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Parchi solari alpini, ‘i problemi emersi ci danno ragione’

Viste le preoccupazioni di Axpo, il promotore del progetto al Nara ribadisce la necessità di testare prima la tecnologia su impianti di medie dimensioni

La struttura prevista al Nara occuperebbe una superficie pari a 15 campi da calcio
(Ti-Press)
17 dicembre 2024
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«L’avevo detto! E nessuno oggi può smentirmi. Peccato sia rimasto inascoltato». Con la proverbiale schiettezza che lo contraddistingue, Fabio Mandioni legge con un misto di preoccupazione e compiacimento le ultime notizie pubblicate domenica da ‘SonntagsZeitung’ e ‘Le Matin Dimanche’ secondo cui il gruppo energetico argoviese Axpo, fra i più importanti in Svizzera, ha notevolmente ridotto le previsioni sulla produzione di energia elettrica dai cosiddetti parchi solari alpini, quelli per la cui costruzione le Camere federali hanno votato a inizio 2023 la legge urgente Solarexpress. La quale, oltre a prevedere massicce sovvenzioni pubbliche fino al 60% per singolo investimento, in teoria dovrebbe agevolare e snellire le procedure nel rispetto però di alcuni vincoli. Fra i quali la necessità di realizzare strutture con una capacità produttiva minima di 10 gigawattora (GWh) annui che richiede una superficie notevole, pari ad almeno 100/120mila metri quadrati, qualcosa come 15 campi da calcio. Altro paletto: un impianto è autorizzato se entro fine 2025 (fra un anno) sarà in grado di produrre almeno il 10% della quantità prevista a pieno regime.

Meno di un decimo del previsto

Pochi, pochissimi al momento i progetti che sembrano avere le carte in regola su scala nazionale. Tanto che Axpo, ricalcolando al ribasso la produzione, stima a un quarto il volume previsto a breve termine (2030) e nemmeno a un decimo quello a lungo termine (0,81 terawattora invece dei 10 indicati due anni fa entro il 2050). Il motivo principale – oltre che ambientale viste le molte opposizioni inoltrate dalle organizzazioni per la protezione del paesaggio e della natura – è tecnico, e meglio legato all’aumento dei costi di costruzione in alta montagna dove il clima è più rigido, caratterizzato spesso da forti venti e perciò più problematico per le infrastrutture di ancoraggio e per i pannelli medesimi. Il ministro dell’Energia Albert Rösti, direttore del Datec, si dice consapevole del problema ma intende continuare a puntare sull’energia solare alpina ritenendo che ogni impianto darebbe un contributo alla strategia energetica 2050 varata dalla Confederazione e fatta propria dai Cantoni, Ticino incluso.

‘Manca esperienza, facciamo da apripista’

Intervistato dalla ‘Rsi’, Claudio Caccia, rappresentante per la Svizzera italiana di Swissolar, l’Associazione svizzera dei professionisti dell’energia solare, parla di mali di gioventù e conferma che in alta montagna bisogna investire di più affinché gli impianti resistano alle condizioni meteo avverse. Si tratterà soprattutto – prosegue centrando il problema – di trovare soluzioni replicabili che permettano di non dover reinventare i calcoli ogni volta: «Siamo in una fase iniziale, non si conoscono molte esperienze di situazioni del genere, stiamo facendo da apripista ma dobbiamo proseguire». Intanto il tempo stringe.

‘Cercare le componenti più idonee’

Intanto Fabio Mandioni mastica amaro: «Ascoltando le parole di Caccia alla radio, posso solo dire che come promotori dell’impianto del Nara, portato avanti come Società elettrica sopracenerina, avevamo visto giusto nell’indicare nella domanda di costruzione preliminare la necessità di procedere anzitutto con una fase test di 3’500 metri quadrati con l’obiettivo di provare tutte le componenti e stabilire quali potrebbero risultare idonee, resistenti ed efficaci nel tempo. Invece questa proposta è stata respinta dal Dipartimento del territorio», che non ha ritenuto opportuno o necessario distanziarsi dalla procedura indicata da Berna. Peraltro uno dei timori emersi fra i servizi cantonali era quello di veder sorgere un’infrastruttura abbastanza ampia (3’500 metri corrispondono comunque a mezzo campo di calcio) che in caso d’insuccesso sarebbe rimasta sul posto inutilizzata. Questo mentre fra le condizioni poste per i parchi solari alpini c’è proprio l’obbligo, una volta giunti a fine vita e ritenuti non più aggiornabili, di ripristinare il terreno nella sua forma originaria.

«Da parte nostra – conclude Mandioni – abbiamo assicurato il nostro impegno in tal senso. Ma non è bastato, perché la massima concessione fattaci, per poter anche solo entrare in materia, era la posa di un mini impianto», simile a quello di un’abitazione monofamiliare. «Troppo poco per testare le varie componenti». In seguito Mandioni e colleghi hanno ancora scritto al Dt rinnovando la richiesta iniziale, «senza ottenere risposta. Tra l’altro, un punto decisamente a nostro favore è che la corrente prodotta qui verrebbe in buona parte consumata in loco, ossia dagli impianti di risalita del Nara, essendo già presenti le infrastrutture elettriche di distribuzione. Cosa che altrove manca, con grandi difficoltà nel trasportare a valle picchi di elettricità durante le ore di massima produzione».