A breve un incontro dell'autorità comunale con l'architetto della famiglia proprietaria. Lo storico edificio sulla Rivapiana fu anche caserma di mercenari
Si riapre l’affascinante capitolo di un utilizzo pubblico della Cà di Ferro, edificio di grande pregio storico e architettonico situato lungo via alla Riva, su quella che più comunemente viene definita la Rivapiana di Minusio. Intenzione del nuovo sindaco Renato Mondada, e con lui del suo Municipio, è, stando a quanto appreso da ‘laRegione’, riallacciare in tempi rapidi i contatti con la famiglia Fischer, proprietaria che dopo il decesso dell’avvocato Franz Fischer avrebbe oltremodo diradato la sua presenza a Minusio, per altro continuando a non lesinare sulle ingenti spese di manutenzione che l’ampio comparto richiede. Anello di congiunzione fra l’ente pubblico e la famiglia proprietaria è l’architetto locarnese Alain Poroli, che proprio nel corso della prossima settimana avrà un incontro con l’autorità comunale.
Nuova luce sulla Cà di Ferro si è posata recentemente grazie a una serie di eventi culturali all’aperto organizzati in loco, ma anche dopo che la Ticino Film Commission ha messo gli occhi sulla struttura, ottima “location” per produzioni cinematografiche di ambientazione storica. Fra quelle più importanti realizzate proprio negli spazi dell’ex edificio militare, ricordiamo un documentario biografico su Patricia Highsmith, girato nel ’21, proprio nell’anno del centenario dalla nascita della celebre scrittrice vissuta ad Aurigeno e Tegna.
Non solo: le porte della Cà di Ferro sono state aperte – e i suoi magnifici giardini ammirati – in occasione di visite private organizzate da enti o associazioni come ad esempio l’Antenna ticinese dei Verbanisti. A una di queste aveva partecipato anche il vostro redattore, sotto la guida dello storico ed esperto di architettura militare Marino Viganò. L’impressione che ne avevamo tratto era stata quella di un autentico tesoro in gran parte inespresso, proprio perché quasi sempre chiuso al pubblico. Ambienti, saloni, spazi e architettura non hanno nulla da invidiare rispetto a oggetti paragonabili, che sono grandi attrazioni turistiche storico-culturali nelle città europee. Da lì la necessità di riprendere il discorso sul ruolo pubblico della Cà di Ferro. La storia stessa dell’edificio e del suo contesto bastano a stuzzicare la curiosità. La Cà di Ferro nasce come “La Vignaccia”; sarà ribattezzata soltanto a fine XIX secolo per le sue inferriate alle finestre. È in origine un edificio militare voluto da Peter a Pro (1510 circa-1585), colonnello del Cantone Uri al servizio della Francia fra il 1546 e il ’59. Caserma di mercenari destinati in Piemonte, poi deposito di grani e vino spediti dal Milanese nella Confederazione, l’edificio venne progettato e costruito, si pensa, dal brissaghese Giovanni Beretta e dal figlio Pietro, architetti di fabbriche religiose e civili nell’area del Verbano. Di fatto “La Vignaccia” era una piccola fortezza “mascherata” allo snodo fra le regioni di reclutamento nei Cantoni confederati, e d’impiego tra Piemonte e Francia. Non a caso non venne demolita, mentre vi era il divieto implicito di costruire fortificazioni nei baliaggi di lingua italiana.
Su queste basi storiche non è complicato accendere la progettualità dei nostri esperti di turismo. Se sente parlare di Cà di Ferro, il minusiense Benjamin Frizzi, direttore operativo dell’Organizzazione turistica Lago Maggiore e Valli, pensa subito al suo grande potenziale: «Questo genere di strutture generano senza dubbio un grande interesse anche dal profilo turistico. Mi riferisco in particolare alle Fortificazioni del San Gottardo, con la struttura museale del Forte Airolo, oppure al Forte Olimpio a Magadino. Gli esempi di certo non mancano. Quanto alla Cà di Ferro, per situarla in questo contesto sarebbe opportuno poterla visitare compiutamente, anche se è evidente che siamo di fronte a un edificio storico di grande pregio, che sarebbe bello poter inserire nel nostro portfolio per poterlo promuovere a livello turistico, partendo ad esempio dalle leggende che tutti conosciamo, fra cui quella dei misteriosi cunicoli che lo collegherebbero direttamente al Castello Visconteo… Vero o meno che sia, siamo già nel campo del mito, che attira sempre grande curiosità. Quindi, se l’ente pubblico dovesse riuscire a trovare un accordo con l’attuale proprietà, sarebbe tanto di guadagnato anche dal punto di vista dell’attrattività turistica, che già, in questo settore, beneficerà notevolmente del progetto di ristrutturazione proprio del Castello. Per non tacere di proposte come ad esempio il Rivellino, che nell’ambito del “Locarno time travel tour” è un luogo che suscita tantissimo interesse».
Come accennato, a breve è previsto un incontro esplorativo fra l’architetto della famiglia Fischer, Poroli, e l’autorità comunale di Minusio, rappresentata dal sindaco Mondada. Quest’ultimo ricorda per altro qualche antefatto: «Ero in effetti stato coinvolto nei “pourparler” durante la passata legislatura, quando ero vicesindaco. Dopo il decesso dell’avvocato Fischer, avevamo preso contatto in primo luogo con la vedova, poi con il Museo nazionale svizzero, organizzando un incontro fra le parti, che era avvenuto proprio alla Cà di Ferro unitamente allo storico ed esperto di architettura militare Marino Viganò. L’idea era di esplorare, tutti insieme, la giusta formula per fare della Cà di Ferro un’antenna ticinese del Museo nazionale svizzero, che è un’istituzione di grande importanza culturale, certamente capace di gestire nel modo migliore un oggetto di questo valore, ovviamente con finalità pubbliche. La signora Fischer aveva preso atto del “progetto”, chiedendo del tempo per rifletterci. Dopodiché la trattativa si era purtroppo arenata». A priori, tornando al presente e già guardando all’incontro col rappresentante locarnese della famiglia Fischer, il sindaco ipotizza «un intervento diretto dei servizi del Comune nei lavori di manutenzione esterna, naturalmente nel caso di una possibilità di usufrutto pubblico, che dovrebbe venire regolato da una speciale convenzione. Il mio personale auspicio è che da questo “tesoro nascosto” sulla nostra Rivapiana si possa un giorno togliere il velo, rendendolo accessibile per valorizzarlo come merita».