Blenio

Fabbrica del cioccolato: precetti per oltre 230mila franchi

Tra chi ha avviato una procedura di esecuzione anche Stefano Dell'Orto, uno degli ideatori del progetto. 'Il business plan non è stato rispettato', ci spiega

30 agosto 2018
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«Non è stata intrapresa la politica dei piccoli passi». È di questo avviso Stefano Dell’Orto, uno dei promotori del progetto di rilancio dell’ex Cima Norma di Dangio che ha permesso due anni fa la riapertura degli spazi per eventi culturali grazie alla Fondazione Fabbrica del cioccolato, presieduta da Franco Marinotti. Da noi contattato, Dell’Orto spiega di aver rassegnato le dimissioni a decorrere dal 31 dicembre 2016, ma figura ancora a Registro di commercio in qualità di segretario della fondazione (extra Cda) poiché il Consiglio non le ha mai ufficializzate. Il motivo della sua decisione di fine 2016, sottolinea, va ricercato in una differente visione sul modo di gestire il progetto (vedi articolo sotto).

Nel frattempo i rapporti si sono logorati al punto che Dell’Orto ha recentemente intimato alla fondazione un precetto esecutivo di diverse decine di migliaia di franchi. Soldi che il segretario ha sborsato di tasca propria in parte per pagare alcuni fornitori e dipendenti a cui la fondazione non versava lo stipendio. Nell’estate 2017 era infatti emerso pubblicamente il mancato pagamento dei collaboratori, poi risarciti grazie a un piano di rientro elaborato con l’aiuto del sindacato Ocst. Restano però ancora scoperte le quattro mensilità dell’ultimo dipendente che ha lavorato alla Fabbrica. E dopo le testimonianze da noi riferite di alcuni artigiani della zona che masticano amaro a causa di importanti fatture mai saldate (vedi ‘laRegione’ del 21 luglio), si allunga la lista di pagamenti scoperti e di precetti esecutivi intimati da parte di ditte e professionisti che hanno lavorato per permettere l’apertura e lo svolgimento delle attività: le esecuzioni in corso superano i 230mila franchi.

L’Ente regionale di sviluppo ha finanziato uno studio della Bdo

Altra novità che emerge è uno studio effettuato l’anno scorso – quando i problemi finanziari erano già evidenti – dalla sede luganese della Bdo (società specializzata in audit e consulenze) con l’intento di capire cosa migliorare per aumentare la sostenibilità del progetto. Studio richiesto dalla fondazione stessa e pagato quasi interamente dall’Ente regionale sviluppo Bellinzonese e Alto Ticino tramite il fondo per lo sviluppo economico. Soldi pubblici che si aggiungono ad altri aiuti cantonali, comunali e di privati già ricevuti. Dallo studio emergono le raccomandazioni che sottolinea pure Dell’Orto: ovvero la necessità di disporre di una direzione operativa che abbia le necessarie capacità manageriali e di una solida pianificazione delle finanze.

Sul sito un invito alle donazioni

Intanto, mentre in valle persiste il malumore a causa delle numerose fatture non pagate, sul sito della fondazione permane la possibilità di effettuare versamenti tramite Paypal. Lo scopo del sostegno? Citiamo: “Supportare le attività della Fondazione la Fabbrica del cioccolato significa supportare sia l’arte che l’economia, l’artigianato, le tradizioni e il patrimonio culturale dell’intera Valle di Blenio, contribuendo alla valorizzazione del territorio e permettendo la nascita di un polo di aggregazione in grado di riunire sotto lo stesso tetto popolazione locale, artisti nazionali e internazionali, visitatori di tutte le età, artigiani e produttori della valle”. Uno scopo nobile ma, visto l’elenco di precetti, poco affidabile.

‘Il business plan pensato per autosostenersi non è stato messo in pratica’

Conosce bene il business plan il segretario dimissionario Stefano Dell’Orto. Lo ha infatti redatto lui stesso nel 2014 assieme al vicepresidente della fondazione Giovanni Casella, dopo aver analizzato la raccolta di informazioni su progetti simili di successo commissionata al consulente culturale Michael Schindhelm.

Ciò che non ha funzionato, secondo Dell’Orto, è stata la messa in pratica. Dal suo racconto emerge che la presidenza della fondazione ha ignorato un tassello fondamentale del business plan: la parte commerciale del progetto che avrebbe dovuto garantire le entrate necessarie per sostenere l’altro filone, quello degli eventi culturali. «Dal mio punto di vista bisogna portare avanti le cose col cuore un po’ freddo e soprattutto con un occhio di riguardo alle finanze – spiega Dell’Orto esprimendosi da noi interpellato sulla gestione del progetto –. Non si può essere creativi quando si tratta di aspetti finanziari di un progetto. E nemmeno spendere più di quanto le possibilità permettano. Non si può sempre dipendere dallo Stato e dagli aiuti pubblici. Il Cantone fa la sua parte quando l’idea ha un senso e i privati che l’hanno avuta sono in grado di tenerla in piedi».

Due entità che dovevano coesistere

Il business plan originale prevedeva come detto un aspetto artistico e uno commerciale che sarebbe servito per tenere in piedi finanziariamente tutta l’operazione. L’idea era quella di ristrutturare una parte dei locali, donati dalla Cima Norma Sa alla Fondazione Fabbrica del cioccolato, per trasformarla in spazi da affittare per vari utilizzi. Tra le ipotesi vi era la formazione di aule per attività formative, loft, atelier per artigiani, spazi per campi estivi, uffici da condividere in coworking ecc. La gestione commerciale di tali ambienti avrebbe garantito alcune entrate nelle casse.

Ma questo tipo di gestione non è mai stato applicato dalla presidenza, che ha invece puntato solo su attività artistiche e di marketing che non genererebbero alcun tipo di profitto. Ecco spiegato il motivo per cui i fondi a disposizione si sono in poco tempo erosi.
Il progetto prevede anche la ristrutturazione dell’edificio principale, in particolare con il consolidamento della struttura esterna e interventi a tetto e facciate. Ristrutturazione che in totale costerebbe 5,6 milioni di franchi e che il business plan prevede di finanziare grazie al ricavato della vendita di alcune superfici (su modello dei loft già esistenti). Per il momento però si è giunti al punto che nemmeno gli architetti che hanno progettato questi lavori sono stati pagati, perciò si sono dovuti rivolgere all’Ufficio esecuzioni per cercare di ottenere quanto spetta loro.