Il Tribunale amministrativo concede l’effetto sospensivo al ricorso di un professionista che contesta l’ampliamento dell’area inizialmente concordata
Nei piani di gestione della pesca elaborati negli ultimi anni dal Dipartimento del territorio che interessano, in particolare, il Lago Maggiore, rientra la creazione di quattro ben definite aree di bandita di pesca con le reti. Tema che interessa da vicino soprattutto i pescatori professionisti. La proposta cantonale, voluta allo scopo di migliorare la convivenza tra categorie di pescatori, benché condivisa, non ha fatto fare salti di gioia a tutti. Ma è comunque stata oggetto di approfondite discussioni con tutte le parti interessate, con tanto di ripetuti incontri e sopralluoghi. La mappatura delle zone di protezione (aggiornate a scadenza di 6 anni) è insomma frutto di un progetto partecipativo, con proposte e correzioni. Esse interessano le acque antistanti il golfo di Locarno, quello di Ascona, una parte delle rive del Gambarogno e dello specchio lacustre lungo la riva di Brissago.
Il primo gennaio 2023 è, di fatto, entrato in vigore il nuovo decreto sulle bandite di pesca sul lago. Ma ha avuto vita breve; perché un ricorso inoltrato da Giovanni ‘Joe’ Palmieri, erede di una famiglia di pescatori professionisti da tre generazioni, residente a Brissago e titolare di una pescheria, ha ottenuto, dal Tribunale amministrativo cantonale (Tram), in data 24 gennaio, l’effetto sospensivo. La situazione si è dunque fatta più ingarbugliata delle reti da pesca, verrebbe da dire. Il motivo dell’istanza?
«Qualcuno negli uffici cantonali ha modificato le carte in tavola, estendendo, nel caso specifico di Brissago (per le altre zone le superfici sono quelle concordate), la superficie di bandita a suo tempo pattuita. Essa avrebbe dovuto abbracciare l’area che va grossomodo dal vecchio porto del paese alla Clinica Hildebrand. Invece, ecco che, a sorpresa, il divieto (con tanto di cartelli subito comparsi) è stato allargato fino alla foce del riale subito a nord della zona Miralago, per un’estensione di 200 metri dalla riva, vale a dire aggiungendo diverse centinaia di metri quadrati di superficie a quanto previsto nel sopralluogo. Nell’incontro di giugno con tutti gli interessati (rappresentanti dell’Ufficio caccia e pesca in primis) i confini stabiliti non erano questi. Quindi quanto a suo tempo concordato è stato disatteso. Ho sollevato la questione poiché a verbale, nell’incontro del mese di giugno, era stato messo nero su bianco tutt’altra cosa e perché ritengo che questa estensione abusiva penalizzi quei pochi pescatori professionisti ancora attivi. In questa mia rivendicazione godo del sostegno dei colleghi e dell’Assoreti, la società appartenente alla Federazione ticinese di acquicoltura e pesca che ci raggruppa. È una questione di principio e di fiducia. Carta canta».
Le proteste di Palmieri non sono state ascoltate dagli uffici dell’amministrazione preposti. Da qui l’istanza con la quale l’interessato ha chiesto l’annullamento della decisione dell’autorità cantonale. Il Dipartimento, a sua volta, ha domandato una proroga per spiegare le proprie ragioni, ma intanto la bandita brissaghese non è in essere. Palmieri, che non intende comunque inasprire ulteriormente le polemiche, ha deciso, per ora, di rispettare il divieto ‘farlocco’ in attesa di sapere cosa deciderà il Cantone. Ritiene tuttavia discriminatoria questa imposizione, che va a toccare soprattutto chi, di pesca, oggi ancora vive. «Pochi professionisti che calano le reti – prosegue il nostro interlocutore – se pensiamo alle centinaia di pescatori amatoriali che annualmente lanciano le loro lenze liberamente all’interno di questi specchi d’acqua dove vige, per la nostra categoria, il divieto. Oltretutto la zona rivierasca che va da Miralago (Brissago) a Porto Ronco è quasi completamente occupata da boe per cui la pesca con reti è già compromessa. Come fai a invogliare un giovane ad avvicinarsi alla nostra professione, se gli metti il bastone tra le ruote?».
Il Dipartimento, da parte sua, se dovesse essere smentito dal Tram, avrà la possibilità di eventualmente ricorrere a un’istanza superiore, in questo caso al Tribunale federale. Come dire che la storia delle reti potrebbe trascinarsi fin sulle rive del Lago Lemano.