giapponesi. Fu proprio nel paese del Sol Levante che – una decina d’anni fa – furono ideati i primi giochi di fuga reali: una ventina di persone divise in squadre che dovevano risolvere degli indovinelli per poter vincere. L’idea piacque e si espanse, raccogliendo egual successo, nell’Estremo Oriente: Pechino, Shanghai, Singapore. Nel 2011 il gioco sbarcò in Europa – a cominciare da Budapest – e da lì si diffuse in tutto il continente, mentre l’anno successivo toccò a San Francisco e al resto degli Stati Uniti. Dal 2015, partendo da Torino, l’escape room ha preso piede anche in Italia (e in Ticino) e proprio la vicina Penisola vanta un primato: a Milano si trova la più grande d’Europa. Oggi si tratta di un vero e proprio fenomeno di costume, con migliaia di stanze da cui fuggire disseminate nel mondo, di svariati tipi: prigioni, uffici, laboratori, manicomi e persino monasteri. Stanno diventando sempre più competitive, ma la prima regola non è cambiata: divertirsi, sviluppando le proprie abilità.
«Abbiamo fatto scuola, ma creando». Igor Negrini, docente d’italiano e di classe della 4B che ha realizzato l’escape room, incarna quell’idea di formazione che da anni si fa largo nella Scuola ticinese: le competenze disciplinari incontrano la creatività e l’interdisciplinarità.
A differenza dei propri allievi (cfr. articolo principale), l’insegnante ha una grande esperienza in fatto di escape room: «Ne ho fatte almeno un’ottantina». Dalla passione, l’idea di proporre l’attività ai suoi ragazzi. Ma perché? «Ha una grande funzione didattica e educativa – spiega –. Fa emergere competenze trasversali, diverse da quelle canoniche. Ad esempio, c’è magari il ragazzo poco brillante nelle verifiche di studio mnemonico, ma che responsabilizzato in un contesto del genere ha dimostrato la sua grande abilità al computer. E poi è un’attività utilissima anche per il docente, per capire le dinamiche di gruppo, che sono bellissime da osservare in un contesto completamente diverso rispetto a quello in aula».
E l’aula scelta per l’escape room era in disuso: ospitava le lezioni di ginnastica correttiva. «Hanno fatto tutto i ragazzi – ricorda entusiasta Negrini –. Hanno pulito, ripitturato, siamo andati a comprare i mobili. Hanno fatto un grosso lavoro, sono molto soddisfatto». Arredamento finanziato, altro segno di responsabilità, coi soldi della cassa comune degli allievi. La fase di allestimento è stata preceduta da una teorica «di elaborazione del contesto scenografico e narrativo», iniziata a settembre. Oltre alla produzione scritta e orale, il progetto si caratterizza per una forte interdisciplinarità. «È stato portato avanti con altri docenti (scienze e matematica per esempio, ndr), senza di loro sarebbe stato impossibile». E gli enigmi – adatti in parte al primo ciclo e in parte al secondo – riflettono quest’aspetto: «C’è quello matematico, c’è la comprensione del testo o altri manuali». L’attività è pensata su due ore di lezione, da fare una volta con metà classe e poi con l’altra. E il docente? «Segue dall’interno lo svolgimento, fungendo anche da aiuto in caso di bisogno».