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Liceo di Bellinzona e lockdown: ora parlano i docenti

Dopo le recenti critiche, il sondaggio degli studenti e l’opinione del Sisa, oggi alcuni insegnanti raccontano la loro esperienza d’insegnamento a distanza

Liceo di Bellinzona, aula di informatica aperta per chi si è trovato in difficoltà con il computer a casa (Ti-Press)
21 luglio 2020
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Come hanno reagito i docenti del Liceo di Bellinzona all’inizio e durante i tre mesi di lockdown? Davvero un buon numero non si è applicato nell’insegnamento a distanza, come sostengono i genitori intervistati dalla ‘Regione’ il 6 luglio? Immaginando altri futuri periodi di scuola non in presenza, è giusto esigere dai ‘prof’ e dal sistema scolastico in generale – come emerge dalle richieste conclusive di un sondaggio cui hanno partecipato 442 studenti sui circa 700 iscritti al LiBe e di cui abbiamo riferito il 9 luglio – più omogeneità nel metodo, più supporto emotivo e vicinanza tramite contatti regolari con i singoli e con la classe, più chiarezza e concretezza, nonché più coinvolgimento per gli aspetti relativi al buon funzionamento della scuola? I nostri servizi, specialmente il primo, hanno innescato la reazione di alcuni insegnanti che hanno voluto sottoporre alla redazione il loro punto di vista. Come abbiamo potuto verificare per taluni di essi, e come traspare dalle testimonianze, il loro atteggiamento è stato esemplare. Si sono rimboccati le maniche, hanno speso ore e risorse, oltre a quelle loro normalmente richieste, per affrontare una sfida affatto facile nel contesto generale di una crisi che ha colto tutti impreparati. 

‘Tante difficoltà, ma la scuola si è mossa rapidamente’

Partendo dalla contestazione principale – ossia un insegnamento a distanza ridotto ai minimi termini che ha trasformato l’allievo in autodidatta – riassume il quadro una insegnante che afferma di «non giustificare a priori qualsiasi comportamento. Ma credo che sia inopportuno cercare o indicare ‘colpevoli’ di inadempienze. Essendo i docenti delle persone, il momento ha comportato reazioni diversissime, connesse in questo caso non solo con il carattere o lo stile d’insegnamento individuali, ma anche con problemi (di salute, dovuti all’alto stress emotivo; ma anche situazioni familiari complicate, o difficoltà nell’uso dei mezzi informatici…) che si sono sovrapposti alla situazione già in sé complessa». Le difficoltà «che tutti abbiamo dovuto affrontare sono state molte e impegnative; è certamente possibile che alcuni non siano riusciti a essere attivi ed efficaci nel loro lavoro e bisogna capire perché. Ma mi ha sconcertata l’affermazione del genitore, secondo cui sarebbe scandaloso che anche i docenti che hanno fatto poco o niente abbiano ottenuto il loro stipendio. Ciò che è utile sapere oggi, invece, è che la scuola si è mossa rapidamente, che è riuscita a portare a termine l’anno scolastico e che sta verificando quali correttivi saranno necessari a settembre sia per consolidare ciò che è stato affrontato con la didattica a distanza, sia per sostenere chi negli scorsi mesi non è riuscito a reinventarsi (o, tra gli allievi, a seguire), nel caso sciagurato si dovesse tornare a quella modalità».

'Ci siamo inventati registi e animatori di piattaforme'

Entrando negli aspetti pratici, un altro collega spiega che «nel giro di poche settimane ci siamo improvvisati montatori di filmati, di lezioni interattive online, registi, animatori di piattaforme. Si sono creati proficui scambi tra docenti più esperti che hanno dato una mano a quelli meno pratici di informatica. La maggior parte ha dato anima e corpo per fare il meglio che poteva. È stato tutto perfetto? No! Io stesso, che ho una certa dimestichezza con i mezzi informatici, ho avuto qua e là qualche problema tecnico, e mi sono pure scusato con gli studenti: a volte si prepara tutto per bene, e poi quando ci si trova con la classe gli ascolti non partono, la condivisione dello schermo dà problemi, e così via. Ma noi docenti abbiamo imparato molte cose nuove e abbiamo investito molte ore aggiuntive per garantire agli studenti una formazione adeguata e diversificata in questa situazione d’emergenza».

Reinventare da zero le lezioni

Più nel dettaglio, l’insegnante d’inglese Monica Pronzini descrive passo passo il proprio approccio: «Il giorno dopo la chiusura delle scuole – attacca – mi sono messa a tavolino per poter utilizzare tutte le modalità che la piattaforma Moodle (quella indicata dall’autorità scolastica come mezzo da utilizzare in questo periodo) poteva offrire: non mi vergogno a dire che ho impiegato una settimana a prendere una buona familiarità con il mezzo e le varie modalità provando e riprovando fino al successo. Già durante questo periodo ho dovuto creare un ‘ponte’ tra le lezioni rimaste a metà, concepite per essere svolte in presenza, e quelle online, più personali e private, senza la possibilità di un’interazione diretta». Dopo questo periodo – prosegue Monica Pronzini – si è trattato di reinventare le modalità ‘lezione’ da zero: «Come creare del materiale chiaro, che lo studente potesse ricevere, risolvere e controllare con una minore presenza di compagni e docente? Come implementare la parte orale e uditiva della lingua nonostante non ci sia una lezione frontale? Come creare del materiale più interessante che potesse spronare lo studente a lavorare anche senza il docente alle spalle?». La docente risponde ai propri interrogativi evidenziando la complessità nel preparare lezioni, correggere temi e lavori in modalità elettronica, creare da zero attività interattive su Moodle, cercare video adeguati e condividerli. Il tutto impiegando più ore di quelle retribuite.

Oltre alle videolezioni altre valide modalità

Monica Pronzini aggiunge poi di essere fra quei docenti che non hanno proposto lezioni video, «primariamente per il fatto che al momento della chiusura della scuola mi sono trovata con un computer senza videocamera e i negozi di tali prodotti chiusi». Tuttavia, evidenzia, «oltre alla videolezione esistono altre modalità di contatto con gli studenti, primariamente i ‘forum’ su Moodle che permettono sia una discussione di temi legati alla lezione, sia di messaggi e domande dirette al docente». Al termine dell’anno scolastico ha quindi proposto una piccola inchiesta ai suoi studenti: alla domanda ‘Ti sono mancate le lezioni su Teams?’ la risposta è stata sì 25%, un po’ 43%, no 32%. E quando il questionario chiedeva il perché della risposta, «idee ricorrenti, a sfavore, erano “gli orari fissi delle lezioni online interrompevano la mia nuova routine”, “a volte lavorando da solo mi sono accorto che in poco tempo riuscivo ad apprendere di più che con un’ora di video lezione”; e, a favore, “ho apprezzato le lezioni online più per motivi sociali e di contatto umano che per necessità didattica in quel momento”. Non sono mancate certo le risposte più critiche, ma erano in numero minore». E ancora: alla domanda ‘La comunicazione docente-allievo è stata efficace?’ le risposte sono state sì nel 100% dei casi. «Nel mio confronto con altri colleghi – annota poi Monica Pronzini – ho ‘invidiato’ chi è riuscito persino ad aprire un canale YouTube per gli allievi, chi ha creato presentazioni PowerPoint integrando spiegazioni, o ha svolto attività di una creatività che ha solo potuto aumentare la mia ammirazione e fiducia nelle risorse del corpo docenti: insomma, non credo di rappresentare l’eccezione, ma piuttosto la norma tra i docenti del Liceo di Bellinzona». In definitiva, conclude Monica Pronzini, «non mancherà sicuramente il genitore o l’allievo arrabbiato, o un collega più assente, e sicuramente non sono mancati allievi molto assenti o delusi. Ma questo accade ogni anno, con o senza Covid-19. Purtroppo spesso quando lo studente riesce bene è convinto che il merito sia tutto suo, quando invece ottiene risultati scarsi la colpa è del docente».

'Non si confonda vocazione con professione'


L’insegnante di italiano Simone Bionda si sofferma sulle critiche mosse dai genitori intervistati dalla ‘Regione’: «Mi sembra ingenerosa verso i numerosi insegnanti che in questo difficile periodo hanno lavorato in condizioni precarie, in contesti familiari spesso complicati (anche i docenti possono essere genitori), senza adeguate strutture logistiche e tecniche (si è pensato giustamente agli allievi, ma chi ha pensato ai docenti? Taluni hanno quasi duecento allievi). Inoltre anche gli insegnanti a volte si ammalano di Covid-19. E di Covid-19 si può morire». Simone Bionda si chiede quindi perché ai docente, da parte della società tutta, non venga riconosciuto il ruolo di lavoratori alla stessa stregua degli scalpellini, avvocati, medici, giornalisti: «Troppo spesso, anche da parte del datore, si fatica a concepire il lavoro di un docente come una professione, sostituendolo con il concetto vago e fuorviante di vocazione. Anche insegnare è un mestiere. Che poi alcuni di noi, pochi, non abbiano fatto quel che andava fatto, o che il Decs ha chiesto di fare, benché obiettivamente criticabile rientra nella debolezza della natura umana: sarà successo anche in altri settori professionali». Quanto alle piattaforme Moodle e Teams, annota Simone Bionda, «funzionano bene o male a seconda delle materie, che non sono tutte uguali: la video-lezione non è sempre il modo migliore per insegnare a distanza e ci sono allievi i quali mi hanno confidato che non avrebbero retto se tutti avessero fatto capo in modo sistematico alle video-lezioni. Inoltre, se mancano gli apparecchi adeguati (oltre al computer anche telecamere, scanner, stampanti, programmi ad hoc, ecc...) queste piattaforme non servono a nulla. Peraltro non è scontato e finora neppure obbligatorio che tutti i docenti dispongano, a casa, di questo armamentario». Infatti spesso utilizzano le apparecchiature in dotazione negli istituti, poiché lavorano per lo più in sede, «e non è improbabile che i docenti, fra le mura domestiche, li debbano condividere con moglie e figli. Da questo punto di vista il settore privato (alludo a lavori d'ufficio, ma anche alle Università) è nettamente più avanti e anche qui c'è margine di miglioramento».

Strumenti inadeguati e proposte alternative inascoltate

Danilo Boggini, insegnante di letteratura italiana, esordisce con una riflessione che ci proietta nel fulcro della questione: «Essendo una delle condizioni più importanti quella del dialogo con la classe, c’è da chiedersi se la tecnologia messaci a disposizione sia stata all’altezza. Non credo. Teams a lungo ha consentito di vedere contemporaneamente soltanto quattro degli allievi collegati (quando generalmente il loro numero per classe supera la ventina) e la qualità video e audio a tratti lasciava a desiderare. Inoltre, proprio a causa di questi limiti, spesso mi è capitato di dovermi confrontare con una classe quasi silente e con videocamere che il sistema stesso aveva scollegato per evitare un sovraccarico di rete. Uno strumento quindi inadeguato per la scuola. Quale alternativa ho proposto Zoom, ma sono rimasto inascoltato. Senza contare poi che Teams è risultato operativo solo dopo alcune settimane. Ciò può spiegare l’impressione di immobilismo avuta dall’esterno». Anche la disponibilità privata di computer ha creato qualche grattacapo: «Adeguata in periodi normali, ma non durante l’emergenza. A casa ci siamo ritrovati con due computer - di cui uno sprovvisto di videocamera - a disposizione per me, per mia moglie che lavora e per i tre figli che frequentano la scuola. Il mio negoziante di fiducia non aveva più videocamere a disposizione, idem il grande distributore cui mi sono rivolto in seconda battuta. In analoghe situazioni si sono trovati altri colleghi che hanno dal canto loro preferito recarsi in sede per garantire le riunioni scolastiche ordinarie». Quale alternativa «ho comprato a mie spese un programma di editore testi con cui ho registrato delle lezioni corredate di testi e immagini; ciò che nel bilancio finale degli allievi è stato apprezzato, poiché in tal modo essi potevano seguire le mie lezioni in qualsiasi momento della giornata, potendo riascoltare ciò che in prima battuta non avevano capito perfettamente. A ogni video seguiva una lezione che aveva lo scopo di illustrarlo ulteriormente». Oltre a questo, «sin nei primi giorni di chiusura ho caricato sulla piattaforma tutto il programma valido fino a giugno, con l’indicazione di leggere di volta in volta un certo numero di testi: in tal modo credo di essere riuscito a garantire lo svolgimento del programma scolastico, con qualche doveroso sacrificio d’ordine quantitativo». Più in generale, aggiunge Danilo Boggini, criticabili sono la decisione adottata in aprile dal Decs, nonché la modalità di comunicazione, relativa alle note di fine anno, che non sarebbero state peggiorate ma semmai solo migliorate: «Questo può in effetti aver disincentivato qualche studente e qualche insegnante». Pure lacunoso il confronto, cammin facendo, fra docenti: «Non avendo il Decs e la Direzione d’istituto creato occasioni per esporre le rispettive esperienze avviate nell’insegnamento a distanza, solo a metà giugno ho potuto prendere atto di iniziative lodevoli di colleghi che io stesso avrei potuto seguire, se ne fossi stato a conoscenza».

All'incontro finale la presenza era facoltativa

Quasi tutti i nostri interlocutori correggono infine il tiro laddove i genitori hanno lamentato la presenza di pochissimi docenti, accanto a quello di classe, nell’ultimo incontro in presenza a scuola verso metà giugno: la presenza era in realtà facoltativa (compatibilmente con altri impegni concomitanti) e competente a raccogliere le impressioni della classe era appunto il docente responsabile.