Bellinzonese

Recuperare le fornaci della calce di Ghirone e Campo Blenio

È quanto prevede il progetto di ripristino promosso dalla locale parrocchia che intende anche allestire un percorso didattico per scuole ed escursionisti

17 febbraio 2023
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Un’importante eredità storica da valorizzare per non dimenticare il passato ma tramandare le conoscenze alle generazioni future. Con questo obiettivo, la parrocchia di Ghirone ha deciso di promuovere il progetto per il recupero conservativo a scopo didattico e culturale di tre forni per la calce presenti a Ghirone, in zona Buttino e Motra di Pinadaigra e a Campo Blenio, in zona Carcarida. «Abitando davanti a una delle fornaci, mi sono detto che era un peccato vederla deperire e così ho pensato di avviare un progetto di restauro», spiega Renzo Giamboni, presidente della parrocchia. «Alla base dell’iniziativa c’è l’intento di salvaguardare degli oggetti che sono stati realizzati dai nostri padri e nonni», aggiunge. Lo scorso autunno sono iniziati i lavori di ripristino della fornace in valle di Campo, in zona Carcarida; è stato quindi ricostruito il muro in pietra che stava cedendo riutilizzando il materiale di demolizione della stessa fornace. Con la primavera riprenderanno i lavori che dovrebbero poi terminare entro la fine di giugno-inizio luglio. Il costo del progetto è di circa 114mila franchi, sostenuto per buona parte da Cantone, Ente regionale per lo sviluppo Bellinzonese e valli, dai Comuni di Blenio, Acquarossa e Serravalle, dal patriziato di Bottino e Olivone e dal percento culturale Migros. È stata inoltre avviata una raccolta fondi a cui hanno aderito varie fondazioni in tutta la Svizzera; rimangono da raccogliere 10mila franchi.

Un progetto didattico

Tra gli obiettivi della parrocchia (proprietaria della fornace in zona Motra di Pinadaigra) vi è anche la creazione di un percorso ludico e didattico circolare per scuole, residenti ed escursionisti. I tre oggetti si trovano infatti su un sentiero ufficiale già marcato e molto apprezzato che permette di raggiungere mete note quali la Greina, la capanna Bovarina, la Valle Luzzone, le capanne Motterascio e l’Adula. Si tratterebbe quindi di segnalare soltanto il nuovo percorso circolare posando un pannello davanti a ogni fornace per spiegare al visitatore come venivano usate.

Un’eredità storica

Le fornaci venivano utilizzate fino a metà anni Cinquanta. La particolarità di quelle di Ghirone e Campo, è che presso la bocca erano munite di un piccolo tetto per offrire un parziale riparo agli operatori dalle intemperie. Se i forni in zona Buttino e Carcarida risultano ancora in discrete condizioni, la parte aerea di quello di Motra di Pinadaigra è pressoché completamente crollata. «Queste strutture rappresentano un’importante eredità storica e culturale a testimonianza di un’attività molto radicata nel territorio», fa presente Giamboni.

Da sempre l’uomo si è ingegnato per utilizzare nel migliore modo possibile i materiali da costruzione che la natura offre. Nelle nostre regioni sono in particolare il legno e la pietra. La calce aveva un ruolo importante in qualità di legante, poiché permetteva di costruire muri più snelli e solidi. Questo materiale, già conosciuto dagli antichi egizi e dai babilonesi più di 9’000 anni fa, veniva utilizzato soprattutto per le residenze e per gli stabili di culto. La calce veniva realizzata grazie alla cottura di pietre calcaree che, in passato, avveniva in questi appositi forni alimentati giorno e notte per una durata di circa 6-8 giorni per un ciclo produttivo, raggiungendo circa i 1’000 gradi e l’operazione di mantenimento del fuoco era seguita da almeno un addetto alla sorveglianza. Con questo processo le pietre calcaree perdevano circa un terzo del loro peso e per questo motivo i forni venivano generalmente edificati vicino alla sorgente delle pietre utilizzate, in modo da ridurre i carichi da trasportare. Il prodotto di questa cottura era la calce viva che veniva poi trasformata in calce spenta attraverso l’apporto di acqua, per poi essere utilizzata come legante nell’edilizia, spesso con l’aggiunta di sabbia. Alle nostre latitudini i contadini usavano la calce spenta per tinteggiare, quindi disinfettare, le stalle delle mucche.

Spesso i forni erano scavati nei pendii per evitare la costruzione di muri di protezione e sfruttare l’effetto isolante del terreno per mantenere la temperatura di cottura durante tutto il processo. All’interno i forni erano suddivisi in due zone: il focolare dove veniva allestito il fuoco, e raggiungibile tramite un’apertura nella parte frontale della struttura, e la parte superiore, dove venivano caricate le pietre calcaree da cuocere in una struttura a volta, di modo da non soffocare le fiamme. Per controllare lo stato di cottura si prendeva uno dei sassi, lo si buttava nell’acqua fredda e se si verificava una tumultuosa (e pericolosa) reazione la calce era pronta, oppure si poteva tentare di forare un sasso con un punteruolo in ferro.