Chiesta l’assoluzione per il 60enne avvocato bernese, alla sbarra con altri cinque imputati rei confessi che lo accusano di essere la mente dell’imbroglio
Da una parte l’avvocato che nega e non sa perché si trova in tribunale, dall’altra cinque imputati rei confessi che lo chiamano in causa indicandolo quale mandante e mente della truffa. Questa la situazione nell’aula penale di Lugano, pure oggi sede del processo a carico di sei persone – due residenti in Ticino e quattro oltre Gottardo – accusate di aver messo in atto un raggiro per circa 840mila franchi nell’ambito della concessione, da parte della Confederazione, dei crediti a condizioni vantaggiose per aziende e società durante la prima ondata di coronavirus. Ieri, ricordiamo, parlando di un reato grave, la procuratrice pubblica Chiara Borelli ha chiesto 13 mesi sospesi con la condizionale per i due imputati domiciliati in Ticino e pene parzialmente da espiare per i tre residenti Oltralpe. L’accusa ha invece sollecitato una pena più salata – tre anni interamente da espiare – per il 60enne legale bernese considerato il ‘capitano’ della squadra, colui che ha reclutato gli altri e si occupava in particolare di allestire i bilanci falsi funzionali alle richieste di credito che venivano fatte da società compiacenti gonfiando la cifra d’affari. Secondo la pubblica accusa, e come peraltro ammesso dai cinque imputati rei confessi, il denaro è stato spartito a metà tra le aziende e i complici, con l’avvocato che si prendeva la fetta più grande.
Questa mattina è stato il turno della difesa del 60enne, rappresentata dall’avvocato Brenno Martignoni Polti: richiamando il principio ‘in dubio pro reo’ ha chiesto il proscioglimento da tutti i capi d’accusa (truffa e falsità in documenti). In subordine, se la Corte dovesse dichiarare colpevole il suo assistito, una massiccia riduzione della pena proposta dalla pubblica accusa, che dovrà essere interamente sospesa in ragione dell’età dell’imputato, del suo stato di persona con disabilità (l’uomo è su una sedia a rotelle) e l’acuirsi delle sue condizioni di salute che richiedono interventi urgenti e indifferibili.
Venendo alle motivazioni, per Martignoni Polti il fatto che gli altri imputati siano rei confessi «non è un presupposto per attribuire pieno valore allo loro versione». Non essendoci un’ammissione di colpa, la difesa non ritiene né sufficienti né fondati per una condanna gli argomenti della pubblica accusa. Secondo la tesi difensiva gli imputati hanno tutto l’interesse a tirare in ballo l’avvocato bernese. Lui stesso ha detto ieri di sentirsi capro espiatorio, che è facile per gli altri additare l’esperto avvocato, che ha guadagnato più di tutti con il suo 30%, come il principale responsabile di tutta l’operazione. Per Martignoni Polti il motivo dell’asserita inimicizia nei confronti del suo assistito sarebbero vecchi dissapori dovuti a questioni economiche nell’ambito di una prestazione di lavoro che coinvolgeva due degli imputati residenti Oltralpe attivi nel campo delle assicurazioni. Sempre per la difesa non c’è poi traccia dei soldi (per l’accusa oltre 200mila franchi) che il suo cliente si sarebbe intascato.
Non è stata accolta la richiesta di escludere dai mezzi di prova una registrazione telefonica in cui l’imputato non darebbe adito a tante interpretazioni circa il suo coinvolgimento nella truffa. Se per la difesa non c’erano le circostanze legali per effettuarla, dopo una breve pausa la Corte ha respinto l’istanza della difesa, ritenuto che tale agire fosse proporzionale alla gravità della truffa sulla quale si stavano concentrando le indagini dopo i primi fermi avvenuti in Ticino. «Contro di me è stata promossa una grande caccia alle streghe», ha detto l’avvocato bernese quando il giudice ha concesso agli imputati la facoltà dell’ultima parola, aggiungendo di confidare nella professionalità e nell’imparzialità della giustizia ticinese.
Così come fatto ieri dai patrocinatori degli altri tre imputati residenti Oltralpe, questa mattina anche i legali dei due domiciliati in Ticino si sono battuti per una pena più lieve rispetto a quanto chiesto dalla pp Borelli. Patrocinatore del titolare di una piccola azienda del Bellinzonese che si era prestato alla truffa, l’avvocato Marzio Gianora ha chiesto una riduzione in ragione del fatto che, una volta scoperto, il suo cliente ha da subito collaborato pienamente risultando decisivo per risalire all’identità degli altri. Gianora ha inoltre chiesto che il suo assistito – cittadino straniero – possa continuare a vivere in Svizzera dove è nato, lavora e ha tutti i suoi affetti. Ha dunque sollecitato che venga riconosciuto il caso di rigore circa la decisione di espulsione. Ciò che ha fatto anche l’avvocato Deborah Gobbi per il suo cliente, pure lui nato e cresciuto in Ticino ma con nazionalità straniera, il quale ha ammesso di aver portato a Sud delle Alpi – convincendo il proprietario della ditta del Bellinzonese – la truffa che oltre Gottardo aveva già coinvolto tre aziende, nel frattempo perseguite penalmente in altri cantoni. Anche per Gobbi il suo assistito ha collaborato e ha avuto un ruolo marginale nella vicenda. La sentenza della Corte delle Assise criminali di Bellinzona presieduta dal giudice Amos Pagnamenta sarà pronunciata domani.