La Corte delle Assise criminali ha assolto quattro dei cinque imputati. Condannato a 13 mesi sospesi unicamente l’inventore della tecnologia e direttore
Si è concluso oggi a Lugano con la condanna di uno solo dei cinque imputati per reati fallimentari il processo in primo grado agli ultimi vertici della Airlight di Biasca, startup chiusa nel settembre 2016 sotto il peso dei debiti (25 milioni) proprio mentre stava ottenendo la certificazione del suo primo grande impianto fotovoltaico in Marocco concepito per l'alimentazione energetica di un cementificio nel deserto. La Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Siro Quadri ha condannato a 13 mesi sospesi condizionalmente per due anni unicamente l'inventore della tecnologia Airlight, e direttore della ditta, Andrea Pedretti per i reati di amministrazione infedele aggravata e diminuzione dell'attivo a danno dei creditori. Il procuratore pubblico Daniele Galliano, ricordiamo, aveva ereditato l'incarto dall'ex procuratrice Fiorenza Bergomi: al termine della requisitoria il 22 marzo ha chiesto per Pedretti 14 mesi sospesi e complessivamente a carico del quintetto oltre otto anni di detenzione. Tutti si sono sempre professati innocenti e la Difesa di Pedretti (avvocato Pierluigi Pasi) così come l'Accusa valuteranno se ricorrere in Appello.
Assolto dunque l'imprenditore Marco Zanetti, amministratore unico della manufacturing di Biasca dal dicembre 2015 al febbraio 2016 e membro della holding di Lugano incaricata di procurare i finanziamenti per la parte produttiva; patrocinato dall'avvocato Stelio Pesciallo, a suo carico il procuratore aveva proposto la pena più pesante, ossia tre anni di detenzione, di cui sei mesi da scontare in carcere. Prosciolto l'ingegnere Federico Micheli, membro del Cda della holding di Lugano e dal febbraio 2016 amministratore unico della manufacturing fino al fallimento: difeso dall'avvocato Emanuele Verda, rischiava fino a due anni di detenzione sospesi con la condizionale. Idem Pasquale Cardarelli, membro del Cda della holding, il più anziano del gruppo avendo oggi 89 anni: rappresentato dall'avvocato Mario Postizzi, per lui erano stati chiesti due anni sospesi. Stessa sorte per Francesco Bolgiani, coinvolto nella parte meno pesante dell'atto d'accusa, quella dei favori concessi a creditori: difeso dall'avvocato Paolo Bernasconi, rischiava il versamento di 180 aliquote.
Il giudice, riferendosi alla Airlight proiettata nel mondo delle energie rinnovabili, ha parlato di «risultato insoddisfacente, ma ciò non significa ancora che tutto debba sfociare in reati penali, considerando proprio il principio del rischio imprenditoriale riconosciuto dal legislatore e dalla giurisprudenza». In questo ambito si puniscono secondo il Codice penale svizzero «atti commessi con grave leggerezza o commessi con cieco ottimismo all'origine quindi di un pesante pregiudizio». È sempre andata così? «No, ci sono stati atti legalmente giusti come le ripetute iniezioni di capitali; alcuni imputati hanno lavorato gratuitamente e non si sono certo arricchiti a dismisura. Importante, per la valutazione del dolo, è il fatto che alcuni di essi hanno messo a disposizione parecchi soldi e infine li hanno persi, il tutto in un contesto di startup di cui sin dall'inizio non si aveva certezza di successo. Stiamo parlando di un settore notoriamente a rischio».
La holding, ha sottolineato il giudice, «era complicata, c'erano flussi di liquidità fra essa e la manufacturing. Il tutto con la speranza di ottenere il brevetto per una tecnologia unica al mondo e con un grado di rischio non trascurabile. Difficile credere che gli imputati siano entrati nel Cda per commettere illeciti penali, che abbiano forzato oltre l'inverosimile, che abbiano tenuto in vita una società cadavere al solo scopo di ottenere vantaggi per loro. La Corte ha visto persone motivate, qualificate, che ci hanno creduto, che speravano con tutta l'anima di ottenere il brevetto utile a commercializzare successivamente la tecnologia. Non volevano delinquere e non si sono arricchite. Senza Pedretti, andando al reato, tutti erano consapevoli che non si sarebbe potuto andare avanti con l'iter di certificazione: capisco le critiche relative al bonus concessogli e quant'altro per complessivi 628mila franchi. Ma nel caso dei quattro imputati, escluso Pedretti, non hanno un peso penale».
Il reato «in questo contesto perde rilevanza. Vanno tutti assolti». Importante, a mente della Corte, il fatto che dall'agosto 2016 a luglio 2017 ci fosse per la holding la procedura in Pretura a seguito della pesante situazione d'indebitamento: «Stando ai codici, se non ci sono concrete speranze di sopravvivenza, bisogna dichiarare il fallimento. Invece la Pretura civile non ha chiuso subito perché c'erano delle possibilità di riuscita. Sono stati fatti interventi di risparmio, introdotti nuovi capitali, ridotti i progetti secondari. L'obiettivo era chiaro, arrivare alla certificazione in Marocco». Infine ottenuta ma troppo tardi, quando il gruppo italiano di garanzia della holding non ha più iniettato gli ultimi attesi capitali necessari a evitare il fallimento.
Quella di Pedretti, condannato per i reati di diminuzione dell'attivo ai danni dei creditori e amministrazione infedele, era «una posizione dominante: aveva in mano il boccino. Era lui il direttore, la mente, non un semplice dipendente, materialmente quello che agiva. Il gruppo dipendeva da quest'uomo, che a un certo punto si temeva potesse andarsene, lasciare tutto sul più bello, nella fase cruciale della certificazione». La sua colpa? Nel 2013 ha ottenuto dalla Sa un prestito senza garanzie, ha sottolineato il giudice, «quando ben sapeva che la società in quel momento era in difficoltà. È stata una chiara forzatura. Con dei mezzi discutibili e sbagliati ha ottenuto la cifra di 628mila franchi. Poi compensata e condonata tra fine 2015 e inizio 2016 per almeno 200mila franchi quando la Sa versava sempre e ancora in un quadro di grave dissesto finanziario, sfociato pochi mesi dopo nel fallimento». Quella di Pedretti è stata quindi ritenuta dalla Corte una colpa di grado medio-grave: un mese di sconto quindi solo per il lungo tempo trascorso dai fatti.
Parzialmente accolte le quattro istanze d'indennizzo presentate dagli imputati prosciolti: a copertura delle spese di patrocinio il Cantone rifonderà a Cardarelli 49'488 franchi, a Zanetti 60'740 franchi, a Micheli 49'700 e a Bolgiani 38'804. A Zanetti anche altri 90'940 per le spese peritali sostenute. Nulla a Pedretti, che dovrà accollarsi un quinto della tassa di giustizia pari a 5'000 franchi; il resto lo verserà il Cantone.