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‘Non voglio restare quello che incendiò la casa del delitto’

Verrà trasferito allo Stampino dove potrà provare a rifarsi una vita, il 22enne che diede fuoco al rustico di Avegno in cui il fratello uccise la madre

In sintesi:
  • Condannato a 20 mesi sospesi per seguire un trattamento inizialmente stazionario, da rivalutare strada facendo
  • Negli scorsi mesi era fuggito due volte da Villa Argentina, dove si trovava per una misura di assistenza riabilitativa anticipata
13 maggio 2024
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Verrà trasferito il prima possibile allo Stampino (la sezione aperta del carcere penale), dove se il percorso psicoterapeutico stazionario darà i suoi frutti, potrà presto passare a un trattamento ambulatoriale e provare, anche lavorando o studiando, a riprendere in mano la sua vita.

È il destino, deciso dalla Corte delle Assise criminali di Lugano presieduta dal giudice Mauro Ermani, al quale andrà incontro il 22enne valmaggese che la sera del 24 gennaio 2023, sotto l’effetto di alcol, farmaci e stupefacenti, forzò i sigilli della polizia e diede fuoco al rustico di Avegno nel quale nell'aprile del 2022 suo fratello maggiore (di un anno), in preda a un raptus di follia, aveva brutalmente ucciso nel sonno la madre.

Una seconda (e terza) occasione non sfruttata

«Ho perso tutto ma non mi abbatto, voglio rialzarmi e diventare qualcuno, non voglio essere ricordato come il ragazzo che incendiò la casa dove il fratello ha ammazzato la madre», le parole del giovane, che si era già presentato lo scorso luglio alle Assise correzionali per rispondere delle accuse appunto di incendio intenzionale e rottura di sigilli, ma anche, per alcuni altri episodi avvenuti in diverse località del Ticino tra l’agosto 2021 e il gennaio 2023, di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, danneggiamento e contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti.

Allora Ermani aveva optato, d’accordo con accusa (il procuratore pubblico Zaccaria Akbas) e difesa (l’avvocato Stefano Genetelli), di sospendere il processo ordinando una misura di assistenza riabilitativa anticipata, per un periodo di prova di circa tre mesi da passare in una struttura – Villa Argentina – in cui trattare la tossicodipendenza e il disturbo della personalità di tipo misto. Una decisione che voleva offrire all’allora 21enne un’opportunità per un futuro diverso, alla luce proprio della giovane età e del vissuto traumatico, caratterizzato dal delitto della madre ma anche da anni di abuso di alcool e ricoveri intermittenti in clinica psichiatrica. Lo stesso giudice aveva però messo in guardia il ragazzo sul fatto che in caso di fallimento, ad aspettarlo ci sarebbero state non più le correzionali bensì le criminali e il carcere.

Due fughe e la carcerazione di sicurezza

E così è stato, perché alle buone intenzioni l’imputato non è riuscito a far seguire i fatti, fuggendo due volte dalla struttura: la prima, nel novembre 2023, perché in seguito alla morte di un suo amico voleva, ha spiegato in aula, «onorare il patto di brindare in suo onore», prima di riconsegnarsi alle autorità chiedendo di venir incarcerato. Riammesso a Villa Argentina, è nuovamente scappato lo scorso 8 gennaio, dopo essersi ritrovato da solo (e su questo il giudice ha evidenziato che effettivamente sarebbe servita più attenzione) a leggere l’istanza del processo al fratello, attraverso la quale ha appreso per la prima volta nei dettagli com'è morta la madre.

A tal proposito, da sottolineare come, una decina di giorni fa, il 22enne si trovasse in quella stessa aula di tribunale in occasione del procedimento contro il "fratellone", riconosciuto colpevole di assassinio ma trasferito in una struttura psichiatrica chiusa d’oltre Gottardo in quanto non punibile, alla luce del fatto che al momento del delitto si trovava in uno stato mentale di completa dissociazione dalla realtà. Il 22enne, presente in qualità di accusatore privato, aveva definito il fratello più grande un mostro che picchiava lui e la madre, chiedendo un risarcimento plurimilionario e ottenendolo infine di 50mila franchi.

Tornando al “suo” processo, dopo la seconda fuga e dopo aver subito, a Milano, un’aggressione con un coltello, il giovane si è nuovamente costituito, ma stavolta è stato portato al carcere la Farera. Dove però i problemi per lui sono proseguiti, visto che in seguito a minacce nei confronti di una guardia (secondo l’imputato rea di avergli rivolto insulti razziali), è stato trasferito nel comparto securizzato, dove è costretto a rimanere nella sua cella per 22 ore al giorno.

«Voi pensate che una volta uscito dal carcere ricomincerò a bere, ma io voglio essere riabilitato, voglio lavorare e prendere in mano la mia vita, non rimanere un reietto – ha ribadito rivolgendosi alla Corte il valmaggese, che sta seguendo anche una terapia farmacologica (soprattutto antidepressivi) –. Mi dispiace per quello che ho fatto, anche per come mi sono comportato con la polizia, me ne pento, ma annegavo nell’alcool e il carcere me l’ha fatto capire, mi ha fatto nuovamente vedere la luce. A settembre vorrei iniziare la scuola per imparare un mestiere, mi piacerebbe fare il giardiniere o lavorare in ferrovia».

Il giudice: ‘È ancora presto per la libertà, per quanto sarà così dipenderà da lei’

Un appello in parte accolto dal giudice Ermani, che seguendo l’indicazione del perito e in sostanza anche con il benestare di accusa (che chiedeva 24 mesi sospesi) e difesa (18 mesi sospesi e la rivalutazione del trattamento allo scadere del periodo di pena, tenendo in considerazione anche i circa 16 mesi già scontati in regime di espiazione preventiva), ha deciso per una pena di 20 mesi sospesi per seguire un trattamento inizialmente stazionario, ma da rivalutare strada facendo attraverso la psicoterapia e tenendo anche conto degli esami tossicologici (visto il rischio di abuso di alcool e altre sostanze). Tutto questo come detto allo Stampino, anche perché alla Farera non sembrano più esserci le premesse adatte, mentre un tentativo in un altro Cantone (dopo l'incendio ha passato 7 mesi in detenzione nei Grigioni) è già fallito, in particolare per l'ostacolo della lingua.

«Ha avuto un percorso tortuoso, ma il perito dice che esiste ancora la possibilità di incanalare la sua vita in canoni che non la considerino una persona pericolosa – si è rivolto all'imputato il presidente della Corte prima di leggere la sentenza –. Per farlo però lei deve seguire determinate regole e la fuga è l'ultima cosa da fare, perché significa non volersi assumere le proprie responsabilità. In particolare, i suoi disturbi della personalità devono venir curati e ci vuole una misura, che non può essere eseguita dove si trova adesso. Lo dice il perito ma anche la logica. È ancora prematuro rimetterla in libertà, per quanto sarà così, dipenderà da lei».

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