L'incredibile vicenda della statua del Santo protettore dalle pestilenze, rubata nel '77 e tornata improvvisamente a casa. Il prete: ‘È un segno di Dio’
Un Santo che scompare una notte di giugno e riappare per miracolo 43 anni dopo. Un restauratore generoso e un commerciante d’arte di dubbia fama, ormai defunto. Ma anche l’incredibile coincidenza che il Santo in questione sia il protettore dei contagiati e torni a casa proprio nell’anno della pandemia globale. È una storia da film, quella tuttora in svolgimento a Bosco Gurin. Una storia che nemmeno il più brillante degli sceneggiatori avrebbe potuto immaginare così piena di dolore e di speranza, di attesa e di ricompensa, e con una grande aura di misticismo che la ammanta.
La storia ha inizio la notte del 17 giugno 1977, quando dal villaggio walser viene trafugata la veneratissima statua di San Rocco. Nel paese scoppia lo sconcerto, viene avviata un’indagine di polizia e si muovono i mezzi di informazione: dalle radio alla Tv svizzero-tedesca, che inserisce l’incresciosa vicenda fra i fatti del momento. Gli anziani del villaggio sono tristi, i fedeli affranti, i giovani stimolati a rovistare in ogni anfratto della zona per passare da eroi e magari intascare una ricompensa. Ma San Rocco non si trova più e pian piano, inevitabilmente, il caso viene archiviato fra quelli irrisolti.
Quarantatrè anni dopo, pochi giorni fa, San Rocco riappare, all’improvviso così come se n’era andato. Un piccolo miracolo, che spinge l’amministratore parrocchiale di Bosco, don Elia Zanolari, a parlare di «un segno di Dio».
Il Santo era Rocco di Montpellier, pellegrino e taumaturgo francese che nel XIV secolo, dopo aver sostenuto gli appestati in Europa, era stato anch’egli colpito dalla peste. Bandito, si era ritirato in una grotta, dove era stato tenuto in vita dal fedele cagnolino di un nobile signore della zona, che ogni giorno gli portava un tozzo di pane. Quattrocento anni dopo, per quasi un secolo e mezzo, il San Rocco guriner aveva riposato indisturbato nella cappella a lui dedicata all’entrata del paese. Era stata costruita nel 1832 come ex-voto dai fedeli di Bosco, risparmiati dalla tremenda epidemia di colera che nel XIX secolo aveva imperversato in Europa.
«Poi, quella notte di giugno, era sparito, gettando nella tristezza non solo Bosco Gurin, ma tutta la valle. Ne era nato un autentico caso a livello nazionale. Nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno il mistero sarebbe stato risolto. Eppure è successo». La prima a stupirsi per la riapparizione è Cristina Della Pietra, membro del Consiglio parrocchiale di Bosco Gurin e curatrice del Museo Walserhaus. Cristina Della Pietra cui bisogna dare una significativa fetta di merito per il ritorno a casa del Santo. «Tutto è nato da una lettera di un restauratore ormai in pensione che risiede nell’Oberland bernese, con il quale mi sono in seguito messa in contatto telefonico. Ci segnalava che nel suo atelier, da anni, c’era questa statua del Santo che lui sapeva essere di proprietà della comunità di Bosco Gurin». Ma l’uomo sapeva solo una parte della storia: quella del furto gli era stata taciuta, e non a caso. Il San Rocco, insieme ad altri oggetti, gli era stato consegnato nel corso degli anni da un commerciante d’arte (meglio dire faccendiere) con cui aveva intrattenuto rapporti d’affari.
Racconta Della Pietra che «il restauratore non ricordava neppure da quanto tempo il San Rocco giacesse nel suo atelier. Un suo stagista aveva anche iniziato, ma non terminato, un restauro. Soprattutto, non sapeva che la statua fosse stata rubata da Bosco». Il tema, per l’anziano, era tornato d’attualità quando si era messo in contatto con gli eredi del commerciante d’arte per sistemare alcune pendenze economiche. Poi era nato il contatto con Bosco e grazie al confronto fotografico era giunta conferma che il San Rocco bernese era lo stesso fatto sparire dall’Alta Vallemaggia.
«Grazie alla disponibilità del restauratore, e a mio fratello Simon Della Pietra, che l’ha raggiunto nell’Oberland, il 14 novembre abbiamo potuto procedere con il recupero – prosegue Cristina Della Pietra –. E bisogna dire una cosa: San Rocco è tornato anche più bello di prima. Il mantello, che noi ricordavamo di colore marrone scuro, grazie al restauro ha recuperato il suo colore originale, una combinazione di blu e rosso davvero molto bella. E migliore appare anche il viso. Così l’abbiamo potuto restituire ai fedeli, in occasione della Messa domenicale che don Elia ha officiato il 15 novembre e che per l’occasione è stata ravvivata dalla benedizione del Santo».
Una benedizione che don Elia Zanolari, fra i tre amministratori parrocchiali delle 16 Parrocchie dell’Alta Vallemaggia, ricorda di aver impartito con il cuore pieno di gratitudine. «È successo durante la messa della domenica mattina, che sempre viene officiata alle 9 nella Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo. Il 15 novembre c’erano anche i bambini della prima comunione, fra cui uno di Bosco Gurin, per cui le parole dell’omelia erano state dedicate a loro. Comunque, al miracoloso ritorno del San Rocco avevo fatto riferimento nell’introduzione, dicendo che la riapparizione andava considerata come segno d’amore di Dio verso i fedeli di Bosco. Poi, con la benedizione, abbiamo fatto tutti assieme una preghiera a San Rocco contro le pandemie».
La statua, riflette ancora don Elia, «è un oggetto nato da un ringraziamento, da una gratitudine. Il fatto che sia ritornato restituisce un pezzo di storia; quella storia cui i guriner sono molto attaccati. Da un punto di vista religioso, la riapparizione proprio in questo momento di un Santo che protegge dalle pestilenze è secondo me significativa. Potrebbe sembrare un’incredibile coincidenza, ma io alle coincidenze non credo. Credo invece che dietro ci sia la mano di Dio, che ha voluto darci un segno importante e significativo».
È allo stesso modo un segno importante, ma decisamente più terreno, quello che fa da colonna sonora ai titoli di coda di questa straordinaria storia di valle. Lo firma Paolo Tomamichel, cantautore di Bosco che mai come in questo caso emerge come insostituibile “bardo” del suo villaggio. Paolo, con Sandra Eberle al violino, Amalia Felice ai flauti e Consuelo Garbani alle percussioni, ha messo in musica la riapparizione e lo ha fatto componendo “San Ròcch”, canzone dialettale in cui, prima del Santo, a Bosco riappare il suo cagnolino. A chi gli chiede cosa ci faccia con un tozzo di pane in bocca sulla porta della chiesa, lo “strepenà” quadrupede fa l’incredibile annuncio: “Vegn con mì senza pagüra, varda e créd, fa mia l’oròcch. L’è ‘n miracol mia da pòch, l’è tornat a cá el San Ròcch!”.