Durante un processo per omicidio colposo, il legale dei genitori di un 39enne deceduto nel 2018 ha chiesto l’obbligo di somministrazione in presenza
«Con questo mio appello intendo sensibilizzare le autorità sanitarie e politiche ticinesi affinché casi simili non si ripetano più. Questa morte era ovviamente evitabilissima se il figlio dei miei clienti avesse evitato d’ingerire metadone, ma anche e soprattutto se il farmacista e il medico avessero adottato altri comportamenti». Concisa, chiara, diretta. L’avvocata Michela Pedroli – legale dei genitori di un 39enne morto nel febbraio 2018 a Biasca ingerendo metadone che non gli era stato prescritto ricevendolo abusivamente da un tossicomane in cura – è intervenuta oggi al processo di quest’ultimo – condannato a tre anni e tre mesi di reclusione per omicidio colposo e altri reati minori – allargando il discorso agli apparati preposti alla somministrazione del potente sostituto degli oppiacei.
Al termine della giornata processuale la Corte delle Assise criminali presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti ha confermato, a parte un’imputazione minore, l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice Marisa Alfier accogliendo la richiesta di pena a carico dell’imputato 34enne. L’avvocato difensore Olivier Ferrari si è dal canto suo battuto per l’assoluzione dalle accuse principali sollecitando una massiccia riduzione di pena con l’aggiunta di una terapia volta al recupero. Al centro della vicenda il decesso di un locarnese verificatosi nell’appartamento di un biaschese conosciuto per caso in stazione a Bellinzona dopo una nottata trascorsa al Rabadan. Entrambi alcolisti e ubriachi, ma il biaschese anche sottoposto a trattamento medico con metadone, i due raggiungono in treno la farmacia di Biasca dove l’imputato si approvvigiona solitamente di metadone tramite ricetta: ottenuta la dose per quel giorno e quello successivo, la porta via con sé e una parte viene ingerita dall’ospite. Che finira per morire a casa sua.
Lo scontro in aula ha riguardato la ricostruzione dei fatti: è stata la vittima a chiedere il metadone o l’imputato a proporglielo? Quest’ultimo infatti durante l’inchiesta ha cambiato più volte versione, cercando infine di sgravarsi, ma senza riuscirci. «Resta il fatto che per il figlio dei miei assistiti – ha sottolineato l’avvocata Pedroli – quella dose è risultata letale avendo consumato alcol e non essendo un tossicomane che consumava oppiacei. Perciò le regole vanno assolutamente cambiate: a nome dei genitori chiedo che nella "Direttiva cantonale concernente la prescrizione, la somministrazione e la consegna di stupefacenti per il trattamento di persone tossicodipendenti" lo Stato introduca l’obbligo, senza possibilità di deroga, di far assumere il metadone alla persona in cura seduta stante e in presenza, ossia nel momento in cui la dose quotidiana gli viene consegnata. Questo già vale per molti tossicomani che fanno capo alle ‘antenne’ di riferimento sparse sul territorio; ma sovente non vale per chi ottiene il metadone nelle farmacie con prescrizione medica che consente il trasporto a domicilio della dose o delle dosi per più giorni». Un problema importante, ha proseguito l’avvocata Pedroli ottenendo peraltro una riparazione morale di 35mila franchi, «perché così facendo si favorisce il traffico illegale di metadone. Detto brutalmente, il medico dell’imputato pur sapendo che questi in passato aveva già ceduto del metadone a un 17enne mandandolo in coma, gli ha nuovamente armato la mano». E stiamo parlando «di un imputato che agisce con scaltrezza e disprezzo per la vita altrui».
Che vi sia stato disprezzo, tutte le parti concordano. Incontestato infatti quanto emerso in aula, e cioè che l’imputato dopo essersi accorto dell’avvenuto decesso sul divano di casa sua, anziché avvisare le autorità ha sottratto al defunto 220 franchi spendendoli tutti la sera stessa tornando al Rabadan con la propria compagna: «Così facendo ha voluto crearsi un alibi, per far credere ai servizi di soccorso, allertati soltanto 20-30 ore dopo il decesso, che la morte era sopraggiunta in sua assenza», ha rimarcato la pp Alfier: «Una carognata che proprio non si meritava». L’imputato ha invece motivato il furto con la «volontà di non pensare alle possibili conseguenze cui sarei andato incontro». Ma la Corte non gli ha creduto: «Ha agito contro natura e con noncuranza nei confronti della vita», ha sottolineato la giudice. Al Rabadan «ci è andato per divertirsi, senza porsi troppe domande sulla morte di un giovane uomo avvenuta in casa sua». Riguardo al reato di omicidio colposo, la procuratrice aveva insistito sul fatto che «offrendo il metadone non intendeva uccidere, ma non ha usato le precauzioni necessarie ben sapendo quali rischi comporti l’assunzione in chi non deve farne uso». La giudice Verda Chiocchetti conferma: «L’imputato lo assumeva da quasi dieci anni e considerando anche il precedente col 17enne era ben conscio della pericolosità. Certo, durante l’inchiesta ha fornito più versioni. A quale credere? Alla fine conta che non si è fatto troppe domande sui rischi e gliel’ha dato».
Il difensore aveva impostato l’arringa sulla reale capacità d’intendere e volere durante i fatti: «Beveva forte, fino a due bottiglie di vodka al giorno. Quella mattina erano entrambi ubriachi e la vittima gli aveva detto di aver già fatto uso di metadone in passato. Queste evidenze, sommate allo stato di limitata capacità d’intendere e volere, e al fatto di aver conosciuto la vittima poche ore prima in stazione a Bellinzona mentre era in compagnia di un altro noto tossicomane, ha indotto l’imputato a supporre che anche il 39enne facesse uso di droghe, acconsentendo così a cedergli un terzo della propria dose di metadone». Come stabilito in altri casi dal Tribunale federale, ha concluso invano l’avvocato Ferrari, «l’imputato va assolto proprio per la sua supposizione iniziale, sfociata nella falsa convinzione che assumendo del metadone non corresse alcun pericolo».