Due chiacchiere con i ragazzi su pandemia, disposizioni e timore di non vedere più gli amici
«Quando hanno fermato tutto, mi sentivo chiuso in gabbia. Non si poteva uscire con gli amici, andare in giro. Come se ci avessero privato della libertà. Se dovesse succedere di nuovo, a me dispiacerebbe molto. Farei tutto il possibile per prevenire questo disastro: sono molto più disposto a mettere la mascherina, disinfettarmi sempre le mani, piuttosto che restare ancora chiuso in casa». Racconta Alessandro.
I ragazzi sono spesso criticati per la leggerezza con cui stanno affrontando la pandemia, descritti come noncuranti del rispetto delle regole da seguire per limitare la diffusione del covid, sebbene questi siano comportamenti intergenerazionali.
Ma i giovani sono davvero così “irresponsabili” oppure sono vittime di pregiudizio? In questo momento in cui “ci risiamo” con disposizioni, restrizioni e sospensioni (come quella di Midnight ad Ascona a partire dal 31 ottobre); abbiamo raccolto le considerazioni di alcuni frequentatori, fra gli 11 e i 15 anni, del Centro giovanile di Losone.
È mercoledì pomeriggio e ce li immaginiamo in una delle grandi sale del centro (la vecchia scuola materna; per chi se la ricorda), radunati dall’educatrice sociale e animatrice Larissa Antognini. Lì a guardare un telefono da cui esce la voce di una giornalista senza volto. Parrà impossibile, ma era percepibile una certa timidezza. Spronati da Larissa, qualcuno si fa avanti. Dalla chiacchierata, lo anticipiamo, sono emerse la preoccupazione di un nuovo confinamento e la chiusura del centro, che significa soprattutto non vedere gli amici. Ma anche la consapevolezza di essere un ingranaggio del sistema di direttive per contrastare i contagi – anche se la mascherina è fastidiosa, in particolare per chi porta gli occhiali – e una certa abitudine, oramai fatta normalità, a reagire a quanto ci sta capitando.
«Il timore è quello di prendere il coronavirus e stare male. La prima ondata però è stata più dura da affrontare, prendere le precauzioni, alzarsi e mettere la mascherina. Ora è un po’ più normale», confida Dennis.
Saskia sottolinea invece che «a quest’età, penso che la paura più grande sia non poter uscire con gli amici. Questo virus non ce lo ha già permesso una volta. Quindi, arrivando un’altra ondata, se il centro dovesse chiudere, verrebbe a mancare il posto dove incontrarci e stare insieme».
«Il lockdown non è stato bello per nessuno. È ovvio che la maggior parte della gente vorrebbe continuare a uscire e stare con gli amici, ma per limitare i contagi, bisogna prendere precauzioni», aggiunge Daniel.
«Al primo lockdown, all’inizio ero più o meno felice, perché non dovevo andare a scuola. Dopo un po’ però non è più stato così. Sentivo la nostalgia della scuola, più che altro degli amici, anche se ci sentivamo e giocavamo alla Play online», confessa dal canto suo Davide.
«La cosa che più mi dà noia è la mascherina. Rispetto all’inizio, comunque, mi sono abituato, anche se con gli occhiali è fastidiosa, perché li fa appannare», spiega infine Nahuel.
«Fanno fatica a parlare di loro stessi, a tirare fuori quello che sentono», racconta in un secondo momento l’animatrice. Rispetto alla prima ondata, i ragazzi sono più consapevoli dell’importanza del rispetto delle regole, anche per evitare nuove chiusure e l’obbligo di dover restare confinati fra le mura domestiche. «In particolare, è la preoccupazione della chiusura del centro a emergere, anche se buttata là scherzosamente. Per loro è un appuntamento fisso in settimana, uno spazio dove incontrarsi, giocare, chiacchierare».
Soprattutto, osserva Larissa, i giovani sembrano molto più attaccati al luogo: «Credo si siano resi conto dell’importanza che la struttura riveste per loro, poi non posso dire se sia dovuto solo a questa particolare situazione». Per quanto riguarda le disposizioni delle autorità, l’interlocutrice racconta che i ragazzi sono più responsabilizzati: «Sono migliorati tanto, seguono le norme di base e mi aiutano anche di più per ciò che concerne l’ordine degli spazi. Un lato positivo della faccenda forse è proprio questo: alcune regole hanno aiutato la vita del centro».
La routine dei pomeriggi non è quindi più la stessa, animatrice e ragazzi hanno dovuto ritrovare una nuova normalità. Una prassi più rigorosa è stata introdotta anche nell’accoglienza: «Registro le presenze su formulari e prendo la temperatura ai partecipanti». Un momento formale, che tuttavia è stemperato dalla buona abitudine di ritrovarsi insieme e salutarsi, considera Larissa.
Nelle ultime settimane, l’Ufficio giovani, in accordo con l’autorità cantonale, ha deciso di rendere obbligatoria la mascherina all’interno del centro; all’esterno è consigliata e sottostà alla norma della distanza di almeno 1,5 metri. Fra le ultime disposizioni in ordine di tempo (emanate il 30 ottobre), c’è l’obbligo di un massimo di quindici partecipanti e sono vietate la merenda e la brocca di sciroppo a disposizione durante le ore di apertura.
Due ampie sale con divani, tavoli, calcetto, biliardo, ping-pong. E ancora: buvette e zona merenda, impianti audio e tivù, nonché un bel cortile esterno. Il Centro giovanile losonese è un punto d’incontro e aggregazione per ragazze e ragazzi dagli 11 ai 16 anni e trova spazio nel centro polifunzionale in via Municipio 13. D’abitudine, i frequentatori sono coinvolti nella sua gestione e nella proposta di attività o progetti ricreativi: un po’ ridimensionati in questo periodo, come ci racconta l’interlocutrice, anche perché per ogni attività proposta va fatto un piano di protezione. Soprattutto, l’ex asilo è uno spazio di appartenenza, dove condividere, essere ascoltati e non sentirsi soli.
Le sue porte sono aperte, normalmente, ogni settimana dopo scuola (mercoledì: 14-18.30, giovedì e venerdì: 16.30-18.30), fino a due venerdì al mese anche di sera (per ora sospesi) e i sabati pomeriggio (14-19). Questo durante l’anno scolastico, per quanto riguarda le aperture nelle vacanze, viene allestito una programmazione speciale.