Fra scuola, chiesa e sport, come si è evoluta in 30 anni la comunità, oggi di circa 4’000 persone, stabilitasi dall’inizio degli anni 90 nella regione
Chi mastichi calcio regionale non sarà insensibile al "profilo", se così vogliamo chiamarlo, del Football Club Makedonija Locarno, un emblema di tecnica e carattere che si è perpetuato negli anni su campi e campetti ticinesi. Non fa eccezione il tempo presente, che vede il Makedonija primo in classifica nel suo girone di Quarta lega, «con il chiaro obiettivo di salire in Terza». A sentenziarlo è Aleksandar Mihajlov, membro di comitato del sodalizio sportivo e persona molto attiva anche negli altri ambiti della comunità macedone nel Locarnese: ovverosia la scuola, con sede a Muralto, e la religione ortodossa, praticata alla Madonna della Fontana di Ascona.
«Quando si parla di comunità macedone bisogna quindi fare riferimento a queste tre realtà, che abbracciano ambiti molto diversi ma che vogliono tutte rappresentare le radici del nostro popolo», dice Mihajlov. A maggior ragione questo discorso comunitario dev’essere fatto adesso, nel 30° dalla nascita della comunità, in un momento storico in cui il tempo comincia a "dilavare" l’attaccamento alla madre patria da parte delle più giovani generazioni: «Quando i primi esuli sono arrivati in Ticino si lasciavano alle spalle una realtà fatta di guerra e di povertà. Prima sono giunti gli uomini, che hanno creato le basi affinché potessero arrivare anche le famiglie, e iniziare così a creare una grande comunità. Allora ritagliarsi uno spazio nel Locarnese, cercare di integrarsi e contemporaneamente mantenere uno stretto legame con le tradizioni era quanto di più naturale potesse succedere – considera Mihajlov –. Poi il tempo ha fatto il suo corso, molti ragazzi sono nati in Ticino e hanno oggi il doppio passaporto o soltanto il passaporto svizzero. È del tutto normale che il concetto di "origine" venga da loro associato più al luogo di nascita e di crescita che a quello di provenienza delle generazioni precedenti. Proprio in questa sorta di scollamento si situa il nostro impegno».
Un impegno portato avanti capillarmente, nei tre ambiti descritti, e che tocca una comunità di circa 4’000 persone nel solo Locarnese. «La scuola macedone è itinerante, gira nelle varie sedi della regione, e si prefigge di insegnare ai bambini fino alla quinta elementare la lingua del loro Paese d’origine. Preservarla riteniamo sia essenziale anche a fini identitari. Sempre con i bambini vengono svolte attività folkloristiche, legate alla cultura e alle tradizioni macedoni. Poi c’è l’aspetto religioso, ancora molto presente all’interno della comunità. Siamo in affitto nella chiesa alla Madonna della Fontana, situata sotto il Monte Verità di Ascona, e la domenica vi pratichiamo i nostri riti ortodossi. In più – conclude Mihajlov –, organizziamo determinati eventi religiosi che per fortuna continuano ad essere piuttosto ben frequentati».
Questi sono dunque i caratteri di una comunità macedone che trent’anni dopo il suo insediamento nel Locarnese fa di tutto per mantenere un’identità. «Il tentativo c’è e viene portato avanti con convinzione – aggiunge il nostro interlocutore –. Ma non vuole essere un dogma, perché accanto al rispetto delle tradizioni viene riconosciuta la necessità di facilitare l’integrazione nel territorio ticinese». Un doppio binario che è ben rappresentato da ciò che sta accadendo in seno al Fc Makedonija: un tempo sodalizio esclusivo degli immigrati macedoni, oggi è quello che si può definire un fortunato "melting pot" che coinvolge certamente una maggioranza di ragazzi originari della Macedonia, ma anche compagni di diversa provenienza. «In effetti – riconosce Mihajlov – nella "rosa" accogliamo due ragazzi albanesi, due serbi, un croato e anche alcuni argentini». Una comunione di talenti che è evidentemente pagante, visti i risultati ottenuti finora sul campo, ma anche paradigmatica di un "nuovo modo" di essere macedoni in Ticino, dove tradizione e integrazione – non solo con la cultura locale, ma con la moltitudine di quelle presenti sul territorio – sono due concetti che si compenetrano.
Anche sotto questo segno – che è il segno del cambiamento – va dunque intesa la grande festa del 30° prevista l’11 marzo al Fevi. Un’occasione per ritrovarsi e riconoscersi, ma anche, in qualche modo, per riscoprirsi.