L'inchiesta di Falò sullo scandalo della grande mostra di Genova. La replica: “Esposte solo opere con una precisa storia a livello di pubblicazioni”
Accreditare come vere delle opere sul mercato d'arte internazionale, sapendo, o dovendo presumere, che sono dei falsi. L'obiettivo finale: commercializzarle, e se possibile monetizzare.
È la trama che emerge dall'inchiesta di Gianni Gaggini che Falò, sulla Rsi, ha mandato in onda giovedì sera. Protagonista principale è Rudy Chiappini, già direttore del Museo d'arte moderna di Lugano e dei Servizi culturali della Città di Locarno, ma oggi imputato (assente) al processo attualmente in corso a Genova per la grande mostra di Modigliani allestita nel marzo del 2017 a Palazzo Ducale di Genova. Chiappini vi figurava con il ruolo chiave di curatore prima e membro del comitato direttivo poi. Lo aveva chiamato MondoMostre Skira, colosso del mondo dell'arte che con Chiappini lavora dagli anni '90 e che anche in quella circostanza aveva riconosciuto in lui la persona giusta al posto giusto.
Almeno fino al momento in cui sarebbe emerso che della sessantina di opere esposte – in gran parte di Modigliani – una ventina erano dei clamorosi falsi, e neppure ben fatti.
Dalla vicenda ripercorsa da Falò affiora anche la figura di Pedro Pedrazzini, anch'egli imputato a processo. Noto artista di Minusio, Pedrazzini è proprietario di un dipinto, il “Ritratto di Chaim Soutine”, che pure era in catalogo e sulle pareti dell'appartamento del Doge a Palazzo Ducale. Il quadro vi era giunto dopo essere stato esposto, in anni precedenti, anche a Torino, Pisa, Parigi e Seul. Questo, malgrado già nel '99, in occasione di una mostra a Villa Malpensata di Lugano, il quadro venne rifiutato, poiché riconosciuto come falso, da uno fra i più grandi esperti del Modigliani al mondo: Marc Restellini, critico d'arte e fondatore della Pinacoteca di Parigi. A Restellini, 22 anni fa, il dipinto era stato proposto da Chiappini, curatore dell'esposizione, con cui all'epoca collaborava.
I dubbi sull'autenticità di alcuni dei Modigliani esposti a Genova nel 2017 erano affiorati già a febbraio e poi deflagrati ad aprile. Li aveva espressi Carlo Pepi, 80enne toscano, cacciatore di falsi d'arte e grande esperto del maestro ligure (ha tra l'altro fondato e diretto la Casa Natale Modigliani). Pepi aveva gridato allo scandalo e la sua voce si era fatta coro con gli interventi di alcuni fra i critici più prestigiosi in circolazione, fra i quali lo stesso Restellini, secondo cui i falsi erano «dei bidoni totali». Erano seguite le sdegnate reazioni degli organizzatori della mostra, ma anche diverse perizie. Il risultato: 19 opere sono sicuramente dei falsi e 2 i casi dubbi.
Il 13 giugno 2017 era giunto il blocco della mostra con il sequestro delle 21 tele incriminate da parte della Procura di Genova. Con Chiappini erano finiti indagati Massimo Vitta Zelman (presidente di MondoMostre Skira) e il collezionista d'arte newyorkese Joseph Guttmann, che per la mostra aveva messo a disposizione 11 tele, tutte quante finite sotto sequestro. I reati ipotizzati: truffa, falso in opera d'arte e ricettazione.
L'inchiesta di Gaggini si concentra in particolare sul “Ritratto di Chaim Soutine” e lo fa dando voce anche alla difesa, che per Chiappini è assunta dall'avvocato Mario Venco e per Pedrazzini dal perito Paolo Blendinger. Secondo quest'ultimo, i dubbi sul dipinto «non sono una certezza». Ma sono tuttavia tanto pesanti da aver spinto Pepi a dire che «Modigliani si rivolterebbe nella tomba: il falsario si è sforzato ad avvicinarsi, ma l'ha solo impattumato di vernice». Venco sostiene invece che le responsabilità riguardanti l'attribuzione di un'opera sono del proprietario, che al curatore di una mostra – in questo caso Chiappini – deve fornire tutta la documentazione disponibile. Bisognerebbe pertanto chiedere a Pedrazzini, ha aggiunto Venco, perché non ha dato conto a Chiappini di una perizia con cui Restellini, nel 2005, liquidava il ritratto come un falso. Un'affermazione netta, quella di Restellini, che era poi stata confermata dallo stesso critico poco prima della mostra di Genova, quando nuovamente era stato chiamato in causa da Pedrazzini per una verifica del dipinto, e con una seconda perizia di 50 pagine aveva ribadito la sua posizione, rincarando se possibile la dose.
Rimane la grande domanda: prima della mostra di Genova e al netto dei grandi dubbi che circolavano da anni, Chiappini era stato o no informato da Pedrazzini della nuova perizia Restellini? Una possibile risposta Falò l'ha rintracciata nel promemoria scritto dopo un incontro tenuto a Como, prima della mostra di Genova, fra Venco, Pedrazzini e il suo avvocato. Vi risulta che Pedrazzini avrebbe “subito” avvertito Chiappini delle risultanze della perizia. Ma quel “subito”, per l'avvocato Venco, significa in realtà «qualche mese dopo», quando la mostra era già in corso. Nel 2018, interrogato per rogatoria, Pedrazzini aveva in parte ritrattato, ma emergeva che al più tardi in aprile – quindi a mostra iniziata – Chiappini sapeva che il ritratto era un falso.
Ci sono poi le dichiarazioni di Alessandro Pernecco, a complicare ulteriormente le cose per Chiappini: il mercante d'arte di Genova racconta di aver visitato la mostra il giorno dell'inaugurazione assieme a Chiappini, il quale osservando il “Ritratto di Chaim Soutine”, e tacendo i dubbi che aleggiavano attorno all'opera, lo aveva informato che era in vendita qualora ci fossero degli interessati. In pratica, ha notato Pernecco, Chiappini glie la stava offrendo. Infatti, secondo Pernecco, era poi stata aperta una trattativa sulla base di un prezzo presumibile variante fra i 2,5 e i 4 milioni di franchi, considerato allora dal mercante d'arte «un buon prezzo, per un Modigliani». Pedrazzini ha però sempre negato l'intenzione di vendere il suo quadro. Quanto al ruolo di Chiappini nel filone “Ritratto”, a Falò il suo avvocato ha ammesso che il suo assistito, come curatore, non aveva il diritto di fare delle mediazioni «in senso tradizionale» per la vendita, anche se è automatico che un collezionista interessato a un'opera si rivolga al curatore per entrare in contatto con il proprietario.
Non è tutto. Dall'inchiesta emerge un altro fatto interessante: nell'ottobre del 2016, pochi mesi prima dell'apertura della mostra di Genova, Chiappini aveva comunicato a Skira di non voler più figurare come curatore. Per Skira non era un tentativo di Chiappini di non compromettersi: l'allora direttore dei Servizi culturali di Locarno aveva addotto “problemi di carattere personale”. Comunque, ha rivelato Falò pubblicando uno scambio di e-mail fra Skira e Chiappini, per giustificare il passo indietro occorreva trovare “un escamotage formalmente corretto e difendibile”. Detto fatto: era stato creato un comitato direttivo in cui, con Chiappini, figuravano anche Stefano Zuffi (storico dell'arte e co-curatore) e Dominique Viéville. La retribuzione di Chiappini si sgonfiava così da 50mila euro più bonus (in base al numero di visitatori) a circa 10mila 500 euro. In realtà, Chiappini avrebbe continuato a fungere da curatore unico a compenso pieno, ma, secondo Skira, aveva chiesto che la differenza di onorario gli fosse riconosciuta l'anno successivo, legandola ad altri aspetti della mostra che non riguardassero la curatela. L'ipotesi è che lo abbia fatto per motivi fiscali.
«Per quanto attiene la mostra di Genova, ribadisco la totale correttezza del mio operato e la scelta conservativa di esporre opere già più volte pubblicate e esposte in mostre internazionali». È quanto Rudy Chiappini ha dichiarato alla “Regione”, riguardo al suo operato per la mostra di Genova, dove, sottolinea, «sono state esposte solo opere con una precisa storia a livello di pubblicazioni ed esposizioni. Nessuna nuova attribuzione è stata fatta da parte mia».
L'ex direttore dei Servizi culturali di Locarno di più non aggiunge nel merito della vicenda per cui è sotto processo, ma critica «il modo sfacciato con cui la Rsi ha sposato le tesi dell'accusa». Questo poiché «le controparti sono al momento impossibilitate, per ovvi motivi di riservatezza, a rivelare tutte le proprie carte e i propri documenti, che verranno presentati soltanto nella sede opportuna: la partita non è quindi stata giocata ad armi pari. In ogni caso i dibattimenti avvengono nelle aule, dove esiste il contradditorio, e non in tv». È per altro vero, facciamo notare a Chiappini, che Falò ha correttamente dato spazio anche a più voci in difesa sua e di Pedrazzini.
Comunque, parlando della necessità di equità e neutralità, Chiappini rileva che «se si fa riferimento ad una perizia negativa su un’opera occorre, per dare un’informazione corretta, dar conto anche delle perizie positive e presentare anche l’importante storico dell’opera. Questo non è stato fatto. E se si mostrano documenti occorre presentarli nella loro integralità, e non soltanto attraverso uno stralcio, soprattutto se questo viene poi interpretato in modo assolutamente errato e fuorviante».
Sulla stessa falsariga è la reazione di Pedro Pedrazzini. Al nostro giornale, dapprima con toni formali, l'artista premette che «dal servizio di Falò emergono diverse inesattezze, che verranno contestate dai miei legali in sede processuale». Poi però entra nel merito di un tema assolutamente centrale della vicenda: quello delle autentiche, ovverosia delle expertises effettuate sulle opere. «Non ci sono soltanto quelle di Restellini, cui viene attribuita una sorta di patente di infallibilità. Ce ne sono anche altre, altrettanto autorevoli, che dicono cose molto diverse. Il problema sta sempre in quali versioni si vogliamo prendere per buone. Spesso nell'arte si generano lotte fra esperti di diverse correnti, e per i non addetti è facile cadere nella confusione».
Pedrazzini parla del lavoro di tre esperti che si sono chinati sul “Ritratto di Chaim Soutine”; fra essi, «quello che è stato il maestro di Restellini, ovverosia Christian Parisot, un esperto di Modigliani di caratura internazionale come lo è Restellini. I due non vanno più d'accordo e quel che dice uno viene facilmente confutato dall'altro. Io mi ci sono purtroppo ritrovato in mezzo».
Lo scultore e pittore di Minusio garantisce che «non avrei mai messo in circolazione un quadro se avessi avuto dei dubbi sull'opera. Inoltre, non è assolutamente vero che lo volevo vendere. In qualche modo in questa storia sono stato trascinato – spero che chi ha guardato Falò lo abbia capito – e adesso voglio soltanto uscirne. Non ho mai imbrogliato nessuno in vita mia e non arrivo certo a 70 anni con l'intenzione di iniziare».