Bellinzonese

Covid a Sementina, processo al via: ‘Siamo innocenti’

Da oggi sul banco degli imputati il direttore del Servizio anziani comunale, la direttrice sanitaria e l’allora capocure. Le accuse punto per punto

La giudice Orsetta Bernasconi Matti con il cancelliere della Pretura penale Giovanni Pozzi
(Ti-Press/Golay)
23 novembre 2022
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Sia singolarmente sia, in parte, in correità fra due o tutti e tre si sono "intenzionalmente e ripetutamente opposti" ad applicare "provvedimenti, direttive, istruzioni e raccomandazioni prese ed emanate dalle autorità cantonali e federali per impedire la propagazione" del coronavirus nelle case anziani. È su questa tesi di fondo contenuta nei tre Decreti d’accusa – tesi identica per i tre imputati ma con gradi di responsabilità leggermente differenti – che si è aperto questa mattina a Bellinzona il processo a carico dei vertici della casa anziani di Sementina, di proprietà della Città di Bellinzona, dove fra marzo e aprile 2020, in piena prima ondata pandemica, 39 ospiti su 80 sono risultati positivi al Covid e 22 sono deceduti. Per motivi di spazio la Pretura penale (giudice Orsetta Bernasconi Matti) beneficia dell’aula messa a disposizione dal Tribunale penale federale. Al banco degli imputati vi sono il direttore del Settore anziani comunale Silvano Morisoli, patrocinato dall’avvocato Luigi Mattei, la direttrice sanitaria (avvocato Mario Postizzi) e l’allora capocure della struttura (avvocato Edy Salmina).

Respingendo le accuse e dichiarandosi innocenti – cosa che hanno fatto durante tutta l’inchiesta e ribadito in apertura di processo – devono rispondere del reato di contravvenzione alla Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano. Caduta invece al termine dell’inchiesta penale l’altra ipotesi accusatoria iniziale, quella di omicidio colposo. L’Accusa è sostenuta dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti che ha firmato i Decreti lo scorso 2 maggio, affiancata in aula dal procuratore generale Andrea Pagani. Impugnandoli, gli imputati accettano di sottoporsi a un processo il cui svolgimento non è a porte chiuse. Rappresenta alcuni familiari, costituitisi accusatori privati avendo presentato denuncia penale, l’avvocata Sandra Xavier.

Paziente positivo accompagnato a incontrare il figlio: ‘È stato un errore’

Entrando nel merito dei pazienti deceduti, la direttrice sanitaria ha detto di essere intervenuta sui singoli ospiti con sintomi «spesso in seconda battuta, perché la presa a carico veniva fatta dapprima dai medici di famiglia, e talvolta mai. Per questo motivo contesto le accuse, non essendo basate sui fatti e sull’attività da me svolta». In altri casi, ha aggiunto, era invece lei a gestire in prima persona le singole situazioni, partendo dall’esecuzione dei tamponi: «Tuttavia, quando questo risultava positivo ed erano i medici di famiglia a gestire le prime fasi, capitava che venissi informata soltanto il giorno dopo. E lì partiva la nostra presa a carico con cure specifiche e gestione dei familiari».

La pp Pedretti ha però subito osservato che il problema non è tanto la presa a carico in sé ma semmai il fatto che, nonostante i sintomi e il conseguente rischio di diffusione del Covid, taluni ospiti hanno potuto continuare a muoversi all’interno della struttura, violando così le disposizioni superiori. «Questo – ha replicato la direttrice sanitaria citando, a titolo di esempio, un caso specifico – è successo quando l’ausiliaria di cura ha informato l’infermiera responsabile della presenza dei sintomi solo dopo la colazione consumata fuori dalla camera insieme ad altri ospiti; eseguito il tampone, risultato positivo, è partito l’isolamento».

In un altro caso è successo che un paziente con sintomi da quattro giorni, il 3 aprile sia stato portato al pianterreno a incontrare il figlio in visita: «È chiaramente stato un errore», ha ammesso la direttrice sanitaria ricostruendo l’accaduto: «Un’ausiliaria di cura, senza avvisare la propria infermiera diplomata di riferimento, ha accompagnato l’ospite di sotto segnalandolo a un’altra infermiera, la quale a sua volta non ha poi riferito questo fatto a quella responsabile. Solo più tardi, in giornata, l’ospite 83enne è stato sottoposto a tampone; è deceduto cinque giorni dopo. Con gli stessi sintomi aveva però anche continuato a consumare i pasti nella saletta comune al quinto piano fino al 3 aprile. La direttrice sanitaria ha specificato che in quel periodo – a differenza di oggi – il fatto di avere una temperatura corporea di 37,4 gradi, come nel caso specifico e in molti altri casi simili, non rappresentava uno stato tale da richiedere un approccio anti-Covid; solo dai 38 gradi in su.

I primi servizi dei media

Silvano Morisoli il 28 aprile 2020 aveva rilasciato un’intervista alla ‘Regione’ – che il 21 aprile aveva rivelato la presenza di una ventina di decessi a Sementina – respingendo tutte le accuse mosse da alcuni familiari. Bisognerà attendere molti atti parlamentari e servizi giornalistici per sentirlo dire l’11 giugno 2020 ai microfoni della Rsi che «nella struttura purtroppo qualcosa non ha funzionato». Se questo ‘qualcosa’ configuri reato penale, lo dovranno stabilire la Pretura penale e i vari gradi giudiziari superiori ai quali inevitabilmente verrà sottoposto il caso.

Multe dai 4mila agli 8mila franchi

I tre Decreti d’accusa propongono il pagamento di multe contravvenzionali rispettivamente di 6’000, 8’000 e 4’000 franchi, più tasse di giustizia. La posizione più pesante è quella della direttrice sanitaria. Decreti che ricalcano in grandi linee le critiche mosse dall’Ufficio del medico cantonale – rispedite al mittente dal terzetto – il cui ispettore aveva ravvisato nella prima ondata la violazione di molte disposizioni; critiche successivamente corroborate in fase d’inchiesta da interrogatori cui sono stati sottoposti anche dipendenti della struttura e familiari di ospiti.

‘Ospiti con sintomi lasciati liberi di girare’

Per cominciare, ai tre viene imputato il fatto che dal 13 marzo 2020 quattordici ospiti abbiano "continuato a muoversi liberamente all’interno della struttura", a "consumare pasti nelle sale comuni" presenti al pianterreno e ai piani superiori, a "svolgere attività in comune". Tutto ciò nonostante dal 2 marzo l’Ufficio del medico cantonale indicasse la necessità di "non far uscire dalla camera il residente" con sintomi. L’elenco delle situazioni è corposo: in un caso il paziente è stato sottoposto ad analisi il 28 marzo, ossia soltanto 15 giorni dopo il primo presentarsi di febbre sopra i 38 gradi, seguita nei giorni successivi da vomito e diarrea. Inoltre, ciò nonostante, dal 20 al 24 marzo "ha continuato a consumare i pasti nella saletta comune al terzo piano" e "ha partecipato ad attività di gruppo". Situazioni simili si ripetono scorrendo l’elenco dei pazienti affetti in ordine sparso anche da malessere, rigurgiti, mal di gola, voce rauca, tosse leggera, tosse forte, tosse grassa, tosse con catarro, rinite, astenia, dispnea, rallentamento psicomotorio, tremori. Inoltre in quattro casi gli ospiti nemmeno sono stati sottoposti ad analisi sebbene adempissero i criteri indicati dall’Ufficio federale di sanità pubblica, ossia sintomi acuti d’infezione alle vie respiratorie e/o febbre.

‘Pranzi in comune e tombole dopo il primo contagio’

E ancora: i Decreti d’accusa indicano che 19-30 ospiti dal 18 al 24 marzo 2020 "hanno continuato a consumare i pasti nella sala comune al pianterreno nonostante dal 18 marzo il virus avesse contagiato i primi collaboratori e ospiti che frequentavano questi spazi". Inoltre "dal 18 marzo al 17 aprile 5-15 ospiti hanno continuato a mangiare nelle salette comuni" presenti nei cinque piani "nonostante non fosse possibile garantire un’adeguata distanza di sicurezza fra tutti i presenti che restavano in uno spazio limitato per oltre 15 minuti". Idem, dal 18 marzo al 6 aprile, per le attività di gruppo socializzanti: nonostante il divieto imposto dal medico cantonale il 9 marzo sono stati organizzati incontri di lettura, tombole, atelier creativi, passeggiate nel parco ecc.

‘Mancato tracciamento di contatti e contagi’

Ai tre viene anche imputato di non aver allestito rigorosamente fra il 22 marzo e il 17 aprile la lista dei contatti avuti con pazienti positivi, contravvenendo ancora una volta alle disposizioni cantonali. Conseguenza: "Non sono stati tracciati, e quindi non è stato possibile evitare i contagi". Alla direttrice sanitaria e al direttore generale viene anche imputato il fatto di aver impiegato nella notte fra il 7 e l’8 aprile, al primo piano, un’infermiera risultata positiva al Covid durante la giornata del 7, anziché procedere con l’isolamento prescritto dalle autorità. Tanto più che proprio il 7 aprile il medico curante ne aveva certificato l’inabilità al lavoro fino al 21. Infine l’ultimo episodio, quello del 16 e 17 aprile: ancora una volta i tre imputati sono accusati di aver violato la direttiva del medico cantonale e la risoluzione governativa sul divieto d’accesso alla struttura avendo autorizzato l’ingresso di tre operai comunali "incaricati dal direttore amministrativo" di eseguire lavori non impellenti di tinteggio al terzo piano.

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