Un privato ha impugnato davanti al Consiglio di Stato l'accordo sul contributo annuale di 253mila franchi votato dalla Città e dalle 16 assemblee
C’è un ricorso al Consiglio di Stato, con tanto di effetto sospensivo, contro le due convenzioni votate il 21 ottobre dal Consiglio comunale di Bellinzona e sottoscritte da tutte le parrocchie attive nel comprensorio aggregato e dalla Chiesa evangelica riformata (Cer). Una sassata che va dritta al cuore della questione: dal profilo finanziario le convenzioni Città-Parrocchie-Cer, la cui entrata in vigore era prevista il prossimo gennaio, non sostiene adeguatamente i religiosi nell’esercizio di culto. Il contributo comunale complessivo annuo di 253mila franchi, ricordiamo, è identico all’attuale derivante dalle convenzioni siglate nel corso dei decenni dalle 16 Parrocchie attive nei 13 ex Comuni aggregatisi. Già abbozzata durante il progetto aggregativo (vedi articolo sotto), la convenzione è poi stata consolidata con un lavoro d’assieme svolto in un gruppo misto formato da autorità comunali e religiose.
Tre gli obiettivi raggiunti: oltre al mantenimento del montante annuo attuale, anche l’abolizione del versamento della congrua (il salario per le attività spirituali e di culto) da parte del Comune e l’armonizzazione del contributo all’insegnamento religioso per tutti i quartieri. Circa metà del contributo annuo dovrebbe finanziare l’insegnamento religioso svolto nelle scuole comunali (ovvero mille franchi per unità didattica, pari oggi a 125mila franchi l’anno); quanto all’altra metà, 15mila franchi andrebbero alla Cer e la cifra restante (nel 2020 fissata a 113’500 franchi, pari al totale dedotto il contributo per l’insegnamento religioso) andrebbe a costituire un fondo comune delle 16 parrocchie, gestito da quella di Giubiasco. Il condizionale è d’obbligo, a dipendenze di cosa deciderà il governo cantonale ed eventualmente le istanze giudiziarie superiori cui il ricorrente potrebbe rivolgersi qualora il CdS gli desse torto.
Si diceva della sassata. Il ricorrente, domiciliato a Bellinzona, non va per il sottile quando scrive che la convenzione “è permeata di giacobinismo di stampo ateista, tipico del periodo radicale dell’800, approccio che lede crassamente il principio della libertà religiosa, così com’è intesa in Svizzera e Ticino”. Libertà, annota, che la Commissione scolastica del Gran Consiglio in un proprio rapporto del 2018 descriveva così: ‘Lo Stato è certamente laico, ma non laicista. Garantisce il diritto di libertà confessionale e se ne assume i costi’. A questo riguardo, prosegue il ricorrente, “sorprende che Parrocchie e Cer non abbiano combattuto la clausola di divieto di utilizzo dei fondi per scopi o attività di culto”, visto che per definizione stessa le chiese “hanno uno scopo di culto”. Il divieto comporta perciò che “gli importi concessi divengono inutilizzabili”.
Senza contare, si legge ancora nel ricorso, che i mille franchi previsti per unità didattica rappresentano “un criterio senza senso”, non da ultimo perché finanzierebbero “un’attività marginale delle Chiese”, un parametro “irrilevante e di pochissimo peso nell’attività di una Parrocchia”. Attività che “è semmai fondata sull’esercizio del culto, in secondo luogo sulla gestione amministrativa e in terzo luogo su di attività sociali, in genere connesse all’esercizio di culto”.
Il ricorrente ne ha anche per le Parrocchie, la cui accettazione della convenzione rappresenta “un harakiri che a medio termine porterà a diminuire drasticamente le entrate”, non da ultimo considerando che “l’insegnamento religioso è in declino costante”. E dopo la sassata, l’affondo definitivo: “Ci si chiede chi sia stato l’astuto autore di questa iniziativa delle nuove Convenzioni, il quale è riuscito addirittura ad abbindolare tutti gli amministratori parrocchiali”. Concetti pesanti. Quanto, infine, al fondo comune, il ricorrente sostiene che “le Parrocchie fra di loro non sono abilitate a stabilire autonomamente chiavi di riparto”, chiavi che per di più “non si possono convenire in maniera informale. E nemmeno si capisce chi decide i criteri”. A ciò si aggiungono poi i flussi finanziari fra Parrocchie e Diocesi, un altro elemento che induce il ricorrente a parlare di “procedere poco pulito ed eticamente scorretto”. Parola al governo.
Alla paga del prete ci pensi la Parrocchia. In definitiva è questa la soluzione individuata e approfondita in fase pre-aggregativa e successivamente concordata dal gruppo misto di lavoro. Un problema che quasi la metà delle Parrocchie ha già risolto introducendo in passato l’imposta di culto il cui pagamento è facoltativo per i domiciliati: si tratta di Ravecchia, Camorino, Giubiasco, Gorduno, Gnosca, Gudo e Sementina. Le cronache ancora recenti hanno evidenziato la persistente difficoltà della Parrocchia centrale di Bellinzona a far cubare i conti: una riflessione se si renda necessaria l’imposta di culto è stata avviata da tempo, senza finora giungere a una decisione. Due i casi sintomatici di eliminazione della congrua che potrebbe incidere pesantemente sui bilanci parrocchiali: Claro con la nuova convenzione perderebbe 45mila franchi l’anno, Monte Carasso 47mila. Ma in entrambi i casi il problema è solo relativo, avendo da anni le rispettive Parrocchie investito nella costruzione di palazzine i cui affitti sono una garanzia di reddito. Diverso il discorso nelle località più discoste e meno orientate agli investimenti immobiliari: Pianezzo e Sant’Antonio (bassa e alta Morobbia) sono destinate a perdere ciascuna 14mila franchi, nei quartieri a nord Preonzo 12’500 e Moleno 8’000. Un altro punto sollevato dal ricorrente concerne la tenuta del conto comune gestito dalla Parrocchia di Giubiasco e la ripartizione del contributo comunale fra le 16 parrocchie. Con quali criteri si procede alla spartizione? E chi decide in caso di contestazioni? Le 16 Parrocchie – ha appreso la ‘Regione’ – si sono preparate al passaggio stabilendo di comune accordo i criteri di ripartizione in base a una forma di solidarietà che tiene conto delle rispettive forze finanziarie e degli oneri. Inoltre – altro punto fissato nella convenzione Città-Parrocchie – annualmente dovranno consegnare al Municipio un rapporto nel quale si evidenzia l’uso e la destinazione dei fondi. In caso di difformità rispetto a quanto stabilito, il Municipio è autorizzato a intervenire.