Bellinzonese

‘Chiederemo giustizia per la morte del nostro Mile’

Operaio deceduto a Bellinzona: il ricordo dei familiari e amici, determinati a rivolgersi al Ministero pubblico con una denuncia circostanziata

La vittima, Mile Bojic
10 novembre 2022
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Sposato e padre di un ragazzo di 16 anni e di una bambina di 9, abitava in Svizzera da lungo tempo l’operaio serbo-bosniaco 44enne domiciliato a Bellinzona e deceduto ieri nel cantiere edile di via Ghiringhelli dove stanno sorgendo quattro palazzine. Con alcuni colleghi della ditta di casseratura e muratura di Roveredo per la quale lavorava solo da un mese e mezzo, stava scasserando una parte del secondo edificio quando improvvisamente, a causa di un cedimento strutturale, è stato travolto dal blocco di scale in cemento armato crollato al suolo, dove si trovava. Morto sul colpo, Mile Bojic è stato estratto dalle macerie in serata dai servizi di soccorso che hanno lavorato parecchie ore prima di riuscire a raggiungere la salma sommersa di detriti. La procuratrice pubblica Marisa Alfier ha subito aperto un’inchiesta penale ipotizzando i reati di omicidio colposo e violazione delle regole dell’arte edilizia.

Volontario dell’organizzazione Nemanjici-Ticino

Mile lavorava su quel cantiere solo da un giorno e mezzo. Nato nel 1978 a Skocic, al confine fra la Bosnia e la Serbia, da buon credente frequentava la chiesa cristiano ortodossa di Bellinzona. Aveva tanti amici, con i quali amava trascorrere il tempo libero dividendolo con gli impegni familiari. «Era un bonaccione in tutti i sensi e aveva un cuore grande così. Come altri di noi faceva parte sin dall’inizio, dal 2009 quando l’abbiamo fondata, dell’Organizzazione umanitaria Nemanjici-Ticino che raccoglie fondi, abiti e beni di prima necessità a favore di famiglie serbe in difficoltà», ci racconta con molta commozione Mladen Matic, cugino della moglie e storico titolare della macelleria Cervia in Piazza Indipendenza. «Eravamo amici sin dall’infanzia, nati e cresciuti nello stesso paese. Lui era un grande sportivo e lavoratore. Correva forte, correva tanto e ha sempre lavorato nel campo dell’edilizia, cambiando ogni tanto datore di lavoro».

‘Giornate di lavoro massacranti’

L’ultima volta lo ha fatto, un mese e mezzo fa, a inizio ottobre. «Ma Mile non era contento. Ce lo aveva detto subito, sin dalle prime massacranti giornate lavorative», evidenzia Mladen facendosi portavoce della vedova e dei familiari. Dai quali arriva un’accusa precisa: «Quanto accaduto ieri non va classificato come infortunio o incidente o negligenza, semmai è da ricondurre al ‘modus operandi’ della ditta per la quale il nostro amico e padre di famiglia lavorava. Ritmi massacranti, col bello e il cattivo tempo, dettati dalla necessità imprenditoriale di concludere il prima possibile il lavoro per comprimere al massimo i costi. Per denaro. Senza la cura e l’attenzione necessarie per i dipendenti». Anche fonti sindacali, sentite dalla ‘Regione’, riconducono a questa tesi, avendo raccolto più testimonianze di operai costretti sovente a lavorare troppo velocemente e male e a scasserare troppo presto le pareti, col risultato di ritrovarsi parti di edificio in calcestruzzo non adeguatamente asciutte e, di conseguenza, instabili e non in grado di sopportare le sollecitazioni per le quali sono state progettate e concepite.

‘Mancava solo la frusta’

«Ora – riprende il discorso Mladen Matic – lasceremo passare queste tristi giornate e dopo il funerale ci rivolgeremo al Ministero pubblico con una denuncia circostanziata per chiedere giustizia. Solo giustizia. Per noi quanto successo è omicidio. Porteremo la nostra testimonianza, riferiremo quello che sappiamo in base a quanto ci raccontava. Confidandosi con me, Mile parlava di ritmi da campo di concentramento, mancava solo la frusta usata con gli schiavi. Per esempio, lo costringevano a portare non uno ma tre pannelli per volta. E lo sgridavano se osava portarne solo due. Un peso eccessivo per chiunque, anche per lui che era forte e atletico. Incredulo perché certe cose succedono anche nella civilissima Svizzera, diceva che lì non avrebbe resistito a lungo. E infatti si stava guardando in giro per trovare il prima possibile un’alternativa». Quanto alla possibilità di rivolgersi ai sindacati, conclude Mladen Matic, «non l’aveva messa in conto. Era l’ultimo arrivato nella ditta, mentre molti suoi colleghi essendo frontalieri preferiscono tacere pur di lavorare. Preferiva trovare una soluzione da sé». Purtroppo non ne ha avuto il tempo.

Il rincrescimento del datore

Interpellato telefonicamente dalla redazione, uno dei referenti della ditta di Roveredo – il suo nome compare sul Registro di commercio dei Grigioni – preferisce non parlare con la stampa e taglia corto limitandosi a esprimere il proprio rincrescimento e dolore per la morte del suo collaboratore.

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