La clinica tedesca proibisce per una decina di giorni il rientro della famiglia, ostacolando anche il rimpatrio con la Rega
Bloccati a Berlino. È la circostanza di disagio in cui si sono trovati, loro malgrado, una mamma e i suoi due bambini – del Locarnese – costretti a passare diversi giorni in una clinica per l’infanzia nella capitale tedesca. Una degenza resa ancora più pesante dalle normative anti-Covid.
A raccontarci la disavventura è il papà. «Ero molto preoccupato per la salute di nostro figlio, ma anche per le condizioni di mia moglie e dell’altro nostro bimbo. Avremmo proceduto al rimpatrio con la Rega, ma il medico in Germania non ci ha concesso questa possibilità, per ragioni sue, a noi poco chiare. Infatti la cassa malati avrebbe pagato. Ma la clinica berlinese si è opposta», racconta Enea (*).
Procediamo però con ordine. Enea è sposato con Mara (*), berlinese; la coppia ha due figli gemelli di un anno e mezzo – Luca e Siro (*) – e tutti insieme vivono nel Locarnese. «Per le vacanze, siamo partiti verso la capitale tedesca, per far visita alla famiglia di mia moglie. L’idea era che loro tre vi trascorressero due o tre settimane – contestualizza Enea –. Dal canto mio, li ho accompagnati in auto, era il 28 luglio, e il giorno dopo sono rientrato in Svizzera con l’aereo. Sabato 14 agosto ho ripreso il volo per raggiungerli. Il programma era tornare tutti insieme in Svizzera con l’automobile, il 21».
Durante il soggiorno, il piccolo Luca si è sentito male: febbre a 40 e una forte diarrea l’hanno portato alla disidratazione e a un importante calo di peso. «Era il 3 agosto, quando è diventato blu e girava indietro gli occhi», riferisce il papà. Con l’ambulanza è stato portato d’urgenza in clinica. Gli esami medici hanno stabilito, racconta Enea, che Luca ha contratto un batterio dai volatili, per giunta piuttosto resistente agli antibiotici. Il quadro clinico preoccupante ha reso necessario il ricovero in una clinica pediatrica di Berlino, sotto osservazione e attaccato alla flebo.
La prima degenza è durata quattro giorni. «Per tutto il tempo, mia moglie gli è stata accanto, con il fratellino. Una situazione sempre più logorante, perché i bimbi non dormivano, strillavano e di conseguenza neanche lei ha potuto riposare. Era davvero tanto provata». Fino a venerdì 6 agosto, quando migliorate le condizioni del bambino – almeno così sembrava –, i medici li hanno fatti rientrare nel loro appartamento di vacanza nella città del muro. «Purtroppo però Luca ha avuto una ricaduta. Sabato notte, per febbre, vomito e diarrea moglie e figli sono stati costretti a tornare in ospedale. Il piccolo è stato attaccato ancora alla flebo».
Martedì 10 agosto la situazione critica, e ai limiti dell’esaurimento, ha spinto la coppia ad avviare le pratiche del rimpatrio. «La richiesta di un intervento della Rega va fatta dalla nostra cassa malati che, tengo a precisare, risponde in tutto il mondo. Abbiamo quindi fatto domanda e l’assicuratore ci ha confermato che avrebbe coperto le spese del rientro fino a ventimila franchi». La procedura però è stata bloccata. Non dalle condizioni cliniche del bimbo, neppure dalla cassa malati svizzera, ma da uno dei medici della clinica che, lo riscriviamo, non ha dato il benestare per il rimpatrio. «Se abbiamo capito bene, il medico non ha voluto che la nostra cassa si addossasse questa spesa. Ma è assurdo, non sta in piedi come ragione», ribadisce basito il nostro interlocutore.
Giovedì 12 agosto Luca è stato dimesso e il terzetto è stato rimandato a casa – sempre a Berlino –, con la raccomandazione di non intraprendere nessun viaggio lungo e di tornare il lunedì successivo per un controllo. Controllo cui non sono andati, perché la mamma ha preferito portare il bimbo da una pediatra in città: «Mia moglie ha chiesto alla struttura il rapporto sanitario, ma sulle prime le è stato negato. Quando però Mara ha minacciato di mettere di mezzo l’avvocato, allora la clinica ha fatto un passo indietro. Ma quel rapporto lo stiamo ancora aspettando».
Ora, il bimbo non ha più febbre, «ma non mangia e non beve autonomamente, prende solo il seno della madre. È molto dimagrito, non lo riconosco quasi più – dice Enea –. Non sta ancora bene, lo ha detto anche la pediatra che lo ha visitato venerdì scorso, ma per fortuna non è in pericolo di vita».
Ieri, finalmente, dopo un ultimo consulto è arrivato da parte della dottoressa berlinese il nullaosta per il rientro e la famiglia dovrebbe riuscire a raggiungere il Locarnese nelle prossime ore.
Peripezie e incomprensioni con la struttura medica del ricovero che sarebbero quindi giunte al capolinea. Dal canto nostro, abbiamo contattato la clinica pediatrica tedesca perché raccontasse la sua versione e prendesse posizione sulla vicenda, magari spiegando le ragioni del dissenso al rimpatrio. Tuttavia, ci è arrivata una “non risposta”: per una questione di protezione dei dati, i responsabili del nosocomio non hanno voluto chiarire la loro posizione.
Da parte sua Enea chiude il racconto di questa vicenda strampalata e ancora senza ragione con un mezzo sospiro di sollievo: «Dopo tante peripezie voglio solo riuscire a riportare a casa la mia famiglia».
(* Nomi di fantasia, quelli reali sono noti alla redazione)