Bellinzonese

Morto nella Tesla incendiatasi sul Ceneri: il caso è chiuso

Il Tribunale federale respinge il ricorso per l'assunzione di altre prove inoltrato dai famigliari del 48enne tedesco deceduto nel 2018

(Rescue Media)
18 dicembre 2023
|

Il Tribunale federale (Tf) ha respinto il ricorso che chiedeva la riapertura del caso del 48enne imprenditore tedesco morto al volante di una Tesla elettrica incendiatasi dopo aver sbandato – in modalità di guida autonoma – in un cantiere autostradale presente nel tratto a nord della galleria del Monte Ceneri, il pomeriggio del 10 maggio 2018. Con sentenza dello scorso 27 novembre, la massima istanza giudiziaria elvetica ha confermato le conclusioni cui erano giunte la Procura e la Corte dei reclami penali (Crp) ticinese.

Il Ministero pubblico ha decretato per due volte l’abbandono del procedimento penale aperto contro ignoti, ritenuto che la serie di accertamenti tecnici e peritali non aveva permesso di stabilire l'esistenza di circostanze imputabili a terzi. E quindi principalmente a Tesla, visto che gli esami avevano portato a stabilire un cortocircuito della batteria all’origine dell'incendio non imputabile a manchevolezze o a difetti di fabbricazione. Non ha colpe nemmeno l'Ufficio federale delle strade, dal momento che la segnaletica – posata per regolare la velocità a 80km/h – è stata giudicata adeguata e conforme. Si è quindi concluso che l’incidente è esclusivamente riconducibile a negligenza e distrazione del conducente che ha perso la padronanza del veicolo. I fatti non sono punibili e le condizioni per il perseguimento penale non sono adempiute.

Maniglie e protezione della batteria

Contro il decreto d'abbandono del gennaio 2019 – e la successiva conferma della decisione del procuratore pubblico da parte della Crp al quale era stato presentato un primo ricorso –, i famigliari si erano appellati per la prima volta al Tf, che aveva accolto il ricorso e rinviato l'incarto alla Crp ritenendo che la sentenza non fosse sufficientemente motivata. I ricorrenti chiedevano l'assunzione di prove supplementari non considerate dall'indagine, come l'acquisizione dei dati del veicolo e l'audizione dei responsabili della costruzione del modello per valutare ad esempio l'adeguatezza del funzionamento del sistema automatico della vettura, l'idoneità delle maniglie delle portiere e il sistema di protezione delle batterie. Ulteriori prove che secondo i famigliari dimostrerebbero la frequenza degli incidenti del modello di Tesla, ma che nell'ambito dell'istruzione complementare non sono comunque state assunte, poiché ritenute superflue alla luce degli accertamenti già effettuati.

Nel marzo 2022 la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis – nel frattempo subentrata ad Antonio Perugini – ha quindi nuovamente emanato un decreto d'abbandono, impugnato con un ricorso dai famigliari, ancora una volta respinto dalla Crp. Patrocinati dall'avvocato Paolo Bernasconi, moglie e figli – secondo cui il decreto d'abbandono risulterebbe in netto contrasto con lo stato attuale delle prove – hanno quindi ricorso una seconda volta al Tf. Ebbene, per i giudici di Losanna il potere di apprezzamento di Ministero pubblico e Crp non è arbitrario. Nessuna delle ‘situazioni di incertezza’ asserite dai ricorrenti, prese singolarmente o collettivamente, è tale da poter ribaltare, nell'eventualità che siano dimostrate, l'esito del procedimento. “L'acquisizione di dati e gli accertamenti sui vari punti citati permetterebbero, per lo più, nel caso concreto, di fare delle semplici ipotesi su eventuali difetti all'autovettura coinvolta nell'incidente, ma non giustificherebbero una riapertura del procedimento”, si legge nella sentenza.

Probabilmente distratto

Chiamata a esaminare le motivazioni del decreto d'abbandono, la Corte cantonale aveva ritenuto a suo tempo che le risultanze istruttorie agli atti permettevano di concludere che molto verosimilmente la vittima era distratta dalla guida poiché intenta a inviare e leggere messaggi di posta elettronica e, di conseguenza, non si era accorta della deviazione di corsia – assenti tracce di sbandamento o di frenata tra l'uscita della galleria e lo spartitraffico –, ben visibile grazie alla segnaletica di cantiere posizionata, andando a impattare – a una velocità compresa tra 105 e 120 km/h – contro di essa e poi contro lo spartitraffico.

Veicolo proiettato in aria

È quindi verosimile che anche nel tratto autostradale precedente il punto d'impatto, dove vigeva il limite di 80 km/h, il conducente viaggiasse a una velocità superiore a quella consentita. All'impatto con lo spartitraffico, che ha funto da rampa, il veicolo è stato proiettato in aria e si è ribaltato più volte, terminando la corsa sulla carreggiata autostradale opposta, a circa 120 metri dal punto di collisione con il primo paletto segnaletico. Nell'urto con lo spartitraffico, la parte anteriore sinistra del sottoscocca si è lacerata, provocando la combustione delle batterie del veicolo, che si è incendiato. L'uomo è rimasto privo di conoscenza all'interno dell'abitacolo ed è deceduto sul posto.

Leggi anche: