Respinto l’atto d’accusa: pochi per il giudice Ermani i 36 mesi, 6 da espiare, per l’uomo reo di violenza e coazione sessuale ai danni della compagna
«La pena contenuta nei tre anni non è accettabile, tantomeno parzialmente sospesa, tenendo anche conto di una prognosi non certo favorevole, anzi direi piuttosto negativa, con un rischio di recidiva tutt’altro che trascurabile». Con queste parole il giudice Mauro Ermani ha respinto l’atto d’accusa rimandando il fascicolo al Ministero pubblico per una nuova valutazione, giudicando troppo blanda la pena proposta dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, sul conto di un uomo sulla quarantina resosi colpevole di reati contro l’integrità fisica e della sfera sessuale. Il caso, dunque, tornerà nuovamente in aula, mentre l’imputato è stato riportato in carcere, invece di uscire proprio oggi come prevedeva la pena concordata tra le parti (difesa rappresentata dall’avvocato Marco Masoni) nell’ambito di un processo giunto quindi in aula con procedura di rito abbreviato: 36 mesi, di cui sei mesi da espiare e i rimanenti sospesi con la condizionale per due anni.
«Sono fatti di una violenza inaudita; i filmati agli atti sono raccapriccianti», ha detto Ermani per inquadrare la triste storia approdata nell’aula penale di Lugano. «Mi vergogno profondamente», ha affermato l’imputato, il quale tra agosto 2021 e giugno 2022 ha ripetutamente perso il controllo, minacciando e usando la forza nei confronti della propria compagna: le ha dato schiaffi, più volte al termine di furiosi litigi l’ha rinchiusa in camera da letto nonostante lei piangesse e pregasse di poter uscire, fino ad arrivare all’episodio più grave: costringerla con la violenza a consumare un rapporto sessuale completo nonostante il suo chiaro rifiuto: «Ti faccio quello che voglio e se ti sposti le prendi», diceva l’imputato. Alla fidanzata precedente, l’uomo ha invece tirato una testata, rompendole il setto nasale.
Reo confesso e in carcere dal giorno dell’arresto avvenuto nel giugno del 2022, in aula l’uomo ha spiegato di avere assunto un atteggiamento aggressivo a partire dal divorzio, avvenuto prima dei fatti per cui è finito in carcere: «Non sono riuscito a metabolizzare questa grande sofferenza: invece di cercare aiuto, mi sono sfogato con altre persone, facendogli del male. Avevo una sfiducia per il partner che si trasformava in rabbia. Ho capito i miei errori e voglio dimostrare che dalla prigione uscirà una persona migliore di quella che è entrata». Affermazioni che non hanno convinto il giudice: «La sua assunzione di colpa è parsa più formale; perché d’altronde in carcere si soffre, si ha anche la capacità di essere più lucidi, ma l’empatia è un’altra cosa», ha chiosato Ermani, ricorcando che appena dopo l’arresto l’uomo sosteneva che la compagna volesse metterlo nei guai, accusandolo ingiustamente. Ha cambiato atteggiamento e riconosciuto i fatti solo quando gli sono state messe davanti le prove.
La compagna aveva più volte cercato di chiedere aiuto, anche ai famigliari dell’imputato, ma non trovando appoggio aveva quindi documentato con delle registrazioni quanto subito in occasione dell’episodio più grave, prova risultata poi determinante per l’inchiesta. La perizia a cui si è sottoposto l’imputato, ha evidenziato un problema di abuso di alcol, che «facilita a sprigionare la sua innata aggressività», ha detto Ermani. Rappresentate dall’accusa privata, l’avvocata Demetra Giovanettina chiedeva un risarcimento per torto mortale di 13mila franchi.