Bellinzonese

Diffamazione: ricorso di Cheda respinto dal Tf

Nella sentenza i giudici di Losanna spiegano che il giornalista bellinzonese non è riuscito a dimostrare la veridicità e l'interesse pubblico dei suoi scritti

Matteo Cheda (Ti-Press)
1 luglio 2020
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Dopo la sua condanna per ripetuta diffamazione in primo grado alla Pretura penale a Bellinzona e la conferma da parte della Corte di appello presieduta dalla giudice Giovanna Roggero Will, ora il Tribunale federale (Tf) ha respinto il ricorso interposto dal giornalista Matteo Cheda. La sentenza dello scorso 19 giugno mette dunque fine alla vicenda iniziata una decina di anni fa, quando Cheda ha pubblicato alcuni suoi scritti sulla ‘Regione’ e sul ‘CdT’ (nel 2010 e 2011), nonché un fumetto distribuito nel 2011 in cui dava l'impressione ai lettori che gli avvocati Franco e il figlio Filippo Gianoni (ex municipale Ppd di Bellinzona) avessero avuto comportamenti disonesti gestendo importanti dossier e progetti.

Nel suo ricorso Cheda ha fatto notare alla Corte di Losanna che i contenuti degli scritti erano da considerare nel contesto particolarmente teso della raccolta firme volta alla revoca del Municipio, rispettivamente di una votazione popolare. Impugnando la sentenza in Appello il giornalista sottolineava inoltre che la sua condanna per diffamazione costituisce una "limitazione della libertà d'espressione indispensabile al buon funzionamento della democrazia". Dal canto suo la Corte presieduta da Christian Denys nella sentenza spiega che il ricorrente non nega la paternità dei testi in giudizio e nemmeno contesta la natura diffamatoria dei passaggi evidenziati dall'autorità cantonale.

'La libertà d'espressione non è assoluta'

Pur trattandosi di un dialogo di natura politica, la Corte rileva che "la libertà d'espressione non è assoluta. Sono possibili restrizioni, purché fondate su una base legale, giustificate da un interesse pubblico, quale la tutela della reputazione e dei diritti altrui, nonché proporzionate, ovvero limitate a quanto strettamente necessario al perseguimento degli scopi di interesse pubblico". Se da una parte "l'uomo politico si espone inevitabilmente e coscientemente a un attento controllo di ogni sua mossa da parte sia dei giornalisti sia dei cittadini e deve pertanto dar prova di una tolleranza maggiore", dall'altra i giudici del Tf ricordano che l'autore di un articolo non sfugge alle possibilità di restrizioni. Nel caso specifico Cheda non contesta la legalità della sentenza che ha impugnato, ma "sostiene unicamente che i fatti divulgati sarebbero veri e di interesse pubblico", ciò che però non è riuscito a dimostrare, si legge sulla sentenza.