Bellinzonese

Ex direttore Stalvedro, pena ridotta ma carcere confermato

Ricorso in Appello parzialmente accolto. L’uomo è stato condannato a 27 mesi, di cui 3 da espiare e non 6 come deciso in prima istanza

(Ti-Press)
6 febbraio 2023
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Non è una pena interamente sospesa con la condizionale quella inflitta in seconda istanza al 73enne ex direttore della Gestione Stalvedro Sa. A differenza di quanto chiesto lo scorso novembre dalla difesa sostenuta dall’avvocato Davide Ceroni, la Corte di appello e di revisione penale (Carp) ha infatti condannato l’uomo a 27 mesi di carcere, di cui 3 da espiare. La pena è dunque meno severa rispetto a quella di primo grado decisa dalla Corte delle Assise criminali, che nel dicembre del 2021 aveva optato per 30 mesi, di cui sei da espiare e i rimanenti sospesi con la condizionale. A beneficio dell’imputato — che tra il 2008 e il 2018 ha sottratto poco più di un milione di franchi dalla cassaforte della vecchia area di servizio autostradale in cui venivano depositati gli incassi della giornata – è stato tenuto conto del suo precario stato di salute, dell’assenza di precedenti e del sincero pentimento.

Anche una pena pecuniaria (sospesa) di 20mila franchi

Verdetto che l’imputato aveva impugnato, riportando in aula la vicenda in un processo bis che verteva in particolare sulla commisurazione della pena. Davanti alla Carp presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, l’avvocato Ceroni (che ha chiesto una pena detentiva di 24 mesi interamente sospesa) aveva ribadito le pesanti conseguenze della prigione su un uomo anziano già oggi distrutto, solo e depresso. "Ha ammesso i propri errori, per i quali prova profonda vergogna. La sua colpa è importante ma si è assunto pienamente le sue responsabilità e la pena pronunciata in prima istanza non si giustifica", aveva affermato in aula il legale, sottolineando come l’ex dirigente stia man mano risarcendo la Società anonima. La Carp ha però deciso di infliggere comunque tre mesi di carcere da espiare.

È stato confermato il reato di ripetuto riciclaggio di denaro, unico capo d’accusa contestato dalla difesa nel processo in seconda istanza. Reato che va ad aggiungersi a quelli (non contestati) di ripetuta amministrazione infedele aggravata, ripetuta falsità in documenti e ripetuto danneggiamento di dati. Oltre alla pena detentiva, la Carp ha inflitto al 73enne anche una pena pecuniaria (interamente sospesa con la condizionale per due anni) di 20’700 franchi.

Davanti alla Corte di appello la difesa chiedeva anche che le pretese di risarcimento della Sa fossero rimandate al foro civile per una nuova valutazione. La difesa chiedeva pure che fosse la Pretura a valutare il risarcimento per le spese legali e i costi per la revisione nell’ambito dell’inchiesta sostenuti dalla società. Richieste respinte dalla Carp, che condanna l’uomo a versare alla Sa altri 490mila franchi quali risarcimento danni e 38mila franchi per le spese della Sa connesse con il procedimento penale.

Soldi sottratti dalla cassaforte per soddisfare il suo alto tenore di vita

I soldi sottratti dalla cassaforte in almeno 350 occasioni venivano utilizzati dall’imputato per sostenere i costi del suo alto tenore di vita, rispettivamente per effettuare ripetuti bonifici bancari, nonostante dubitasse fortemente dei suoi sentimenti, a una donna rumena che l’uomo aveva conosciuto in Ticino e che dopo un breve periodo era tornata in patria. Dando atto che l’imputato sta procedendo a restituire il maltolto, il procuratore pubblico Claudio Luraschi riteneva che la sentenza pronunciata in primo grado, compreso il periodo di sei mesi di carcere, andasse confermata in ragione di una colpa giudicata grave: "Per 10 anni ha sottratto denaro all’azienda della quale era direttore, in maniera sistematica e spregiudicata – aveva detto il magistrato durante la sua requisitoria –. L’ammontare del danno è veramente impressionante. Ha iniziato prima di conoscere la donna. Iniziò a rubare perché diceva che il Cda della Sa non riconosceva il suo lavoro". Tenendo conto anche dell’ottimo reddito allora percepito, per Luraschi il 73enne non aveva ragioni per delinquere, se non per motivazioni puramente egoistiche.

 

 

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