Pestaggio in rotonda a Locarno, con una sola voce gli avvocati dei giovani a processo chiedono di relativizzarne massicciamente le responsabilità
Non basta affermare: lo hanno accerchiato, picchiato e lasciato lì in balìa del suo destino. Quanto avvenuto nella notte dell’8 ottobre scorso in rotonda (e nei suoi pressi) a Locarno va considerato nel suo insieme, non “atomizzandolo” e riducendolo al solo rapido frangente dello scontro fisico. Lo hanno detto e ripetuto gli avvocati di due dei quattro giovani a processo alle Criminali di Locarno (riunite a Lugano) per il pestaggio di gruppo ai danni di un richiedente l’asilo 26enne dello Sri Lanka.
Considerare tutto il contesto, hanno sottolineato gli avvocati Giuseppe Gianella e Pascal Cattaneo, significa per forza riconoscere la legittima difesa ed eliminare l’imputazione di tentato omicidio intenzionale, reato del quale sono accusati uno dei due gemelli del gruppo, nonché il più anziano del quartetto, un ragazzone di 1,90 per oltre 100 chili, che ha 30 anni.
Il contesto, hanno ripercorso i legali, è ben più complesso rispetto a quanto contenuto nell’atto d’accusa del procuratore pubblico Pablo Fäh. «Si tratta di un atto d’accusa preciso – ha circostanziato l’avvocato Cattaneo a difesa di uno dei due fratelli – ma che perde di vista quanto successo prima, nel sottopassaggio, e prima ancora, fuori dal Bar Castello. I fatti vanno assolutamente valutati nella loro totalità e non procedendo per fasi».
Questa “totalità” è poi stata ripresa dal collega Gianella, difensore del 30enne. Il legale è partito dalla descrizione della vittima del pestaggio: «Il richiedente l’asilo è già stato fermato per 4 volte dalla polizia, e in tutte le circostanze era stato trovato in possesso di un coltello da cucina. L’ultima volta è capitato in un Denner, dove minacciava una commessa». Il “quadro”, ha proseguito Gianella, è anche clinico, visto che il giovane richiedente presenta problemi psichiatrici e già per due volte è stato oggetto di ricoveri clinici. Una diagnosi specialistica parla di schizofrenia paranoide e di disturbi della personalità. Il tutto aggravato da consumi eccessivi di superalcolici e di cocaina e, di conseguenza, da «una totale mancanza di credibilità». Il giovane sarà processato separatamente – ha ricordato il collegio di difesa – trasformandosi così da vittima di tentato omicidio ad autore dello stesso reato, in relazione alle medesime circostanze.
Premesso questo, sia Gianella, sia Cattaneo hanno ricostruito le ore precedenti il pestaggio. Ore caratterizzate dalle continue provocazioni del 26enne, che coltello alla mano e visibilmente alterato, sarebbe stato respinto “pacificamente” per ben 5 volte dal gruppo di amici (nel quale c’erano anche due ragazze) dopo tre tentativi di accoltellamento. Il fatto che si sia poi arrivati al pestaggio (ma non prima di un lancio di sassi che Gianella ha definito «un mezzo di difesa primordiale») va dunque considerato una cristallina legittima difesa esimente, in base al principio che «se attaccato, chiunque ha il diritto di difendersi». Nel caso specifico, ha aggiunto, «v’era l’immediatezza della minaccia, con relativi segnali di pericolo».
Quel che avvenne, ha rincarato Cattaneo, fu una “escalation” determinata dal fallimento di tutti i tentativi di calmare l’esagitato armato di coltello. «Era lui che creava il rischio, non loro. Loro sono stati costretti a difendersi per legittima difesa continuativa e proporzionata. Volevano solo disarmarlo e renderlo inoffensivo, o meno pericoloso».
L’avvocato Cattaneo ha poi contestato la tesi accusatoria secondo cui i colpi inferti dal suo cliente con lo skateboard fossero diretti alla testa del 26enne: «Nemmeno uno dei colpi era diretto alla testa o al collo. E lo stesso vale per i calci».
Per i due ragazzi in carcere di sicurezza siccome accusati di tentato omicidio intenzionale per dolo eventuale le ipotesi di reato avanzate dalla Procura vanno quindi eliminate, hanno affermato i due difensori: «Non ci fu nessun tentato omicidio e nemmeno un’omissione di soccorso, visto che mentre si allontanavano, i ragazzi del gruppo videro la loro vittima seduta che conversava con altri giovani i quali si stavano sincerando delle sue condizioni».
Per i due principali accusati, va ricordato, il pp Fäh aveva chiesto 4 anni e 6 mesi di detenzione, più l’espulsione dalla Svizzera per un periodo di 8 anni. Espulsione contro la quale si sono battuti i legali dei due ragazzi, notando l’assenza degli estremi per applicare la misura sia a titolo obbligatorio, sia facoltativo. In più, i difensori hanno chiesto l’immediata scarcerazione dei rispettivi assistiti, nonché il riconoscimento di indennità per ingiusta carcerazione.
La Corte, presieduta da Amos Pagnamenta e completata da Renata Loss Campana e da Fabrizio Monaci, emetterà la sua sentenza nella giornata di mercoledì.