Dopo il devastante incendio di marzo 2022, nelle Centovalli è iniziata la fase di ripiantumazione. Grazie anche a 50'000 alberelli ‘sponsorizzati’
Un anno e mezzo dopo quella decina di giorni di fuoco, le ferite nella montagna si vedono ancora a occhio nudo. Distintamente. E le si vedranno ancora per anni e anni. Perché per cancellare i segni lasciati da un incendio, soprattutto così vasto come quello che ha imperversato a Verdasio a fine marzo 2022, ci vorranno decine e decine di anni. Come una cicatrice, lasciata nella natura e negli alberi, ben visibile a chi percorre la strada delle Centovalli.
In fumo, in quella scarsa decina di giorni, dal 23 al 30 marzo 2022, non sono andati ‘solo’ una decina di ettari di bosco, per un totale di ottanta ettari boschivi seriamente danneggiati dalle fiamme. A venir pesantemente compromessa in quei giorni è infatti stata pure un’importante e indispensabile protezione naturale. Perché una delle funzioni del bosco è appunto quella di proteggere dai pericoli naturali, come la caduta di massi, gli smottamenti, le colate detritiche e le valanghe. Ecco perché, quando si verifica un evento devastante come quello di marzo 2022, occorre darsi da fare per porre rimedio.
Ma che cos’è tecnicamente un bosco di protezione? Quali sono le sue caratteristiche? E quali funzioni ha? Domande che abbiamo girato a Giovanni Galli, capo Ufficio forestale 8° circondario. «A determinare se un bosco è da ritenere ‘di protezione’ o meno è ciò che sta a valle dello stesso. Se sotto non c’è niente di particolare, allora quello è un semplice bosco o, almeno, non di protezione diretta. Fatta questa premessa, va altresì detto che quelli ticinesi, nella loro quasi totalità, sono catalogabili come boschi di protezione, vuoi perché regolano i deflussi delle acque nei periodi di piogge prolungate e sostenute, vuoi perché situati a ridosso di strutture come case e altri edifici essenziali per l’essere umano. Come quello di Verdasio dunque. La sua importanza dipende parecchio dalle pendenze del territorio in cui sorge. Dove queste ultime sono deboli, la funzione protettiva di un bosco è relativamente meno importante. Il discorso cambia però, e non di poco, quando si parla di zone come quella di Verdasio, caratterizzata da notevoli sbalzi di quota dalla presenza di rocce e sassi in superficie, dove il pericolo principale è costituito dalla caduta di massi e dai possibili franamenti».
Nel dettaglio, il bosco protettivo di Verdasio si era sviluppato in modo naturale, per poi essere rimboschito negli anni 30 e 40 con piantumazioni mirate. «L’incendio dello scorso anno ha distrutto il sottobosco, rendendo instabile l’intero versante della montagna – prosegue Galli –. Cifre e numeri esatti di quell’intervento ora come ora non ne ho, ma complessivamente, allo spegnimento del rogo ha lavorato un centinaio di pompieri, che si sono alternati in diversi turni».
A peggiorare le cose è poi stata la constatazione fatta sei mesi dopo il rogo: gran parte delle piante danneggiate solo parzialmente dalle fiamme si stava infatti rapidamente deteriorando. «Cosa che ne ha reso inevitabile l’abbattimento al fine di garantire la sicurezza delle persone residenti». Un anno e mezzo dopo il rogo, non si può ancora tracciare un bilancio definitivo di quel drammatico incendio: «I danni di un incendio non si limitano alle piante bruciate e ridotte in cenere. Il fuoco lavora anche sotto, provocando danni le cui conseguenze si manifestano palesemente solo con il tempo, mesi e mesi dopo. Lo stesso sta succedendo ancora oggi a Verdasio: ogni mese che passa muoiono sempre più piante. In concreto, sei mesi dopo l’incendio a una prima superficiale occhiata la situazione non sembrava così grave, mentre a un anno dal rogo l’area compromessa dalle fiamme, e con essa il numero di piante che stanno morendo, è quasi raddoppiata. Questo ‘decorso’ è condizionato non da ultimo dai fattori climatici: un prolungato periodo di siccità come quello dei mesi passati di certo non aiuta quando si è in presenza di piante già molto stressate da un evento devastante come un incendio».
In attesa delle conclusioni dell’inchiesta avviata per stabilire concretamente cause e responsabilità dell’incendio, qualcosa è comunque già noto: «Ciò che è stato sinora appurato è che il rogo si è sviluppato in concomitanza di una linea di alimentazione della Fart, ma per capire le cause occorrerà, appunto, attendere la conclusione dell’indagine».
Affinché il bosco possa offrire anche un domani una protezione efficace contro i pericoli naturali, il grado di copertura della superficie boschiva disponibile deve superare il 40% a lungo termine. Ragion per cui occorre agire con una ripiantumazione. «Ci vorranno diversi anni affinché quello che viene messo a dimora oggi dia i suoi frutti. In concreto, a Verdasio per avere nuovamente un bosco come quello precedente l’incendio ci vorranno dai venti ai quarant’anni. Ad ogni modo già è stato fatto parecchio per garantire una certa sicurezza all'abitato a valle della zona interessata dal rogo: grazie allo sviluppo di uno strato erbaceo e di felci nonché a una prima idrosemina, il rischio di avere colate di fango e detriti, che inizialmente costituiva una delle nostre preoccupazioni maggiori, è stato sensibilmente ridotto».
Il bosco, insomma, è un bene collettivo. E per questo, in prima fila nella lotta per la salvaguardia della sua salute troviamo enti pubblici, a cominciare da autorità federali, cantonali, sovraccomunali e comunali, con i preposti servizi. Al fronte ci sono però anche altre associazioni e privati, che con il loro contributo possono apportare un aiuto concreto alla causa. Fra questi troviamo pure la compagnia d’assicurazione Helvetia, da anni (dal 2011 per la precisione) in prima fila nel sostenere attivamente la riforestazione dei boschi di protezione, in Svizzera come nel resto dell’Europa. Un impegno che, dal lato pratico, si traduce nella donazione di oltre 260’000 alberi per i boschi di protezione su suolo elvetico e oltre 600’000 nel continente, e in un sostegno finanziario per le opere per la loro protezione dagli animali selvatici. Per Verdasio, la compagnia ha messo sul piatto una somma pari al costo della piantumazione (e alla loro successiva cura) di 50’000 alberelli. «Per noi si tratta di un contributo notevole, perché consentirà di avviare concretamente il piano di recupero del bosco di protezione. È vero che gli interventi ora sono per buona parte sussidiati, ma ciò nonostante a carico del Comune resta pur sempre un importo di un certo peso, ragion per cui questa mano tesa dall’esterno rappresenta sicuramente un aiuto prezioso».
L’abbondante quarto di milione di alberi ‘sponsorizzati’ da Helvetia in Svizzera in questi anni è servito a sostenere un totale di ventidue progetti, di cui tre in Ticino. Oltre a quello citato di Verdasio, vi figurano il bosco di protezione leventinese ‘Rovine di Osco’, in territorio di Faido (progetto del 2018) e la piantagione sperimentale di un bosco di protezione a Novaggio. A questi progetti possono partecipare attivamente anche i privati: tramite Helvetia è infatti possibile acquistare un ‘passaporto dell'albero’ personale: per ciascun passaporto venduto verrà piantato un albero supplementare in un lotto appositamente contrassegnato in una delle zone sostenute dal progetto.