Lottò in Siria senza l'autorizzazione del Consiglio federale, seppure per motivi onorevoli. In Appello pena ridotta, ma il reato resta
Era consapevole che stava commettendo un illecito; cittadino svizzero si è arruolato in un esercito straniero senza l'autorizzazione del Consiglio federale. Quindi ha infranto il Codice militare svizzero (articolo 94, capoverso 1), seppur per motivi onorevoli. Il presidente della corte del Tribunale militare d'appello, colonnello Gianluigi Della Santa, poco fa ha emesso la sentenza di colpevolezza nei confronti di Johan Cosar, 39enne locarnese, che dal 2013 al 2015 si era ritrovato a combattere contro le forze dell'Isis in Siria. La pena: 70 aliquote giornaliere da 50 franchi (sospese per un periodo di tre anni) e una multa di 500 franchi.
Per Della Santa l'imputato aveva alternative ragionevoli: avrebbe potuto difendere e proteggere le persone minacciate dall'Isis senza per forza arruolarsi in un esercito straniero.
Ma Cosar, come già nel primo processo (con la condanna del febbraio 2019 a 90 aliquote giornaliere e una multa di 500 franchi), si è nuovamente professato innocente. Stamane, al termine dell'istruttoria, ha ribadito: «Ho difeso la vita di tante persone e me stesso da pericoli gravi: carcere e morte. Ho agito per l'umanità e la democrazia. Non lo ritengo un reato e non mi pentirò di queste azioni, nonostante si siano inserite in un conflitto armato».
Sergente della fanteria di montagna, il 39enne ha terminato l'obbligo militare nel novembre 2011 e riconsegnato la divisa grigio-verde. Attualmente è impiegato come operatore umanitario in Medio Oriente per una Ong internazionale. Lavora in zone di conflitto, nel nord-est della Siria e nel nord Iraq. Negli ultimi due anni è stato nei due paesi una decina di volte per periodi di due o tre mesi. «La popolazione ha sempre paura, c'è più stabilità, ma restano i timori di una recrudescenza degli attacchi Isis. La situazione è ancora a rischio», racconta.
Nel 2011 lo stato delle cose era decisamente diverso. In quell'anno Cosar parte per la Siria per motivi umanitari e per documentare la guerra a scopi giornalistici, per un'emittente svedese. L'intenzione è di rientrare dopo sei mesi al massimo. Suo padre, che poi verrà rapito dai servizi segreti e oggi dichiarato scomparso, era già sul posto per scopi umanitari dal 2001.
Nel nord della Siria, però, nel 2012 la situazione degenera e diventa pericoloso spostarsi. L'ex sergente locarnese si ritrova bloccato, con il visto scaduto e senza la possibilità di varcare la frontiera in modo sicuro. L'ambasciata svizzera di Damasco ha chiuso i battenti. L'unico valico sicuro è a 300 chilometri, raggiungibile unicamente attraversando zone controllate dalle milizie di diverse fazioni. Un viaggio impossibile. Solo nel 2015, con un passaporto falso e con tutti i rischi del caso, Cosar riesce a raggiungere il nord Iraq. Da lì in poi viaggia con un documento svizzero.
Sul posto la una situazione è drammatica: la popolazione siriaco cristiana, di cui anche la sua famiglia originaria fa parte, è in costante pericolo. Si rimbocca le maniche e insegna a chi si vuole difendere a utilizzare i fucili. Nel gennaio 2013 nasce il Syriac military council (Smc), un'organizzazione poi entrata a far parte delle forze democratiche siriane. Cosar, unico istruttore, addestra – in qualità di volontario e senza obblighi formali – uomini inesperti. Partecipa ai combattimenti per tenere il più lontano possibile i terroristi dell'Isis e per difendere i cristiani e i loro villaggi dalla minaccia islamista e da temibili operazioni di pulizia etnica. Non si occupa del reclutamento. Talvolta guida piccoli gruppi di 5-10 persone, che spontaneamente, vista la sua esperienza, gli chiedono di mettersi alla testa nell'organizzare la difesa. In aula ha precisato di non essere mai stato fra i leader del Smc e neppure di esserne un portavoce: «Raccoglievo e diffondevo documentazione per sensibilizzare sulla situazione drammatica in quelle zone. Non ho mai firmato un accordo con gli americani in Turchia».
Diverse le operazioni in cui è coinvolto, tra le quali anche la preparazione di un contrattacco per liberare 52 villaggi cristiani già in mano all'Isis, che aveva preso in ostaggio 500 persone. «Ma non siamo riusciti a portarla avanti. Poi, nel febbraio del 2015 sono riuscito a rientrare in Svizzera e qui ho saputo che fra quegli ostaggi, diversi sono stati uccisi e decapitati».
Ma non era possibile nascondersi e non combattere? «Una zona veramente sicura non c'era. Avrei potuto evitare il conflitto, continuando a scappare. Ma senza certezze: troppe le aree sotto controllo del governo siriano o dell'Isis. In ogni dove c'era il timore di un attacco imminente da parte di una delle fazioni».
Quando il giudice gli ha chiesto: «Come ha reagito nel gennaio 2014 quando ha saputo che avrebbe potuto incorrere in problemi legali al rientro in Svizzera?», l'imputato non ha esitato a rispondere: «Avevo altri pensieri per la testa».
Nella sua requisitoria, l'uditore – il maggiore Roberto Colombi – non espresso giudizi etici o morali, ma si è attenuto ai fatti. Cosar, consapevolmente, si è recato in Siria ed è entrato a far parte dell'Smc, da considerare a tutti gli effetti un'armata estera. Ha partecipato attivamente ai combattimenti e all'istruzione. «Ha agito di propria iniziativa, senza imposizione, su base volontarie per proteggere i cristiani dalle forze nemiche islamiche». Da confermare, per Colombi, il reato d'indebolimento della forza difensiva della Svizzera, poiché ha agito senza il necessario permesso del Consiglio federale. Oltre ad affievolire la forza difensiva del paese, ha rischiato di minare i buoni rapporti con altre nazioni e la neutralità elvetica: tutti beni giuridici protetti dalla legge.
Per l'uditore non è neppure dato lo stato di necessità, visto che si è cacciato lui stesso in unta situazione di pericolo: «Ha lasciato spontaneamente e senza costrizione di forza la Svizzera per la Siria e ha raggiunto le zone calde». E ancora: «Per difendersi e difendere, seppur con le armi, non era necessario arruolarsi. Sono due cose indipendenti e separate. Non si pretende che restasse passivo; ma non doveva prestare servizio militare». La richiesta di pena: 150 aliquote (50 franchi). Multa da pagare 2000 franchi, o 20 giorni di detenzione. Con sospensione per un periodo di prova di 3 anni.
I difensori, avvocati Luisa Polli e Yasar Ravi, hanno portato diversi argomenti nel corso dell'arringa. «Cosar ha sempre affermato di aver agito per difendere una terra, una religione una storia, l'umanità e la democrazia», ha affermato Polli prima di ricordare che una legge federale del 2009 ha riabilitato i combattenti repubblicani che dall'estero si erano recati in Spagna 70 anni fa per difendere la libertà. «Sanzionare Cosar viola il concetto di giustizia. Occorre dare maggior peso alla difesa della democrazia. L'auspicio è che Cosar non debba aspettare 70 anni per essere riabilitato». La Svizzera ha adottato sanzioni contro la Siria e l'Isis riconoscendo che rappresentano una minaccia per la sicurezza elvetica; il bene giuridico della neutralità non è fine a se stesso.
Per Polli, inoltre, è ancora tutto da provare che Cosar sia stato al comando dell'Smc: era un volontario, senza vincoli, che nel 2015 se n'è andato senza chiedere il permesso a nessuno. «Non c'è prova che fosse sottoposto e inquadrato in una gerarchia militare. Non basta il fatto che avesse armi e un fucile: laggiù, in quel periodo, tutti usavano uniforme e armi».
Ravi, che ha chiesto il proscioglimento integrale dell'imputato, ha posto l'accento sullo stato di necessità, previsto dal Codice militare. «Si è trovato suo malgrado investito nella guerra civile e si è impegnato per difendere una minoranza religiosa ed etnica, che aveva già subito un'epurazione. Ha combattuto contro le milizie dell'Isis, la cui matrice terrorista è riconosciuta anche dalla Svizzera – ha spiegato il difensore –. Quindi lo stato di necessità c'è! Doveva salvaguardare la vita e le proprietà altrui. Non è un mercenario. Non è partito per fare la guerra. Ci si è trovato suo malgrado. Ha difeso non solo se stesso, ma soprattutto un popolo, una minoranza. Persino l'Onu ha definito quello siriano uno dei peggiori disastri umanitari dalla Seconda Guerra Mondiale».
Insomma, Cosar ha agito – stando a Ravi – quale reazione a un innegabile stato di pericolo e non c'erano alternative praticabili. Le sue scelte erano tra la violazione dell'articolo 94 del codice penale militare svizzero o salvare delle vite. «In determinate circostanze l'essere umano viene prima delle leggi», ha concluso Ravi. Tesi che il giudice ha sposato solo in parte. I motivi onorevoli c'erano, ma c'era anche la possibilità di agire rispettando la legge. Il combattente locarnese ha ora cinque giorni per decidere se ricorrere in Cassazione.