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Abusi nella Chiesa, a Biasca si è acceso il dibattito

Il vescovo Alain de Raemy e Myriam Caranzano (Aspi) hanno incontrato i parrocchiani delle Tre Valli: un dialogo intenso con tante domande e risposte

L’amministratore apostolico in Ticino, monsignor Alain de Raemy
(Ti-Press)
26 ottobre 2023
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Situazioni sentite e vissute, dubbi e certezze, alcune espressioni anche forti e diverse domande che hanno ottenuto risposte in un clima di confronto schietto e ascolto reciproco sul tema sensibile degli abusi in ambito ecclesiale. Nella chiesa di Biasca l’incontro pubblico organizzato martedì sera dall’amministratore apostolico Alain de Raemy – prossima tappa oggi (giovedì 26) alle 20 nella sala parrocchiale del Sacro Cuore a Molino Nuovo per il Vicariato del Luganese – ha suscitato vivo interesse fra la settantina di presenti. Un passetto in più dunque rispetto alla sera precedente quando a Bellinzona lo scambio bilaterale è stato meno intenso. Il vescovo ha trovato in Myriam Caranzano, membro del Comitato scientifico ed ex direttrice della Fondazione Aspi (Aiuto, sostegno e protezione infanzia), una spalla che ha saputo mettere a fuoco il problema degli abusanti e delle conseguenze sulle vittime.


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Myriam Caranzano, già direttrice della Fondazione Aspi

‘Puntiamo alla trasparenza’

A una ventina d’anni dagli scandali emersi in Irlanda e Usa che hanno squarciato il velo di silenzio su un problema secolare, il punto di svolta in Svizzera – ha ricordato monsignor de Raemy – risale al 2021 quando la Conferenza episcopale ha incaricato l’Università di Zurigo di eseguire una ricerca, fra gli archivi diocesani, su quanto accaduto nel nostro Paese dal 1950 a oggi. «Proprio come diceva Gesù, “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, vogliamo cercarla, renderla pubblica e confrontarci con essa in modo professionale e trasparente», ha esordito il vescovo ricordando che a metà settembre è stato presentato su scala nazionale l’esito del primo anno di ricerche eseguite a campione, le quali proseguiranno per altri tre anni «con una lettura sistematica dei documenti».

Il Ticino conta diversi episodi incresciosi e condanne penali, e dal 2001 la Diocesi ha una Commissione di esperti voluta per gestire le denunce delle vittime che intendono usare il canale della Chiesa per chiedere giustizia; denunce che la commissione sottopone a sua volta al Ministero pubblico (comprese quelle prescritte) affinché indaghi. In 22 anni – ha detto de Raemy – sono state cinque le segnalazioni fatte alla commissione, cui se ne sono aggiunte altre due recenti quando l’amministratore apostolico ha invitato le vittime, finora titubanti, ad annunciarsi: «Importante è adottare il giusto atteggiamento verso chi racconta la sua sofferenza, evitando di trattare i fatti come temi tabù. E assicurare l’aiuto necessario, chiedere perdono alle vittime e riconoscerle a tutti gli effetti come tali». Un terzo canale cui rivolgersi è poi il Servizio cantonale Lav per l’aiuto alle vittime di reati. E sempre la Diocesi dispone di un gremio che valuta e stabilisce i risarcimenti.


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La conferenza stampa dello scorso 13 settembre in Curia a Lugano

Dall’inferno alla fogna

Durante tutto l’incontro, sopra le teste dei presenti un pipistrello ha volteggiato suscitando curiosità. Il parroco don Fabiano Guidicelli lo ha inquadrato esprimendo un auspicio: «Come lui s’insinua negli spazi più angusti, anche voi non abbiate paura di condividere le questioni più nascoste che v’interrogano». Presa la parola, senza tanti fronzoli una signora ha detto di sentirsi tradita dalla Chiesa: «I responsabili degli abusi dovrebbero bruciare all’inferno. Non avrei mai pensato che ci fosse una fogna così importante». De Raemy ha insistito sulla necessità di «prendere coscienza che anche in Ticino ci sono stati dei casi. Il nostro impegno è fare in modo che non se ne verifichino più». Qualcuno ha chiesto come, visto che anche i preti sono soggetti a stimoli esterni sempre più espliciti e che il celibato comporta precise rinunce: «Quando studiavo teologia l’unico sostegno arrivava dall’accompagnatore spirituale che ogni seminarista e prete ha. E temi come affettività e sessualità venivano relegati a qualche incontro di riflessione. Oggi non è più così – ha spiegato il vescovo – e durante la formazione è assicurato un apposito sostegno psicologico». Caranzano ha dal canto suo citato ricerche dalle quali emerge che «rispetto ad altri ambienti, non vi è un numero maggiore di abusi sessuali perpetrati da religiosi costretti al celibato».

‘La vittima non sbaglia mai’

L’attenzione è stata quindi spostata sulle vittime, sul meccanismo che le spinge a non denunciare: «Oltre a sentirsi tradite provano vergogna, temono di essere sbagliate, credono di essere le sole ad aver subìto un abuso in quel preciso contesto», ha evidenziato Caranzano aggiungendo che «quando si riesce a invertire questi pensieri, che si tratti di bambini o adulti, tutto il resto segue più facilmente. L’Aspi è a disposizione delle scuole dove può fare prevenzione e portare messaggi chiari ai bambini, oggi vieppiù confrontati con l’assenza di interlocutori validi fra gli adulti e l’ipermercato della sessualità e della pornografia che si apre ai loro occhi su internet. E un messaggio inconfutabilmente chiaro è questo: “Sbaglia chi abusa, non la vittima”». Un’esortazione fatta in risposta a una signora che ha riferito quanto capitatole una trentina d’anni fa durante la preparazione alla Cresima in una località delle Tre Valli: «Un nostro compagno rivelò di essere stato abusato dal prete. Fu uno choc. Perdemmo il senso di farci cresimare. Fummo lasciati soli, senza sostegno». L’ambiente parrocchiale non seppe gestire la situazione, non riconobbe la necessità di stare vicino ai suoi ragazzi; e a nulla valse la condanna poi inflitta al prete. A questo riguardo Caranzano ha sottolineato l’importanza di «poter parlare, essere ascoltato, creduto, far capo a un ‘testimone benevolo’ che sostiene e aiuta. Aiutare chi ha subìto un abuso e le persone che ne subiscono le conseguenze è di fondamentale importanza. Perciò quanto sta facendo oggi la Chiesa svizzera è un esercizio esemplare».

Promuovere i diritti del bambino

Sempre dal pubblico qualcuno ha ricordato quanto in passato la severità punitiva dei docenti fosse legge e come i genitori si guardassero bene dal reagire. Ancora Caranzano: «La ‘violenza educativa’ non deve più esistere. Lo dice anche il Codice civile svizzero, che dall’anno scorso include un articolo dedicato all’educazione non violenta. E lo dice anche la scienza, secondo cui la violenza sui bambini crea conseguenze negative per tutta la vita, anche nella salute fisica. Inoltre è statisticamente provato che ogni adulto abusante è stato un bambino che ha subìto violenze e che la società non è stata in grado di proteggere. Da qui l’importanza di promuovere e applicare i diritti del bambino: più lo si fa, più efficace diventa la prevenzione degli abusi».

Ultime domande: come reagiscono i religiosi indagati e come si possono aiutare i preti a interagire meglio con i bambini? De Raemy ha risposto che «i colpevoli tendono a minimizzare e a relativizzare la gravità della colpa scaricandola sulla vittima. Pochi prendono coscienza del dolore provocato». Questo vale – precisa Caranzano – per molti abusatori in generale: «Chi riesce a rendersene conto, è facilitato nel percorso da affrontare con degli specialisti e improntato al cambiamento». Sul fatto poi che sempre più preti sarebbero in difficoltà nello svolgere attività con bambini temendo di fare cose sbagliate o assumere atteggiamenti inadeguati, il vescovo ha spiegato che alla Facoltà di teologia è in corso uno studio sul metodo don Bosco, pedagogo dell’800: «Come fare le cose bene, anche a titolo preventivo». Inoltre l’Organizzazione mondiale della sanità, ricorda Carenzano, promuove strategie educative basate su modelli comportamentali improntati su conoscenza e competenza.

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