Di nuovo in aula in Appello per il maltolto milionario, la difesa del 73enne chiede una pena detentiva interamente sospesa senza i sei mesi da espiare
Dopo aver impugnato la sentenza pronunciata dalla Corte delle Assise criminali il 3 dicembre 2021, oggi a Locarno si è battuta nuovamente per una pena detentiva non superiore ai due anni e interamente sospesa la difesa del 73enne ex direttore della Gestione Stalvedro Sa condannato in prima istanza a due anni e sei mesi di carcere, di cui sei da espiare. Così come chiesto poco meno di un anno fa nell’aula del Tribunale penale cantonale di Lugano, oggi davanti alla Corte di appello e di revisione penale di Locarno (Carp) l’avvocato Davide Ceroni ha ribadito le pesanti conseguenze che la prigione avrebbe su un uomo anziano già oggi distrutto, solo e depresso. «Ha ammesso i propri errori, per i quali prova profonda vergogna. La sua colpa è importante ma si è assunto pienamente le sue responsabilità e la pena pronunciata in prima istanza non si giustifica», ha detto in aula il legale sottolineando come l’ex dirigente stia man mano risarcendo la Sa.
Reo confesso, ad oggi ha restituito circa la metà del denaro contante, in totale poco più di un milione di franchi, sottratto tra il 2008 e il 2018 dalla cassaforte della vecchia area di servizio autostradale in cui venivano depositati gli incassi della giornata. Al fine di occultare il maltolto si premurava di alterare i fogli Excel relativi alla contabilità, ritoccando le cifre e cancellando le tracce del denaro prelevato. In primo grado l’uomo è stato condannato per i reati di ripetuta amministrazione infedele aggravata, ripetuta falsità in documenti, ripetuto danneggiamento di dati e riciclaggio di denaro. I soldi sottratti dalla cassaforte in almeno 350 occasioni venivano utilizzati dall’imputato per sostenere i costi del suo alto tenore di vita, rispettivamente per effettuare ripetuti bonifici bancari, nonostante dubitasse fortemente dei suoi sentimenti, a una donna rumena che l’uomo aveva conosciuto in Ticino e che dopo un breve periodo era tornata in patria. «Mi sono lasciato abbindolare», ha ribadito ancora oggi l’imputato. Nella sua arringa l’avvocato Ceroni ha evidenziato come le pressioni subite della donna per ricevere i soldi si siano aggiunte a una spirale negativa iniziativa dopo la perdita della madre che aveva reso l’uomo emotivamente instabile e fragile, portandolo a delinquere.
In quella che sarà la commisurazione della pena da parte della Corte di appello presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, l’avvocato Ceroni auspica che venga tenuto conto di più fattori: precario stato di salute ed età dell’uomo, assenza di precedenti, «totale assenza di rischio di recidiva», «condotta esemplare in sede d’inchiesta» e «piena e sincera collaborazione». Chi non ritiene che l’uomo abbia collaborato in maniera attiva è il procuratore pubblico Claudio Luraschi, il quale ha chiesto alla Corte di confermare la sentenza pronunciata in primo grado. Chiede inoltre che venga confermato anche il reato di riciclaggio di denaro – unico capo d’accusa oggi contestato dalla difesa – configurato in prima istanza. Dal canto suo la difesa chiede che le pretese di risarcimento della Sa vengano rimandate al foro civile per una nuova valutazione, anche in ragione – ha detto l’avvocato Ceroni – delle azioni della Sa possedute dell’imputato. La difesa chiede inoltre che sia la Pretura a valutare anche il risarcimento per le spese legali e i costi per la revisione nell’ambito dell’inchiesta sostenuti dalla società. «Non vi sono motivi per i quali la verifica di questo importo debba essere rimandata al foro civile», ha affermato l’avvocato Davide Cerutti, patrocinatore della Sa, il quale ritiene che il valore delle azioni dell’imputato potrà essere quantificato solamente una volta che tutto il maltolto sarà rimborsato.
Dando atto che l’imputato sta procedendo a restituire il maltolto, per il pp Luraschi la sentenza, compreso il periodo di sei mesi di carcere, va confermata in ragione di una colpa giudicata grave: «Per 10 anni ha sottratto denaro all’azienda della quale era direttore, in maniera sistematica e spregiudicata. L’ammontare del danno è veramente impressionante. Ha iniziato prima di conoscere la donna. Inizia a rubare perché diceva che il Cda della Sa non riconosceva il suo lavoro». Tenendo conto anche dell’ottimo reddito allora percepito, per Luraschi l’imputato non aveva ragioni per delinquere se non per «motivazioni puramente egoistiche». La sentenza della Carp è attesa nei prossimi giorni.