Case anziani: il Municipio rispedisce al mittente le insinuazioni del consigliere comunale Udc Tuto Rossi
Quanti sono i frontalieri alle dipendenze della Città di Bellinzona? Come mai la Direzione del Settore anziani ha rifiutato le candidature di cittadini bellinzonesi o ticinesi per lavorare in casa anziani, mentre diversi posti sono occupati da frontalieri? I frontalieri che lavoro in case anziani vengono sottoposti ogni giorno al test del coronavirus visto che vengono da regioni definite dal governo italiano zone rosse, cioè a elevata gravità caratterizzate da un livello di rischio alto? A questi interrogativi posti dal consigliere comunale Udc Tuto Rossi il Municipio risponde spedendo al mittente le insinuazioni e informando che su 1’400 dipendenti comunali i frontalieri sono 12, tutti impiegati nelle case anziani (complessivamente 300 dipendenti) come operatori sanitari e più precisamente 10 in quella di Sementina (assunti dal precedente Consorzio Circolo del Ticino la cui Direzione era affidata all’attuale direttore del Settore anziani cittadino Silvano Morisoli), e due nelle strutture di Bellinzona (una assunta con l’apertura della Casa Mesolcina 25 anni fa e la seconda nel 2018 per assenza di candidati idonei residenti). Quanto all’evoluzione della cifra, l’Esecutivo aggiunge che durante questa legislatura si è proceduto a una sola assunzione di una frontaliera (che ha poi trasferito la residenza in Ticino) con la funzione di capo struttura, “per mancanza di candidati residenti idonei”. A questo riguardo, “non corrisponde al vero che siano state rifiutate candidature idonee di cittadini residenti”.
Poi la questione tampone: “I dipendenti frontalieri – assicura il Municipio – vengono sottoposti alle stesse misure dei dipendenti residenti”. Quanto al fatto che le zone italiane di frontiera siano o siano state considerate zone rosse dal governo italiano, “non significa che la diffusione del coronavirus sia in quelle zone notevolmente superiore rispetto al Ticino”. Infatti sulla base dei criteri adottati dal governo italiano “probabilmente anche il Ticino si sarebbe ritrovato in zona rossa”. Considerando poi le misure molto restrittive adottate in Italia, “a risultare più a rischio risultano probabilmente i dipendenti residenti e non quelli frontalieri”. A ogni modo “tutti i dipendenti, frontalieri e non, vengono sensibilizzati affinché fuori dal tempo di lavoro adottino comportamenti il più possibile prudenti”. E comunque il personale frontaliere (presente in gran numero in Ticino nel settore sociosanitario per mancanza di sufficiente forza lavoro indigena) sottostà alle direttive emanate dall’Ufficio del medico cantonale: “Qualora il dipendente sviluppi sintomi compatibili al Covid deve annunciarsi alla rispettiva sede sanitaria e, fino alla dichiarazione di guarigione, sottostare alla legge sanitaria in vigore nel proprio Paese di domicilio, ossia l’Italia nel caso del Ticino”.
Capitolo inchiesta penale avviata dalla Procura cantonale su tre persone per far luce su eventuali colpe e/o negligenze da attribuire alla direzione del Settore anziani cittadino e alla Direzione sanitaria della Casa anziani di Sementina e del Centro Somen dove la scorsa primavera vi sono statti oltre venti decessi per Covid. Sempre Tuto Rossi chiedeva come mai i vertici indagati non siano stati sospesi in attesa dell'esito dell'inchiesta penale: e meglio, sono nella situazione psicologica migliore per riuscire a gestire le case anziani durante questo periodo? Il Municipio, fatte le valutazioni del caso, risponde affermando di non aver ritenuto d'intervenire (senza però aggiungere altro) e richiama il rinnovo dell’autorizzazione, rilasciato dal Consiglio di Stato il 23 settembre 2020, per l’esercizio della casa anziani di Sementina.
Rispedita infine al mittente anche l'insinuazione secondo cui il Municipio, attraverso il sindaco ex procuratore pubblico, sia intervenuto sul procuratore generale o su altri procuratori con telefonate o abboccamenti. “Se il senso della domanda è quello di sapere se il Municipio abbia tentato d'influenzare o esercitare pressioni sul Ministero pubblico – scrive l'Esecutivo – la risposta naturalmente è negativa, escludendo peraltro che il Ministero pubblico sia soggetto a questo tipo di manovre. Ciò non significa che non vi siano stati contatti: si precisa infatti che tra agosto e ottobre 2020 vi sono state comunicazioni epistolari e telefoniche con il Ministero pubblico in relazione a ordini da questo impartiti riguardo alla messa a disposizione di documenti o altre informazioni da parte del Municipio e in merito alla possibilità (o divieto) di trasmissione di informazioni e di comunicazioni interne ed esterne all’Amministrazione comunale”.