Il Tpf ordina di togliere i sigilli al materiale sequestrato in una ditta ticinese. Negli scambi il modus operandi per accordarsi su prezzi e offerte
Emergono elementi interessanti, se non prove schiaccianti, dall’inchiesta avviata l’anno scorso dalla Commissione federale della concorrenza (Comco) nei confronti di cinque imprese edili moesane e una ticinese sospettate di aver concordato sottobanco i prezzi delle rispettive offerte partecipando ad appalti pubblici e privati in Ticino e Grigioni. Accordi illeciti, secondo la Comco, che se confermati potrebbero sfociare in pesanti conseguenze per le ditte. Ora, la sentenza pronunciata il 26 ottobre dalla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale di Bellinzona – corte che ha accolto la richiesta della Comco affinché si tolgano i sigilli posti ai computer e alle chiavette Usb sequestrati il 22 giugno nella sede dell’impresa ticinese – descrive il presunto malandazzo. Fari puntati sugli scambi di posta elettronica. Il sospetto di un coordinamento delle offerte concerne la fissazione del prezzo e la ripartizione dei progetti di lavoro, situazione che sarebbe perdurata almeno sino all’apertura dell’inchiesta nel giugno 2020. Per sostanziare i sospetti di reato volti a convincere il Tpf a togliere i sigilli, la Comco ha elencato diversi scambi di e-mail avvenuti tra la ditta ticinese e altre imprese. Stralci di posta elettronica che non provano ancora nulla, indicando tuttavia comportamenti sospetti meritevoli di essere approfonditi.
Primo scambio di mail del marzo 2019 tra il responsabile dell’ufficio offerte della ditta ticinese e un’impresa concorrente su un progetto di scavo e sottostrutture in Ticino. Nelle mail – riassume la Comco – qualcuno chiede se le due imprese debbano inoltrare un’offerta in consorzio oppure se una delle due debba presentare un’offerta più cara. “Questo scambio dimostra – sottolinea la Comco – che le due imprese potrebbero essersi coordinate nell’intento, forse, di favorire” la ditta ticinese. Maggio 2015: in uno scambio fra il medesimo responsabile dell’ufficio offerte e un’impresa concorrente per la realizzazione di una palazzina, viene chiesta la ricapitolazione della ditta ticinese in modo che il concorrente possa preparare un’offerta maggiorata del 4-5%. “Sembrerebbe – evidenzia la Comco – che vi sia stato uno scambio di ricapitolazioni, prima della scadenza del termine per l’inoltro delle offerte, nell’ottica di coordinare le rispettive offerte”. Settembre 2015, offerta per l’arginatura di un fiume: il mittente chiede luce verde o rossa su un progetto sul quale sarebbe entrato con un prezzo più caro, nel caso l’impresa ticinese fosse interessata; sempre lo stesso responsabile risponde che il progetto interessa alla ditta ticinese. Seguono altri tre scambi: in uno c’è la richiesta d’aiuto per calcolare un prezzo nell’ambito di offerte richieste probabilmente dall’Ufficio tecnico del Canton Grigioni; in un secondo caso una ditta concorrente chiede sempre allo stesso responsabile delle offerte l’autorizzazione a copiare l’offerta nell’ambito di una strada con piazzale e posteggi in un campus; infine gli viene anche inviata da un’altra ditta un’offerta per opere di sottostruttura chieste da un Comune.
La ditta ticinese, patrocinata dall’avvocato Emanuele Stauffer, può ora ricorrere al Tribunale federale. In sua difesa afferma che quelle mail sarebbero in realtà scambi d’informazioni avvenuti “nell’ambito di progetti da avviare e in vista d’instaurare possibili consorzi o ancora per richieste di semplici forniture o per valutare eventuali subappalti”. L’impresa rispedisce dunque al mittente “le illazioni secondo cui scambi d’idee e dati, usuali in un contesto commerciale, vengano invece considerati come segnali indubitabili di una volontà di accordarsi in modo da limitare la concorrenza e di influenzare i prezzi”. Ordinando la levata dei sigilli al materiale sequestrato, il Tpf scrive che “i fatti sono descritti in maniera sufficientemente dettagliata e corredati da mezzi di prova ben precisi. Spetterà alla Comco accertare la natura dei contatti per determinare se si tratti di accordi tesi alla costituzione di normali consorzi o se ci si trovi di fronte a possibili accordi illeciti”. Intanto, si può dunque indagare su computer e chiavette: “Sospettando che gli accordi cartellari esisterebbero già da svariati anni e che elementi utili all’inchiesta potrebbero trovarsi in tutta la documentazione elettronica e cartacea messa sotto sigilli, la perquisizione risulta giustificata e proporzionata” alla situazione.