Un progetto che ha preso vita nel Luganese propone lo yoga come opportunità di integrazione fra rifugiati e residenti
Pubblichiamo un articolo apparso venerdì 27 aprile su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il finesettimana
Mentre a Lugano la temperatura a fine marzo è ancora invernale, alcuni raggi di sole entrano nella soffitta e illuminano 13 donne, tra cui nove migranti, che si muovono seguendo il ritmo del proprio respiro. Provengono da continenti e mondi diversi, eppure ora sono tutte sullo stesso tappetino. Non è un tappeto magico che permette loro di raggiungere il luogo che sognano e nemmeno la zattera con la quale alcune sono giunte in Italia dopo viaggi strazianti. È il tappetino sul quale possono essere loro stesse e togliere le loro vesti di mamme, mogli, migranti, di donne musulmane e ortodosse. Non ci sono etichette né aspettative qui. Tra le mura protettive di una soffitta luganese dove si pratica un’antica disciplina indiana, possono muovere i loro corpi e respirare a pieni polmoni l’energia del gruppo.
È un gruppo eterogeneo, come ogni lunedì pomeriggio. Pensato proprio per accoglierle in una comunità formata da altre donne che regolarmente srotolano qui il tappetino per praticare yoga. Tra di esse c’è anche Elena Pozzi, maestra di yoga ideatrice di questa iniziativa. Oggi ha deciso di lasciare la conduzione della lezione ad Agata Czaplicki, ma quando nota qualcuno in difficoltà si avvicina per dare subito una dritta, per fare un piccolo aggiustamento o per fornire una parola d’incoraggiamento.
Nessuna delle nove donne rifugiate che si trovano a lezione – provenienti da Siria, Eritrea e Afghanistan – conosceva lo yoga prima che l’iniziativa di Elena prendesse forma. Alcune avevano praticato altre attività sportive, come Naema, che in Siria ha insegnato educazione fisica e religione per 27 anni prima di partire per la Svizzera 4 anni fa. Lo yoga rappresenta per tutte una novità nella quale si sono immerse da alcune settimane.
Grazie alla disponibilità dello spazio data dalla Città di Lugano, dallo scorso settembre fino a dicembre Elena ha insegnato a un gruppo formato da donne rifugiate e ticinesi all’interno del Centro giovani di Viganello. Mentre dalla fine di febbraio la lezione settimanale si è spostata nello studio Yoga Roof in via Canova a Lugano, di Mara Bertelli ed Enrique Sanz, che hanno offerto a Elena la possibilità di proporre le sue lezioni in un vero e proprio regno dello yoga brulicante di partecipanti, invece che in un contesto creato appositamente per loro.
«L’idea mi è venuta quando ho cominciato a essere attiva come volontaria assieme a Roberta Gallini per un progetto del Soccorso Operaio Svizzero (Sos)», racconta Elena. «Si trattava di un gruppo di dialogo e di lettura in italiano che era stato creato con l’obiettivo di favorire l’integrazione delle donne rifugiate che sono in Svizzera da qualche anno ma faticano ad avere contatti con la gente del posto». Elena racconta infatti che le migranti incontrano e condividono esperienze con le loro compatriote, ma poche conoscono le abitudini della vita in Ticino. «All’inizio erano timide e per me, che sono ucraina e l’italiano non è la mia madrelingua, non è stato facile – continua Elena – ma con il passare del tempo si sono aperte e hanno iniziato a raccontare le loro vite».
Esprimendo il desiderio di abbinare all’intento integrativo anche la sua grande passione per lo yoga, Elena ha poi trovato in Rebecca Simona di Sos Ticino una grande sostenitrice. «Partendo da una semplice idea siamo riuscite a coinvolgere tante persone e a generare molto interesse», ci spiega Rebecca. «C’è sempre più gente che ci contatta, tra cui insegnanti che si offrono volontarie perché colpite dall’intento positivo di quest’iniziativa legata allo yoga. E ora sta nascendo un progetto simile a questo anche a Locarno».
Scattano le 15 e a Yoga Roof c’è ancora un po’ di trambusto, mentre alla reception la volontaria Veronica Simona segna le presenze. Qualcuna si sta togliendo le scarpe, un’altra si procura il tappetino perché il suo l’ha dimenticato a casa. Ma Elena e Agata richiamano il gruppo alla calma e la lezione inizia.
Al di là dello spazio o del materiale che sono stati facilmente trovati grazie alla generosità di alcune persone, una grande missione portata avanti da Elena nei primi 3 mesi è stata quella di responsabilizzare le partecipanti e di trasmettere il senso di disciplina che caratterizza lo yoga. «All’inizio avevano i loro ritmi e non era facile gestire il gruppo e far capire loro che non si poteva urlare da una parte all’altra della sala», spiega Elena.
Oggi in effetti regna il silenzio e ognuna interiorizza la pratica, seppur regalando alle vicine un sorriso quando gli sguardi s’incrociano. Gli occhi sono truccati con elegante kajal nero: mi colpiscono quelli di Zahra, originaria dell’Afghanistan, che indossa anche un filo di rossetto. È qui con la nuora Jamileh, 30 anni, che definisce lo yoga «eccezionale». «È un’ora in cui non devi pensare a niente», aggiunge. Ormai si trova in Svizzera da quasi 5 anni e mezzo e ha ottenuto un permesso «B». Come lei la maggior parte delle donne che frequenta le lezioni ha lo statuto di rifugiata. Non tutte però. Altre richiedenti l’asilo hanno ottenuto un permesso che dà loro diritto a un’ammissione a titolo provvisorio.
Per molte la precarietà del loro soggiorno in Svizzera è fonte di grande preoccupazione e paura, ci spiega la maestra odierna, Agata. In esse è ancora forte il ricordo del difficile viaggio che le ha portate fin qui, dopo aver deciso di fuggire dalle loro case e da parte dei loro familiari. Un viaggio straziante che può durare mesi o anni, e che per una donna può rappresentare un ostacolo ancora più grande da superare rispetto ai compagni di viaggio uomini.
Le lezioni di yoga vogliono proprio enfatizzare il potenziale femminile di queste migranti, scarsamente valorizzate nella nostra società, fornendo loro una zona di comfort. Nelle attività che prevedono gruppi misti (uomini e donne), raccontano Elena e Agata, le donne sono solitamente molto timide, anche a causa del forte influsso religioso nelle loro vite. Qui invece possono esprimersi e vestirsi come vogliono.
Alcune tengono le calze, altre praticano come da tradizione a piedi nudi. Nessuna indossa il velo, anche se un paio se lo mettono prima di uscire dallo studio. Spiccano lunghi capelli setosi e treccine africane, cavigliere etniche e smalto per le unghie rosso e nero. Portano vestiti comodi. Condizioni che potrebbero sembrare normali ma che sono il risultato dei primi mesi di lezione. Le prime volte, scopriamo, alcune sono arrivate indossando vestiti eleganti. Zahra, per esempio, nel corso di questi mesi ha smesso di indossare il velo. Mi mostra la sacca di seta per il tappetino sul quale ha ricamato lei stessa il simbolo sanscrito Om: si tratta di un’iniziativa nata sempre a Yoga Roof sulla scia delle lezioni, alla quale tutti possono partecipare fornendo degli scampoli di stoffa. Da poco vengono infatti organizzati degli incontri aperti a donne migranti e non nel locale GodSpeed a Pambio Noranco (negozio di bici elettriche e bar affiliato a Yoga Roof) durante i quali si realizzano dei porta-tappetini da vendere per finanziare il progetto delle lezioni.
Trattandosi di un’attività fondata sul volontariato, queste apposite lezioni sono gratuite e si basano su un’offerta spontanea da parte delle partecipanti ticinesi. Offerte che vanno a finanziare un fondo pensato per permettere alle donne migranti di iscriversi a lezioni di yoga aperte a tutti. Obiettivo: migliorare ulteriormente la loro integrazione sul nostro territorio.
L’attività viene certamente apprezzata, come ci conferma Yodith, eritrea, che ha 30 anni ed è in Svizzera da quasi cinque. Lo yoga «mi piace molto», «mi rilassa». È venuta qui con una sua amica compatriota. Alcune partecipanti si conoscono, altre no, ma tra tutte regna un senso di complicità e di solidarietà. Per esempio quando la vicina di tappetino fatica a mettersi in una posizione e ha bisogno di un po’ d’aiuto.
La lezione sta volgendo al termine e la maestra Agata chiude la pratica conducendo le 13 donne in un unico suono Om richiamando l’attenzione sullo scambio di energie che è avvenuto l’una accanto all’altra sul tappetino: chi vicino a casa, chi a migliaia di chilometri di distanza dalla propria. Una condivisione che unisce, esprimendo appieno il significato della parola yoga, letteralmente “unione”.
Due donne migranti, che apparentemente non si conoscevano prima, si abbracciano per davvero. Naema, che è una chiacchierona e che dopo le lezioni che si svolgevano a Viganello portava sempre la merenda per tutte, riprende a parlare e ci racconta di aver lavorato per due mesi la scorsa estate. Si è presa cura di alcuni bambini qui a Lugano. Prima di uscire dallo studio aggiunge che della Svizzera le piace l’accoglienza della gente. «Hanno abbracciato tutti», ci spiega mimando il gesto con le braccia.
Le lezioni di yoga per donne migranti con insegnanti volontarie si svolgono tutti i lunedì dalle 15 alle 16 a Yoga Roof, via Canova 18 a Lugano. La partecipazione è aperta solo a donne, con offerta libera (contributo minimo 10 franchi); il ricavato servirà per finanziare il fondo «Lezioni sospese». Prendendo spunto dalla tradizione napoletana, dove si può lasciare un «caffè sospeso» al bar per la prossima persona che ne avrà bisogno ma non avrà i mezzi per permetterselo, Yoga Roof intende dare la possibilità alle donne migranti di pagarsi le lezioni di yoga aperte a tutti. Nelle due sedi di Yoga Roof, in centro e a Pambio Noranco, sono anche presenti degli appositi salvadanai per le offerte. Iscrizioni tramite il sito di Yoga Roof (yogaroof.com) oppure contattando i numeri 091 224 81 34 o 091 224 81 35.