Bellinzonese

La ’ndrangheta prende il treno: inchiesta terminata a Milano

Probabile rinvio a giudizio per i fratelli Rossi, titolari anche della Gcf di Bellinzona indagata in Ticino (cantiere Monte Ceneri) ma non in Italia

(Ti-Press)
6 luglio 2022
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A cinque mesi dalla quindicina di arresti operati a inizio febbraio, la Direzione distrettuale antimafia di Milano ha comunicato in questi giorni alle parti la conclusione dell’inchiesta avviata a carico di 41 persone di nazionalità italiana su presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nei subappalti per i lavori di manutenzione e armamento sulla rete ferroviaria della Penisola. Indagine nell’ambito della quale parte lesa è Rete ferroviaria italiana (Rfi), il braccio operativo delle Ferrovie dello Stato. Stando agli inquirenti lombardi ammontano a 6,5 milioni di euro i profitti derivanti dal sistema di ‘subappalti mascherati’ e dai reati di frode fiscale, dalla mancata presentazione delle dichiarazioni d’imposta e dalle compensazioni di debiti erariali con falsi crediti Iva.

Fra gli indagati a piede libero, ricordiamo, risultano anche i fratelli Edoardo e Alessandro Rossi di Roma, titolari della Generale Costruzioni Ferroviarie (Gcf) attiva anche in Svizzera con una filiale a Bellinzona. La stessa che, insieme ad altre due ditte italiane del medesimo Gruppo Rossi attivo sulle tratte del nord Italia, faceva parte del consorzio italo-svizzero ‘Mons Ceneris’ che ha partecipato alla realizzazione del tunnel ferroviario del Monte Ceneri, cantiere sul quale a sua volta la Procura ticinese nel 2019, a seguito di denunce presentate da alcuni operai assistiti dal sindacato Unia, ha avviato un’inchiesta penale, tutt’oggi in corso, per presunta violazione della Legge sul lavoro e delle norme di sicurezza.

Dall’associazione a delinquere al riciclaggio

Non sono al momento note le conclusioni cui è giunto a Milano il pool di inquirenti coordinato dalla sostituta procuratrice antimafia Bruna Albertini che a vario titolo contesta i reati di associazione a delinquere aggravata dal metodo ’ndranghetistico, distruzione di documenti contabili, bancarotta fraudolenta, ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio. Nella pratica, numerose imprese intestate a prestanome e riconducibili alla cosca della ’ndrangheta dei Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto avrebbero ottenuto in subappalto lavori che Rfi appaltava a ‘colossi’ del settore come, fra gli altri, Generale Costruzioni Ferroviarie. Appalti del valore di un miliardo e mezzo di euro fra il 2013 e il 2018.

Similitudini fra le due inchieste

La Dda comunicando la conclusione dell’inchiesta dà tempo ora alcune settimane agli indagati di eventualmente sollecitare nuovi interrogatori o di presentare documenti a loro discapito; dopodiché, tratte le conclusioni, trasmetterà al Giudice delle indagini preliminari le proprie richieste di rinvio a giudizio o di archiviazione. A parte il fatto che Gcf sia indagata sia in Italia sia in Svizzera, al momento non figurano correlazioni fra le due inchieste: lo aveva spiegato in febbraio al nostro giornale il procuratore ticinese Andrea Gianini («Dall’inchiesta che coordino non sono emerse finora fattispecie riconducibili al reato di organizzazione criminale») e lo ribadisce oggi il patrocinatore di Gcf Svizzera, l’avvocato Emanuele Stauffer: «Non c’è alcuna correlazione tra i fatti italiani e quelli svizzeri». Tuttavia, come pure emerso a febbraio, non mancano alcune similitudini: stando alla Dda di Milano spesso gli operai che finivano nei cantieri italiani "non avevano alcuna competenza professionale" e la documentazione che attestava la loro abilitazione era frutto di "falsificazione". Non solo: il personale lavorava in "condizioni di sfruttamento".

Operai e soggetti allontanati

Accuse che il Gruppo Rossi rigetta: in un comunicato diffuso cinque mesi fa all’indomani dei 15 arresti, in riferimento al coinvolgimento della Gcf nelle indagini rilevava come "sia stato lo stesso Gip del Tribunale di Milano a smentire la Procura ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza dei reati di associazione a delinquere, sfruttamento della manodopera e auto riciclaggio". Sempre il Gip, proseguiva il Gruppo Rossi, "dà atto come la stessa società Gcf abbia allontanato gli operai e i soggetti coinvolti nelle indagini dai propri cantieri, dando così prova della inconciliabilità dei comportamenti con un possibile coinvolgimento". Questo atteggiamento dei dirigenti ne ha impedito l’arresto, ma con ogni probabilità non farà schivare loro il rinvio a giudizio.