Locarnese

Dalla spiaggetta di Avegno alla costa del Kenya, per aiutare

Da 14 anni Fabio Stefanini passa gran parte dell’anno in Africa dove sta contribuendo a costruire spazi di possibilità

Nel villaggio di Watamu
24 aprile 2021
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È una vita divisa fra due mondi, quella di Fabio Stefanini. In estate gestisce il bar La Kibanda ad Avegno, sulla candida spiaggetta di sabbia, tra il verde delle fronde e l’acqua cristallina della Maggia. Il resto dell’anno lo trascorre a Watamu, un villaggio sull’Oceano Indiano dalle stesse sfumature suggestive, dove fa volontariato con l’Associazione Amici del Kenya che ha creato 14 anni fa assieme alla moglie Chantal e alle due figlie Veronica e Arianna dopo una vacanza nel Paese.
«Qui le maggiori problematiche sono la sanità, la scarsa igiene in tutti i settori e l’occupazione – spiega Fabio, che ora si trova sul posto –. Da parte nostra aiutiamo anche finanziariamente le persone per alcune operazioni chirurgiche, dato che le cure mediche sono a pagamento e solo in pochi possono permettersele. Quanto al lavoro, è precario per l’intera comunità, soprattutto ora con la pandemia, visto che Watamu vive principalmente di turismo». L’ultimo anno – valuta – è stato un disastro sotto molti punti di vista: «Manca logica nell’affrontare la situazione legata al virus. Sono in vigore alcune regole assurde, le scuole sono state chiuse a lungo e molte cose sono allo sbando».

Permettere un futuro ai giovani

Nonostante le difficoltà, il nuovo anno è iniziato con la realizzazione di un progetto in cui l’Associazione ha investito molte risorse ed energie. «Il 4 gennaio abbiamo finalmente inaugurato la scuola ‘Amici del Kenya Academy’». Adagiata su due acri di terra, ospita attualmente 280 allievi, dall’asilo nido alle scuole medie. Una struttura in continuo divenire che offre ai più giovani uno spazio di possibilità in cui studiare, crescere ed esprimere sé stessi. «Oltre alle aule abbiamo costruito un campo di calcio, uno di beach volley e stiamo ultimando quello di basket e il parco giochi per i più piccoli». Luoghi di svago – spiega Fabio – usati anche dai docenti. «All’interno disponiamo di un dormitorio per quei ragazzi che rimangono nella struttura e stiamo creando un’aula computer, quasi ultimata». Ci sono anche una cucina attrezzata e una mensa scolastica dove gli studenti possono fare colazione e pranzo tutti i giorni. E bagni, docce, un servizio di pulizia e di raccolta rifiuti. «Grazie al sostegno di due amici della Valle di Blenio abbiamo creato un impianto di acqua potabile per tutta la scuola e per il villaggio limitrofo». Amici del Kenya è attiva pure nell’ambito dei pozzi d’acqua potabile: «Siamo giunti a quota 25. Si tratta di infrastrutture fondamentali per la popolazione. Ognuno costa circa 1’500 franchi: una cifra che può cambiare l’esistenza di molte persone. L’acqua è igiene, coltivazione, vita».
Prima che venisse alla luce l’Acadamy, Amici del Kenya operava in altre scuole della zona: «Ad oggi abbiamo scolarizzato 453 bambini e ragazzi. Tra questi, quattro sono studenti universitari. Il primo laureato si chiama Alex, ha studiato economia aziendale e per noi questo suo traguardo rappresenta un grande orgoglio». L’Associazione ha anche creato 12 case famiglia e si sta occupando della costruzione di un orfanotrofio nell’entroterra. «Qui ci sono bambini che alle spalle hanno una famiglia forte, ma a tanti altri questo manca. Spesso i papà non ci sono o sono poco presenti, e le mamme si ritrovano a dover sostenere l’intera famiglia».

‘Non abbandonateci per futili motivi’

Amici del Kenya negli ultimi anni ha creato diversi posti di lavoro per la comunità locale, e adesso grazie alla nuova scuola molti sono permanenti. «Maestri e maestre, cuochi, personale addetto alle pulizie, guardie per il cancello d’entrata, un portinaio. E anche un falegname, un idraulico, un elettricista. Con l’aiuto di una sostenitrice abbiamo allestito pure l’aula della sartoria dove lavorano tre donne che riparano le nostre uniformi scolastiche».
L’obiettivo dell’autosostentamento per la popolazione del villaggio si rivela «un discorso difficile – ammette Fabio –. Siamo un’associazione piccola che cerca di aiutare più persone dando un lavoro e un salario adeguato. Sarebbe bene investire sull’agricoltura, ed è un nostro sogno nel cassetto, ma per farlo servono molti fondi». I finanziamenti, oltre che dall’attività estiva di Fabio, arrivano da amici dell’Associazione e conoscenti: «Sono molte le persone che credono in noi, alcune sono anche state qui ed hanno toccato con mano questa realtà». Ultimamente, però, in tempo di pandemia, si sono verificate diverse defezioni: «Purtroppo in Europa c’è ancora gente che non prende sul serio questo tipo di progetti. Noi siamo una piccola realtà di volontari e non abbiamo una segretaria fissa e uno staff salariato, per cui in momenti di difficoltà capita che non riusciamo ad esempio a far avere ai sostenitori la foto o la pagella scolastica dei bambini». Unendosi alla voce di chi dedica giorni, mesi e perfino la vita intera per queste cause, Fabio lancia un appello: «Non lasciateci con scuse futili. I bambini continuano a esistere, respirano, sono veri e non pupazzi».

Tra sacrifici e soddisfazioni

Quella raccontata da Fabio è un’attività costantemente esposta alle correnti della contingenza che fanno ondeggiare il suo baricentro: «Mi costa tanti sacrifici in termini di denaro e lontananza dai familiari. Ci sono anche molte contraddizioni e poca equità, a volte vivo la disperazione di non poter aiutare, di essere arrivato tardi. In questi 14 anni, a parte tre vacanze fuori dal Kenya, ho dedicato tutto il mio tempo libero all’Associazione». Ma – asserisce – «senza alcun rammarico». A farlo proseguire su questa rotta ci sono le soddisfazioni che costituiscono l’orizzonte del suo agire: «Vedere i ragazzi a scuola seduti sui banchi, incontrare una persona che stava perdendo la gamba o il braccio e sapere che oggi sta bene, festeggiare Alex che si è laureato, avere a che fare con un giro di ragazzi fantastici che riescono a sostenersi e sostenere le loro famiglie con le nostre paghe. Guardare il sorriso sul volto di un bambino».