Parte a settembre a Locarno e Biasca (ma si mira a estenderlo a tutto il cantone) un innovativo progetto di affiancamento familiare a carattere preventivo
A Cristina è crollato il mondo addosso da quando suo marito se n’è andato. Tutto d’un tratto, si è ritrovata con due figli in età scolastica da crescere da sola, lei che oltretutto lavorava a tempo pieno. Ora però non lo può più fare e più in generale deve riprogrammare la sua vita. Non è facile. Una situazione simile a quella di Marco, ritrovatosi da un giorno all’altro senza lavoro e che sta facendo di tutto per ritrovarlo, ma le difficoltà sono tante e si ripercuotono sull’equilibrio del suo nucleo familiare, con un figlio adolescente che sta cercando la sua strada e l’impiego al cinquanta per cento della moglie quale unica fonte di sostentamento rimasta, visto che per ora Marco non se la sente di fare capo agli aiuti sociali. Chi invece di sostegno dalle istituzioni ne riceve già è Zahira, arrivata da poco dalla Siria con i suoi due figli piccoli ma che deve ancora capire come muoversi in una realtà completamente nuova per lei. Un discorso che vale in parte anche per la famiglia di Lucia, semplicemente trasferitasi dal Sottoceneri al Sopraceneri ma che si è comunque ritrovata un po’ spaesata e senza punti di riferimento nella nuova comunità.
Sono solo alcuni esempi delle situazioni verso le quali si rivolge "Una famiglia per una famiglia", progetto di affiancamento familiare a carattere preventivo già ben rodato e apprezzato nella vicina Italia (dove è curato da quasi 20 anni dalla Fondazione Paideia) che ora sbarca anche in Ticino, con l’Associazione L’Ora che lo propone per la prima volta in territorio elvetico a Locarno e Biasca.
«Si parla spesso di giovani in difficoltà, ma dietro a un disagio giovanile o a una situazione problematica, spesso c’è anche una famiglia in difficoltà», spiega Ramona Sinigaglia, co-responsabile di un progetto che vuole andare a coprire «una zona grigia nella quale i servizi magari non arrivano, ma non in sostituzione a essi, bensì come tassello complementare».
L’idea alla base è semplice: una famiglia (affiancante) ne sostiene un’altra in situazione di criticità temporanea (affiancata) ed entrambe si impegnano, con la definizione di un patto e l’accompagnamento di un tutor (una figura che conosce la rete dei vari servizi educativi e sociali, spesso un ex professionista del settore, che però rimane due passi indietro e interviene in caso di bisogno), a camminare insieme per un periodo di tempo definito. Tutti i componenti di entrambi i nuclei vengono coinvolti, portando un contributo diverso a seconda del ruolo ricoperto in famiglia, dell’età, della professione, delle inclinazioni: ad esempio, i bambini aiutano i coetanei a fare i compiti, il papà si mette a disposizione per piccoli lavori di manutenzione, una mamma aiuta l’altra nella spesa o nell’accompagnamento dei figli a scuola. Gesti concreti e quotidiani, ma anche attività da svolgersi nel tempo libero, come partecipare insieme a cene, gite, feste... «L’idea è di ricreare quel concetto di comunità di paese che oggi è decisamente meno presente rispetto al passato e che rappresentava una rete importante per le persone. Con questo progetto in particolare si vuole provare a individuare e a sostenere delle famiglie prima che queste (o delle situazioni all’interno di esse) diventino dei "casi", fornendo già ai primi segnali di malessere un supporto magari meno formale ma comunque importante».
Il tutto attraverso un percorso che prevede più fasi: la selezione (delle famiglie e dei tutor, che verranno formati), la preparazione (incontro tra le parti coinvolte), la stesura del patto (momento in cui vengono definiti gli obiettivi della collaborazione, che solitamente viene pianificata della durata di un anno) e infine l’inizio, quando si passa alla fase operativa con momenti di incontro e discussione. «Per quel che riguarda la famiglia affiancante, deve essere ben inserita nel contesto, solida e tutti i suoi membri devono essere d’accordo di impegnarsi in una nuova avventura – spiega Lorenza Grassi, l’altra responsabile del progetto –. Un impegno che non deve però diventare un peso o richiedere uno sforzo in più e questo lo si evita condividendo il tempo che già si utilizza, ad esempio facendo studiare i ragazzi dell’altra famiglia assieme ai propri, o ancora facendoli praticare sport insieme».
Il progetto "Una famiglia per una famiglia" oltre che dai comuni coinvolti è sostenuto anche dal Cantone (compresi praticamente tutti gli "attori" attivi nel sociale) e dalla Confederazione, con quest’ultima che coprirà gran parte dei costi della fase pilota di cinque anni (durante i quali verrà svolta una valutazione scientifica). I primi "affiancamenti" dovrebbero partire a settembre, inizialmente a Locarno e Biasca (che in realtà fungeranno da polo regionale, allargando quindi il raggio d’azione), ma sono in corso discussioni per coinvolgere anche le altre regioni del Ticino, in particolare Lugano e Bellinzona, con l’obiettivo di coprirne un minimo di sei nel giro di cinque anni (ulteriori informazioni e contatti al sito associazionelora.ch/famiglia).
«Si tratta di un progetto innovativo, considerato tale anche dalla Confederazione, anche se bisogna sottolineare come la Città di Locarno si sia avvicinata a esso ancora prima del coinvolgimento delle autorità federali, visto che già nel 2019 il mio predecessore Ronnie Moretti aveva avviato il dialogo con l’associazione – spiega Nancy Lunghi, capodicastero Socialità, Giovani e Cultura della Città di Locarno –. È qualcosa di molto interessante che mancava a Locarno, oltre a fare prevenzione si lavora a livello di rafforzamento della comunità e questo è un bene per tutti, perché permette di bloccare sul nascere situazioni che potrebbero diventare molto problematiche. E purtroppo i casi di giovani che arrivano ai servizi sociali e che poi sfociano in un disagio che necessita di un’assistenza maggiore, spesso pure difficile da fornire in quanto talmente problematici, sono in aumento. Per cui ben venga un ulteriore strumento di prevenzione, che oltretutto non si concentra solo sulla figura dei ragazzi ma prende in considerazione tutto il contesto famigliare».
Uno strumento che potrebbe inoltre rivelarsi, per certi versi, «più accessibile, in quanto più informale rispetto al rivolgersi a un’istituzione, con queste ultime che tra l’altro sono sempre più sovraccaricate».
A tal proposito, qualcuno potrebbe intravedere il rischio che i servizi istituzionali facciano un passo indietro "sfruttando" il lavoro di volontariato delle figure coinvolte in progetti come questo… «Lo comprendo ma mi sento di escluderlo, anzi è proprio grazie a questo tipo di programmi che possiamo capire dove sono le nostre lacune ed eventualmente intervenire. Per questo sarà fondamentale la collaborazione, in fondo lo scopo è sempre lo stesso: migliorare il servizio per la popolazione».