Le firme necessarie per sbarrare la strada ai 150mila franchi votati dal legislativo a favore del Centro e della scuola di scultura sono già sufficienti
Avevano preannunciato un referendum. Ma, prima ancora di poterlo ‘formalizzare’ a tutti gli effetti annunciandolo urbi et orbi e informare il Municipio al riguardo delle loro intenzioni, ecco che i promotori si sono trovati letteralmente sommersi dalle firme. E così il referendum contro il credito di 150mila franchi (suddivisi su tre anni) stanziato dal Consiglio comunale di Lavizzara lo scorso 30 gennaio a favore della Fondazione per la scultura di Peccia e al suo Centro internazionale (Cis), ‘vittima del suo successo’, è da considerarsi riuscito anzitempo (il termine per la raccolta delle sottoscrizioni scadrebbe il 15 marzo). Occorreva, ai suoi ideatori (in prima fila Astrid Lorenzetti e Marzio Demartini) il 15% di firme degli iscritti in catalogo elettorale; ne sono arrivate, in una sola settimana dalla pubblicazione della risoluzione all’albo, ben oltre le aspettative confermando la riuscita dello stesso, calcolando che vi sono ulteriori richieste di sottoscrizioni, a conferma dell’interesse che la tematica suscita in valle (senza dimenticare, fanno presente gli interessati, che molti hanno condiviso le motivazioni ma al momento di mettere la firma sul foglio hanno rinunciato adducendo a pressioni e ricatti esterni e paura di ripercussioni personali). Di questo gran numero di contrari, comunque, il Municipio dovrà prenderne atto quando si tratterà di portare i cittadini alle urne.
Un progetto, quello del Centro internazionale di scultura e della sua Scuola, che già dal suo avvio ha evidenziato qualche criticità. Per i promotori del referendum, questa istituzione è partita su basi tutt’altro che granitiche e andava gestita in ben altro modo. "L’idea della sua realizzazione è nata negli anni 1999-2000; una decina di anni dopo avviene la realizzazione del progetto con un investimento tra i 10 i dieci e i 12 milioni di franchi. La tabella di calcolo del finanziamento, al 30 settembre 2016, presentava una cifra d’investimento pari a 5,5 milioni, con un finanziamento previsto di 6,1, quindi una maggiore entrata di 600mila franchi. Importo destinato alla gestione, ma che già secondo una valutazione per il funzionamento del CIS, risultava insufficiente alla copertura dell’88% dei costi durante i primi due anni. Finiti i soldi... se ne chiedono altri. L’evoluzione del capitale della Fondazione riportato nel messaggio municipale, anche a coloro che hanno solo le basi dei concetti primordiali di economia, lascia intendere che si va verso un profondo rosso. Come si evince sempre dallo stesso messaggio, l’importo a fondo perso di 900mila franchi (frutto di donazioni di privati, enti pubblici e sponsor, ndr), non basta neppure alla copertura dei costi di gestione per i prossimi 3 anni. Dopodiché?"
Sempre secondo chi si oppone al credito, il decantato ristorno economico dell’operazione è poca cosa: "Dalla sua ideazione, passando per la realizzazione e arrivando alla sua attività, a fronte dei milioni investiti il misero ristorno economico è finito. La costruzione avrà certamente portato lavoro alle aziende, ma a oggi, a lavori terminati, ci si chiede quale sia il reale beneficio pecuniario per l’economia locale e il Comune. Siamo tutti coscienti che se si investe del denaro è per farlo fruttare, quindi, nella logica finanziaria, recuperare quanto investito più un margine di guadagno; qui invece si gettano soldi per prolungare la lenta agonia e una fine già scritta. Neppure i commerci locali traggono beneficio".
Secondo i referendisti, "le finanze comunali impongono altri investimenti prioritari a vantaggio di tutta la comunità. Citiamo quali esempi la Scuola dell’infanzia (attualmente il sostentamento è totalmente a carico del Comune e per il quale il Municipio è andato a battere cassa ad associazioni e fondazioni) e lo sviluppo del Centro Sportivo Lavizzara, attirare nuove famiglie nel Comune magari con la creazione di progetti di recupero di edifici nei vari nuclei sparsi sul territorio. Se vogliamo che la valle viva e si sviluppi bisogna prima renderla attrattiva e avere i servizi per la gente comune e non per una categoria a sé stante. Una maggiore oculatezza nella gestione del patrimonio pubblico sugli investimenti nelle reali necessità di tutti i residenti avrebbe sicuramente un ristorno economico più concreto e sicuro (...) Le autorità comunali, viste le esperienze, dal passato dovrebbero aver tratto degli insegnamenti...
Sarà in ogni caso premura dei referendisti organizzare un incontro per spiegare nei dettagli alla cittadinanza, alla presenza anche dell’autorità municipale, le ragioni che stanno alla base di questo ‘no’ al credito".