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Inchiesta Monte Ceneri, stretta penale sul Gruppo Rossi

Ripresi gli interrogatori del pp Gianini. Gli operai confermano le accuse che la difesa rispedisce al mittente. Legami con la ’ndrangheta? Le Ffs vigilano

(Ti-Press)
3 marzo 2023
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Periodo intenso dal profilo penale, in Ticino e Lombardia, per il Gruppo Rossi di Roma che controlla alcune imprese edili, fra cui la Generale Costruzioni Ferroviarie (Gcf) attiva anche in Svizzera con una filiale a Bellinzona che occupa una villetta in viale Franscini. Si tratta della stessa società che insieme all’italiana Gefer, pure del medesimo gruppo, durante lo scorso decennio ha fatto parte del consorzio italo-svizzero ‘Mons Ceneris’ impiegato nella realizzazione del tunnel ferroviario del Monte Ceneri. In particolare nell’installazione dell’infrastruttura di tecnica ferroviaria. Appalto da 100 milioni di franchi ottenuto superando i concorrenti grazie a un’offerta di un terzo più bassa. Cantiere sul quale la Procura ticinese nel 2019 – a seguito delle denunce presentate da dieci operai assistiti dal sindacato Unia, nel frattempo diventati dodici – ha avviato un’inchiesta penale per violazione della Legge sul lavoro e delle norme di sicurezza. Inchiesta tutt’oggi aperta contro ignoti, ma che converge su titolari e quadri del consorzio.

Versione corroborata

Nelle ultime settimane il procuratore pubblico Andrea Gianini, titolare dell’incarto, ha nuovamente interrogato alcuni degli operai costituitisi accusatori privati nonché altri professionisti indicati da Unia, fra cui un tecnico attivo nello stesso periodo. Stando a nostre informazioni, i primi hanno confermato la loro posizione già nota. E il tecnico l’ha corroborata per quanto riguarda le ore di lavoro straordinario da lui effettuate giornalmente nel tunnel, dov’erano appunto presenti gli operai. Uno dei punti centrali è accertare se le maestranze siano state costrette a lavorare in condizioni inadatte e più di quanto permesso dal Contratto collettivo di obbligatorietà generale che impone un tetto massimo di 48 ore settimanali. Nella peggiore delle ipotesi per Gcf, potrebbe venir promossa l’accusa di usura; altrimenti si resterebbe nel campo di reati contravvenzionali. Per poter essere sufficientemente definito, il quadro richiede ulteriori interrogatori che il pp Gianini ha in programma nei prossimi mesi. Emerge peraltro che qualcuno auspicherebbe un accordo extragiudiziale per quanto riguarda la compensazione finanziaria. Sempre stando a nostre informazioni, negli ultimi due anni e ancora recentemente trattative in tal senso ci sono state: cifre sono state messe sul tavolo da entrambe le parti, ma le richieste e le offerte sono risultate troppo lontane fra loro. E d’altronde la vicenda non ha finora imboccato il binario del foro civile per le pretese di sua competenza.


foto laRegione
La filiale elvetica in viale Franscini a Bellinzona

Le accuse di quattro anni fa

Le accuse erano state rese pubbliche nell’aprile 2019 da un’inchiesta di Falò; accuse che Gcf, patrocinata dall’avvocato Emanuele Stauffer, tutt’oggi respinge. Fattispecie molto pesanti: dal servizio televisivo emergevano doppi turni di lavoro dalle 13 alle 20 ore consecutive con solo 10 minuti di pausa per il pranzo mangiando un panino in galleria in condizioni inadatte; fino a 20 giorni lavorativi consecutivi senza un giorno di riposo; caporalato con salari taglieggiati nei quali figurano 8 ore al giorno di lavoro anziché quelle fatte realmente; obbligo di restituire parti di salario; 80-90 operai complessivamente impiegati anziché i 130 annunciati nella procedura di richiesta di permessi; lavori effettuati in assenza di misure di sicurezza e protezione; operai stranieri infortunati e rimpatriati senza troppi complimenti.

La tesi difensiva

Anche Gcf ha ottenuto l’audizione di persone, presenti sul cantiere, che però negano l’esistenza di un quadro critico come quello esposto da operai e sindacato. Unico eventuale punto di apertura, quello delle ore lavorate più del dovuto. Straordinari che non rappresentano, secondo la tesi difensiva, un’eccezione in cantieri complessi come quelli dei trafori ferroviari. Ma anche su questo e altri punti la difesa ritiene che non vi siano prove e che taluni operai verbalizzati esporrebbero oggi versioni assai più blande rispetto a quelle della prima ora. Non da ultimo, sempre secondo la tesi difensiva, dalle audizioni nulla emergerebbe sul caporalato. E ancora: talune presunte irregolarità in busta paga, dove figurano detrazioni sospette, in realtà sarebbero da ricondurre alla necessità di rispettare i parametri elvetici e italiani, differenti fra loro, in materia di lavoratori distaccati; sistema di remunerazione – sempre secondo la difesa – pattuito in occasione di vari incontri fra Gcf, Commissione paritetica e sindacati ticinese e italiano.

Antimafia e prime condanne

Anche in Italia, ricordiamo, il Gruppo Rossi è chiamato a rispondere ad accuse pesanti mosse a Milano dalla Direzione distrettuale antimafia che lo scorso luglio ha terminato un’inchiesta su presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nei subappalti per i lavori di manutenzione e armamento sulla rete ferroviaria italiana. Lo stesso scenario emerso nel 2016 in Danimarca, dove pure Gcf era rimasta coinvolta. Nessun legame con le indagini ticinesi, ma ci sono similitudini. Dalle carte della procuratrice antimafia Bruna Albertini emerge la figura dei fratelli romani Edoardo e Alessandro Rossi, (il primo figura nella succursale di Bellinzona) e delle loro ditte italiane Gcf e Gefer. Vengono descritti come i "referenti da oltre vent’anni delle famiglie di ‘mafia’ Giardino-Nicoscia prima e, ora, anche degli Aloisio". Famiglie affiliate alla ’ndrangheta calabrese "cui vengono assegnate sistematicamente in regime di subappalto mascherato i lavori di manutenzione della rete ferroviaria sull’intero Nord Italia". Il modus operandi? "Attraverso la simulazione di contratti di lavoro autentici – scrive la sostituta pm Albertini – si realizza una somministrazione fraudolenta di manodopera" con tanto di "sfruttamento della stessa" e operai che "lavorano in condizioni disumane ed economicamente poco vantaggiose". Viene poi citata la "elusione del regime previdenziale e fiscale per siffatti rapporti di lavoro". Due mesi fa a Milano sono state inflitte le prime 14 condanne, quattro delle quali a carico dei fratelli Aloisio. In attesa di sentenza i fratelli Rossi.

La commessa da 20 milioni

Non un bel vedere se si considera che le Ffs, come pure evidenziato da Falò, hanno siglato con Gcf un contratto quadro per lavori di manutenzione sulla rete elvetica. Una commessa pubblica decennale di due milioni l’anno dal 2016 al 2025. Abbiamo sottoposto la questione alle Ffs: l’inchiesta ticinese e le conclusioni dell’Antimafia, ancorché in assenza di un giudizio quanto meno di primo grado, non dovrebbero indurre le Ferrovie federali a troncare i rapporti con Gcf? "Le Ffs – risponde il responsabile della comunicazione per il Ticino, Patrick Walser – sono a conoscenza delle gravi accuse e dei procedimenti penali a carico di Gcf in Svizzera e in Italia. Le Ffs non possono intrattenere rapporti contrattuali con un’azienda associata a un’organizzazione criminale. Le Ffs sono in contatto con Gcf e seguono da vicino la situazione in Svizzera e in Italia. Le Ffs si riservano espressamente il diritto di prendere ulteriori provvedimenti in relazione alle attività in corso o a quelle nuove". Nel frattempo la scorsa estate il Consiglio federale ha aderito al postulato del consigliere nazionale Marco Romano (Centro) che chiedeva la presentazione, da parte delle imprese con sede principale in Italia, del certificato antimafia rilasciato dalle prefetture, per la partecipazione alle gare d’appalto di una certa rilevanza gestite da Confederazione e Cantoni.

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