Nomadi milanesi, avevano appena svaligiato una casa a Bellinzona. Emersi altri casi e condanne già inflitte anche a loro familiari negli ultimi 20 anni
Di generazione in generazione, un marchio di qualità. Come nelle migliori aziende famigliari. È questa la sensazione emersa stamane in Tribunale a Lugano dove la Corte delle Assise correzionali di Bellinzona ha condannato il terzetto bloccato lo scorso 2 febbraio a Paradiso dopo un rocambolesco tentativo di fuga dalla polizia finito con lo schianto contro il muro del sottopasso ferroviario e la caccia all'uomo nei boschi della zona. Alla sbarra per i reati di furto aggravato, danneggiamento e violazione di domicilio padre e figlio di 55 e 29 anni e un cugino di quest’ultimo di 26 anni: tutti cittadini italiani residenti nel Milanese e aggregati a bande di nomadi specializzate in razzie nelle abitazioni e in ricettazione della refurtiva in altre nazioni come Francia, Olanda e Spagna. Tutti con precedenti specifici in Italia e per il 26enne anche in Ticino con tanto di condanna pronunciata nell’aprile 2019 dalle Assise criminali per 21 colpi messi a segno nel Luganese nell’arco di cinque mesi insieme a un complice.
La sera del 2 febbraio la segnalazione alle forze dell’ordine era giunta da un conducente che aveva visto sfrecciare una potente Bmw munita di targhe ticinesi, poi risultate contraffatte, ad altissima velocità nella galleria del Ceneri. Incappata nel posto di blocco organizzato all’uscita autostradale di Lugano Sud, l’auto aveva proseguito verso Paradiso dov’era stata intercettata da un secondo controllo; nel tentativo di fuga la vettura era quindi finita contro un muro e i tre occupanti erano scappati a piedi, per poi venire acciuffati dagli agenti al termine di un'intensa ricerca nei boschi. La loro fretta sul Ceneri – si è ben presto capito – era motivata dall’aver appena svaligiato un’abitazione di Bellinzona: arraffati 22 collane, 21 anelli, undici braccialetti, sei orologi, undici paia d’orecchini, 25 ciondoli, 15 fra medaglie e spille. Valore complessivo oltre 11mila franchi. Scattato l’arresto, l’inchiesta coordinata dal procuratore generale sostituto Moreno Capella ha ricostruito altri due colpi messi a segno a fine settembre e a fine ottobre 2023 in due abitazioni di Besazio, nel Mendrisiotto: furti con scasso eseguiti singolarmente da padre e figlio insieme ad altri componenti del clan. Ingente il valore della refurtiva, pari rispettivamente a 18mila e a 30mila franchi. Briscole rispetto ad altri casi precedenti legati a uno degli imputati e a loro famigliari.
Il processo odierno si è svolto con rito abbreviato, ciò che non ha permesso di evidenziare in aula molti dettagli presenti agli atti e noti alle parti. Così stabilisce la procedura penale. Solo nel caso del 26enne si è reso necessario modificare la proposta di pena accettata dalle parti: non 14 mesi di detenzione di cui sei effettivi e gli altri sospesi con la condizionale, bensì 10 mesi di reclusione effettiva, più 20 anni di espulsione dalla Svizzera. Motivo: da una parte il fatto di essere recidivo specifico per la giustizia elvetica; dall’altra il fatto che la prima condanna del 2019, oltre ai due anni di detenzione in parte sospesi con la condizionale, contemplava anche l’espulsione per sette anni. Violazione del bando, questo il reato commesso, ora pesantemente sanzionata.
Pari a 17 mesi con la condizionale, di cui sei effettivi, più 7 anni di espulsione, la condanna a carico del 55enne che doveva rispondere anche di grave infrazione alla legge sulla circolazione stradale (era lui al volante della Bmw la sera del 2 febbraio), abuso della licenza e delle targhe ed entrata illegale ripetuta poiché sprovvisto di documento valido. Tredici invece i mesi per il figlio, di cui sei da espiare, più l’espulsione anche qui per sette anni. Tutti gli imputati hanno accettato le proposte di pena, che nel caso di padre e figlio si tradurranno in una scarcerazione quasi immediata, ossia dal 2 agosto. Per contro il cugino 26enne rimarrà rinchiuso nel penitenziario cantonale della Stampa fino al 2 dicembre. Il giudice Ermani nel pronunciare le condanne ha insistito sul significato dell’espulsione, che implica «l’impossibilità di mettere piede in Svizzera anche solo per bere un caffè. Se quindi desiderate recarvi in altre nazioni confinanti, dovete evitare la nostra. Ma mi rendo conto che le mie rischiano di rimanere parole al vento».
Un rischio in effetti concreto, vista la consolidata tradizione di famiglia nell'arte del delinquere. Il procuratore Capella già una ventina d’anni fa era riuscito a far condannare, per i medesimi reati, tre zie dei due imputati più giovani; stessa sorte per il padre del 26enne e fratello del 55enne, condannato nel dicembre 2004 dalle Assise criminali di Lugano. In quell'occasione al suo fianco, sul banco degli imputati, c'era un altro figlio pure condannato. Ma non come proposto dall’allora procuratore Antonio Perugini, ossia a 4 anni e mezzo di reclusione il primo e a 3 anni e 3 mesi il secondo per 42 colpi messi a segno in abitazioni di mezzo Ticino; bensì rispettivamente a 12 e 9 mesi con la condizionale per cinque soli furti riconosciuti dalla corte. Uno sconto consistente, con tanto di scarcerazione immediata, poi approvato anche in Cassazione non da ultimo per l’impossibilità di ammettere come valida la prova dell’orecchio. Ossia l’impronta lasciata su porte e finestre nel tentativo di capire, secondo l’accusa, se vi fossero persone all’interno. Una prova utilizzata per la prima volta in Ticino ma in quel momento non ritenuta sufficientemente attendibile per attribuire la paternità di un furto con scasso.