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Patrigno condannato a 13 mesi sospesi per atti sessuali

Pena minore di quanto chiesto dall'accusa: a prendere l'iniziativa è stato il figliastro adolescente. La colpa dell'imputato è di averlo lasciato fare

(Ti-Press)
10 giugno 2024
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Tredici mesi di detenzione sospesi con la condizionale per due anni. È questa la pena inflitta oggi, 10 giugno, a un 40enne croato per ripetuti atti sessuali con un fanciullo, ovvero il suo figliastro. La Corte delle assisi criminali presieduta da Mauro Ermani (con giudici a latere Chiara Ferroni e Fabrizio Filippo Monaci) ha inoltre deciso la scarcerazione immediata dell’imputato, imprigionato a fine 2023 e poi posto in esecuzione anticipata della pena fino a oggi.

Si trattava di un tipico processo con prove indiziarie: la parola del patrigno, che si è sempre dichiarato innocente, contro quella della vittima. Quest’ultima ha indicato che tra fine agosto 2011 e metà giugno 2012 – all’epoca dei fatti il ragazzo aveva 14 anni – nella camera da letto dell’abitazione di sua madre (attuale compagna dell’uomo) a Bellinzona, avesse in un’occasione masturbato il patrigno e, in un’altra, avuto un rapporto sessuale dopo aver guardato un filmato per adulti con lui. L’uomo ha dal canto suo sempre negato che ciò fosse avvenuto. Pronunciando la sentenza, la Corte ha confermato la versione della vittima: l’elemento determinante per la Corte è stato il fatto che il giovane abbia descritto una piccola macchia violacea presente sul pene dell’imputato. Un dettaglio che poteva conoscere solo essendogli stato fisicamente molto vicino e avendo quindi avuto rapporti sessuali con lui. Ermani ha parlato di «colpa non particolarmente grave» – anche perché è stata la vittima, come ha dichiarato negli interrogatori, ad aver preso l’iniziativa – mitigata, inoltre, dal lungo tempo trascorso dai fatti. «La colpa dell’imputato è di non essersi fermato» o, in altre parole, «di non essersi astenuto» dal compiere gli atti sessuali. Insomma, il patrigno lo ha lasciato fare. Sebbene non vi sia stata alcuna costrizione, gli atti sessuali con ragazzi di età inferiore ai 16 anni, seppure consenzienti, sono un reato. L’uomo è quindi stato sanzionato per questo. Ricordiamo che la procuratrice pubblica Chiara Buzzi riteneva la colpa «grave» e aveva quindi chiesto 36 mesi di prigione, di cui almeno 10 da espiare. Per il difensore Fabio Käppeli, invece, non vi erano elementi chiari e indiscutibili che sostenessero il reato e aveva quindi chiesto il proscioglimento e la scarcerazione.

Il 40enne, nato e attualmente ancora ufficialmente residente in Croazia, era arrivato in Ticino nel 2011 per incontrare l’attuale sua compagna che aveva conosciuto via social media. È allora che ha conosciuto la vittima, il figlio della donna avuto da una precedente relazione. Storie al giorno d’oggi comuni, ma che in questo caso presentano molti lati oscuri. Uno fra tutti il fatto che alcuni anni dopo l’uomo viene condannato per reati sessuali nei confronti di una ragazza della cerchia familiare. Non da ultimo è poi stato allontanato dalla Confederazione per questioni migratorie. Il tempo passa e la coppia continua a rimanere in contatto. Alla fine dell’anno scorso l’uomo è tornato in Svizzera per «festeggiare Natale e Capodanno». Invece viene arrestato e incarcerato. Carcere dove la donna si è recata regolarmente a trovare l’uomo, ritenendolo innocente. Non però secondo la Corte che ha pure ricordato come l’imputato avesse cercato su internet contenuti di rapporti incestuosi o simili.

Nella sua requisitoria la procuratrice pubblica Buzzi ha cercato di dimostrare la veridicità delle accuse sporte dalla vittima che è sempre stata «costante e lineare» nel descrivere i fatti: «Chi mai ammetterebbe di aver toccato di sua iniziativa il pene del patrigno?», ha chiesto sottolineando che non avesse «nessun motivo per mentire». Da parte sua, l’avvocato Käppeli ha sottolineato come pure il suo assistito sia sempre rimasto lineare: «Ha sempre contestato quanto rimproverato e non si è mai sottratto agli accertamenti». Per quanto riguarda la discromia, «sarebbe potuta essere notata in una qualsiasi situazione in ambito familiare». La Corte ha tuttavia creduto alla versione del figliastro.

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